Non è compito di questo breve documento quello di tracciare l’analisi della fase economica e lo stato generale delle classi subalterne, rimandiamo per questo alle nostre elaborazioni ed ai nostri interventi disponibili sui siti “Comunismo libertario” e “Difesa Sindacale”.
Basti qui sottolineare l’arretramento del movimento operaio e sindacale che vede smantellare giorno dopo giorno quell’apparato di diritti e di condizioni materiali costruiti con enorme fatica in decenni di lotta politica e sindacale.
E se da un lato il capitale, la sua rappresentanza politica e istituzionale hanno costruito una macchina propagandistica efficiente che è stata capace in decenni di bombardamento ideologico di far passare i valori del profitto e della impresa tra i lavoratori, complice in questo il sindacalismo riformista e le forze della sinistra istituzionale, dall’altra parte registriamo lo stato di profonda disgregazione che regna nel variegato mondo della sinistra comunista e/o radicale, alla quale non sono estranee neppure le realtà organizzate dei comunisti anarchici.
In un contesto di grande difficoltà per le ragioni dell’emancipazione del lavoro che vede il capitale permeare il mondo sottomettendo a se nuove aree geografiche (Cina, Africa) e sottomettendo alla legge del profitto beni e servizi comuni che ancora in parte sfuggivano in occidente alla loro mercificazione, a sinistra si fatica a trovare il bandolo della matassa e nella migliore delle ipotesi si aprono scenari di resistenza settoriali e parziali, importanti perchè contribuisono a non spegnere completamente la volontà di lottare, ma che spesso si battono per contrastare gli effetti non curandosi delle cause (molto ambientalismo ha questa caratteristica), o peggio confondendoli per le cause stesse. (Disagio giovanile dovuto al bullismo, senso di insicurezza delle città dovuto alla criminalità, e via di questo passo. Ma sia il bullismo che la criminalità non sono cause ma effetti.)
Se c’è un paradigma che occorre recuperare e che può dare ancora senso alla differenza tra sinistra e destra, è proprio la capacità nelle nostre analisi di individuare quelle che sono le cause della disumanizzazione dell’essere umano e della divisione di classe, piuttosto che arenarci sulle secche degli effetti, che come specchi per le allodole, ci fanno perdere la bussola e finire nella trappola del soggettivismo, del volontarismo e dell’ideologia.
Guardare indietro per andare avanti
Oggi molti, e noi siamo tra questi, sostengono che la complessa realtà economica che genericamente è definita globalizzazione, necessita di una attenta analisi per ridefinire gli assi di sviluppo dei nuovi e diversi assetti imperialisti che si stanno determinando, e in questo contesto è secondo noi fondamentale analizzare quel processo storico, che trova conferma anche nella contemporaneità, di allineamento delle forze riformiste con le rispettive borghesie nazionali o sovranazionali come nel caso dell’Europa.
Siamo, però, altresì convinti che nel rapporto con i lavoratori, con le classi subalterne e nel rapporto con le nuove generazioni vi sia la necessità di un approccio propedeutico che provi a mostrare quale sia il punto, la contraddizione fondamentale, dalla quale bisogna partire per comprendere il sistema economico sociale di sfruttamento che ci avvolge.
Il lavoro che spesso oggi è visto come generosa concessione di qualche benevolo capitalista, è elemento costitutivo e distintivo dell’essere umano. E’ attraverso il lavoro che l’uomo plasma e controlla la natura, e in ciò vi è la prima grande differenza con gli animali, è il lavoro che produce beni che permettono la sopravvivenza e la riproduzione, ed è il lavoro che produce quella massa di beni che genericamente chiamiamo ricchezza, che ha consentito e consente agli esseri umani di soddisfare i propri bisogni ben al di là dei bisogni primari (ciò in teoria perchè sappiamo che nella storia passata e recente ancora vaste popolazioni del pianeta sono ridotte a condizioni di sub sopravvivenza).
Le donne e gli uomini con il loro lavoro sono i veri soggetti produttori di “ricchezza”, l’espropiazione del prodotto del lavoro, l’alienazione del lavoro come lo definiva Marx, hanno generato la proprietà privata, e non questa quella. Una acquisizione teorica di non poca rilevanza che sostanzia la critica libertaria alla statalizzazione dell’economia in quanto è l’intera società fatta Stato che diventa capitalista collettivo senza con ciò determinare alcun cambiamento del lavoratore nella struttura sociale.
