La miopia delle politiche migratorie in Italia
E’ sulla pelle delle persone migranti, che subiscono le peggiori violazioni dei diritti umani per il solo fatto di spostarsi da un territorio all’altro – seguendo quello che è un modo di essere umani che ci appartiene da sempre ed è riconosciuto anche dall’Art. 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 – che si stanno svolgendo le diatribe più becere della campagna elettorale per le prossime elezioni politiche.
Il clima di odio e paura coltivato scientificamente dalle destre, e funzionale alla disgregazione di ogni possibile solidarietà di classe, utilizza e stravolge ogni forma di comunicazione, tacciando di buonismo e di elitarismo ogni tentativo di riportare la discussione su un piano realistico.
Particolarmente odiosa è poi la strumentalizzazione di ogni disgraziata vicenda di violenza, che solletica un immaginario predatorio in cui il corpo delle donne, possibilmente bianche, diventa tramite di difesa della razza patria e testimonial di una presunta (petraltro inesistente) superiorità culturale. Lo prova la facilità con cui lo stupro, con tutto il suo carico di orrore, viene costantemente auspicato a chiunque, maschio o femmina, cerchi di ricordare che la violenza di genere, come sappiamo tutt* benissimo, è patrimonio universale del patriarcato in ogni sua declinazione etnica, religiosa o familiare, e rischia di essere esercitata su chiunque si trovi in una, anche momentanea, posizione di minorità.
Alla narrazione di un’accoglienza indiscriminata e fuori controllo, di un inverosimile favoritismo amministrativo ideologico, di uno scenario di giungla urbana, va opposta la corretta conoscenza delle forche caudine di procedure nei fatti inadeguate a garantire il rispetto minimo dei diritti umani e a favorire una effettiva possibilità di reale integrazione.
Per questo è utile fare il punto sulla gestione dell’accoglienza in Italia, a un anno dall’approvazione del Decreto Minniti-Orlando che, ricordiamolo, si innesta di fatto sulla Bossi Fini e sui suoi meccanismi discriminatori.
La procedura virtuosa prevede, a partire dal passaggio nei 4 hotspot che corrispondono ai porti di Lampedusa, Pozzallo, Taranto e Trapani, che chi arriva ai porti venga indirizzato direttamente nei centri di prima accoglienza sperando poi di rientrare nei progetti SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).
Gli SPRAR rappresentano infatti il lato più qualificato dell’accoglienza in Italia, con progetti limitati nel numero ma dedicati anche alle persone con disagio mentale da stress postraumatico, logica conseguenza delle traversie affrontate nella stragrande maggioranza dei casi in questi viaggi della disperazione. Nei progetti SPRAR la presenza dei comuni, quindi la consapevolezza della gente di una accoglienza qualificata è fondamentale: lavorare nei territori per favorire l’integrazione nel tessuto associativo locale di questi centri è spesso un obiettivo realistico, così come contrastare le strumentalizzazioni razziste, che raramente attecchiscono dove sono contrastate tempestivamente da chi sia capace di svelarne l’infondatezza.
Il circuito virtuoso finisce per essere accessibile a chi ha avuto informazioni corrette da parte dei passatori e sa cosa deve dire rispetto alla richiesta di asilo. La maggioranza delle persone richiedenti asilo finisce invece in altre forme di accoglienza (che possono essere legate a vecchi progetti prorogati) ma soprattutto si ritrova nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) gestiti dalle Prefetture e diversi nella loro formula da territorio a territorio. Si può andare da dormitori con centinaia di persone a piccoli progetti territoriali gestiti quasi come gli SPRAR. Dipende dalla costruzione in rete delle strutture che operano nell’accoglienza e quindi dalla cultura di un territorio e delle sue espressioni di terzo settore.
Le persone migranti più povere di informazioni, più fragili e più sole rischiano di non fare domanda per richiedere l’asilo e quindi di finire nei CIE (Centri di Identificazione e di Espulsione) che ancora non sono stati trasformati in strutture regionali con un nuovo nome (CPR – Centri di Permanenza per il Rimpatrio) così come voluto dal Decreto Minniti Orlando.
Anche la richiesta di protezione è stata riformata nella sua procedura dall’ultimo decreto (Minniti Orlando). Ora le Commissioni Territoriali che giudicano la domanda e la sua liceità per ottenere una delle tre protezioni possibili (status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione umanitaria) sono aumentate per snellire le procedure. Sono state istituite sezioni speciali di giudizio per esaminare l’impugnazione delle domande rigettate dalle Commissioni (in contrasto con l’Art. 102 della Costituzione che nega l’istituzione di giudici straordinari o giudici speciali). Queste sezioni non hanno giurisdizione sul tema generale delle migrazioni ma solo sulle domande di richiesta di protezione: quindi si configurano come composte da giudici speciali nell’oggetto del loro compito istituzionale. Il grado di appello è stato abolito riducendo le garanzie di tutela dei diritti umani delle persone migranti, ed è stata abolita l’udienza. Queste nuove sezioni speciali adotteranno un rito camerale senza udienza e sarà presente solo la videoregistrazione del colloquio davanti alla Commissione Territoriale – si usa il futuro perché l’investimento tecnologico lento ancora non ha reso possibile l’implementazione di questa nuova procedura che riduce ancora la tutela dei diritti perché impedisce alla persona di perorare la sua causa di fronte a un giudice.
Per capire poi quali sono le prospettive future della gestione delle migrazioni occorre analizzare anche le fonti di finanziamento dell’UE e i nuovi bandi europei FAMI “Fondo asilo migrazione e integrazione 2014-2020” istituiti per promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio. I nuovi bandi che sono stati promulgati sono dedicati ai minori non accompagnati, ai migranti vulnerabili (minori), all’integrazione linguistica e Inclusione socio-economica, al rafforzamento dei progetti per il Rimpatrio Volontario Assistito e del Rimpatrio Forzato. L’Europa del Capitale dove le merci e i beni immateriali finanziari viaggiano senza frontiere si preoccupa di costruire giovani lavoratori per il