Avere chiaro la collocazione del lavoro nella società è secondo noi fondamentale per sviluppare quel movimento che, emancipando i lavoratori e le classi subalterne, emanciperà l’intera umanità.
La necessità di ripartire dalle contraddizioni principali è oggi ancora più importante perchè in questa fase di smarrimento troppi compagni guardano alle esperienze del passato non come un importante bagaglio di memoria ma solo con nostalgia.
Memoria e nostalgia
Noi crediamo che la “memoria” sia un elemento importante per un movimento di sinistra, ma non può essere semplice e acritica riproposizione del passato. Oggi, invece, in questa situazione di decomposizione delle forze di sinistra e di inazione del movimento sindacale, molti compagni, ma anche molti militanti politici, non fanno esercizio di “memoria”, ma procedono con la fronte rivolta all’indietro. Il risultato è di andare a sbattere e aumentare la confusione e la disgregazione a sinistra.
Noi non pensiamo che la riproposizione di un “comunismo statalista” come si è realizzato nel corso del secolo scorso possa oggi rappresentare un utile punto di riferimento, così come una semplice riproposizione acritica di realizzazioni, per quanto importanti e gloriose, come le comunità anarchiche spagnole del 1936 – 1939, la machnovicina, o più vicina a noi l’esperienza zapatista in Messico, possano essere assunte come modello per la rinascita di un’idea di una nuova società fondata sulla solidarietà e non sullo sfruttamento, sulla libertà e non nella sottomissione.
Il capitale e l’apparato statale che lo sostiene hanno dimostrato di essere più duttili e capace di adattarsi alle nuove condizioni produttive e sociali di quanto pensassero i vecchi teorici del movimento operaio, sia di estrazione marxista che anarchica, e sia di quanto noi stessi in anni giovanili pensavamo.
Il ruolo progressivo della borghesia che Marx, non senza ragione, individuava , è ormai venuto meno, e lo sviluppo tumultuoso del capitalismo convive sia nei regimi cosiddetti democratici, l’occidente capitalistico, sia con regimi oscurantisti come i paesi arabi o in regimi dittatoriali come la Cina.
Da qui bisogna ripartire.
La lezione del passato ci fornisce alcuni strumenti di analisi, ci consegna una strada lastricata di buone intenzioni ma pure di tragici errori, ci lascia in eredità momenti di esaltante costruzione di una possibile nuova società durati, però, troppo poco e circoscritti in ambiti territoriali ristretti, questo è il bagaglio con cui lavorare.
Bagaglio che se diventa manicheismo e nostalgia si trasforma in zavorra e in autoreferenzialismo che ci inchiodano alla mera funzione di patetica testimonianza.
Il Programma politico e la necessità dell’organizzazione
L’anarchismo deve essere aggiornato e liberato da ciò che non conduce agli esseri umani in carne ed ossa e ai loro sentimenti: deve essere depurato da quelle concezioni individualistiche che non emancipano la classe e l’individuo ma si risolvono nell’ideologia borghese e liberale; deve essere liberato dalle implicazioni idealistiche le quali, originate nel mondo delle idee, si allontanano dal mondo reale secondo il più genuino spirito dell’elaborazione filosofica e sociologica borghese.
L’anarchismo comunista dovrà avere una prassi strategica che implichi lo sporcarsi le mani nelle fondamentali contraddizioni della nostra epoca, evitando scorciatoie e privilegiando invece la prassi, la strategia e la tattica di intervento nello scontro di classe.
In troppi ambiti del movimento anarchico la trasformazione e il superamento della società capitalistica rimangono ancora oggi legati all’idea romantica della rottura violenta insurrezionale, intesa come atto volontaristico e propedeutico alla trasformazione sociale. Lo stesso gradualismo malatestiano, per lo più inteso come prassi di trasformazione graduale solo dopo che la spallata insurrezionale ha spazzato via la cappa soffocante dello Stato, presuppone un’idea meccanica del processo di trasformazione laddove, prima dell’evento di rottura, l’azione, intesa come agitazione, propaganda, formazione dei quadri, ovvero un’azione che si misura più in termini di crescita numerica dei militanti piuttosto che in rapporto alla capacità di incisione dell’azione politica sulle condizioni di vita del moderno proletariato e sull’estensione del suo ruolo di forza autonoma dagli interessi capitalistici. Un’azione che sottovaluti, se non addirittura rimuova e deformi la concreta realtà, che mal valuti le contraddizioni o che le adatti al proprio tornaconto, si condanna all’ortodossia dottrinale, alla testimonianza e all’auto referenzialismo il quale, proprio perché esterno alle pulsioni di cambiamento che attraversano sia pure confusamente altri ambiti di classe e, più in generale l’intera società, non riesce ad andare oltre il proprio piccolo recinto, sopravvivendo a se stessa e rimanendo, per questo suo grave limite, del tutto inefficace.
E’ invece necessario e urgente elaborare una idea di trasformazione sociale che ponga nell’oggi la possibilità di azione politica attraverso l‘organizzazione dei comunisti anarchici (l’organizzazione politica), l’organizzazione sindacale di massa e i movimenti che percorrono orizzontalmente ma anche verticalmente le classi sociali e la società.
Tali movimenti, nonostante le loro contraddizioni per altro tipiche di tutta l’intera società capitalistica, sono talvolta portatori di istanze le quali, sia pure non determinando la rottura degli assetti del sistema capitalistico, aprono in esso profonde contraddizioni, creano fratture e si inseriscono nel contesto più generale di trasformazione della società creando le premesse per un’azione politica rivoluzionaria tesa a riproporre ciò che, con una felice sintesi, veniva definita quella azione capace di coniugare il raggiungimento degli obiettivi immediati con il perseguimento degli obiettivi storici.
Si rende quindi necessaria una politica di alleanze con quei soggetti politici e sociali che pur non condividendo la nostra prospettiva storica condividono gli obiettivi parziali che stanno alla base del programma.
Oggi il ruolo dei comunisti anarchici deve consistere, se vuole essere costruttivo, nell’elaborazione e nell’articolazione di un programma rivoluzionario attraverso un’azione organica, autonoma e visibile nella realtà sociale, e che potrà svilupparsi solo attraverso una chiara definizione organizzativa. Recuperare i tratti fondanti della storia nostra, aggiornarli e riproporli è il compito che ci troviamo di fronte, per mantenere la nostra identità e individuare quali dovranno essere gli strumenti politici e organizzativi idonei a tale funzione e, conseguentemente, avviare una riflessione approfondita sulla transizione tra la società capitalistica e la nuova società comunista anarchica.
Solo un’organizzazione basata su presupposti unitari, omogenei e condivisi potrà sviluppare una linea politica efficace pur in presenza di posizioni diverse che, inevitabilmente, si svilupperanno con il modificarsi delle fasi storiche del ciclo capitalistico, al fine di far progredire l’elaborazione teorica e strategica, garantire la restituzione tattica, lo sviluppo dell’organizzazione, il progresso e il radicamento del comunismo anarchico nella società.
Consapevoli che i dubbi sono più delle certezze, riteniamo che accanto all’affinamento teorico e quindi alla ricerca di un livello qualitativamente alto delle nostre basi, non possiamo astrarci dalla quantità: qualità e quantità stanno in uno stretto rapporto dialettico e sono (possono essere) garanzia contro involuzioni autoreferenziali e settarie.
Oggi nel quadro delle organizzazioni comuniste libertarie e anarchiche vi sono esperienze che come la nostra hanno oramai alcuni decenni di vita, organizzazioni che hanno le stesse premesse teoriche e che hanno sviluppato una prassi d’intervento che ha molti elementi di omogeneità con la nostra pratica politica.
Con Alternativa Libertaria/FdCA abbiamo avviato un confronto serrato, che ha fatto emergere importanti convergenze, la sostanziale unità teorica, un approccio strategico e tattico omogeneo e la grande ricerca dell’unità comune ad entrambi.
Sulla base di queste elaborazioni politiche e di queste considerazioni riteniamo che il nostro ingresso in Alternativa Libertaria/FdCA sia un passo conseguenziale e ormai necessario.
Chiediamo quindi l’adesione a Alternativa Libertaria/FdCA nei modi e nei termini stabiliti dal suo Regolamento Interno.
Fano, 6 gennaio 2017
Compagne e compagni di Livorno e Lucca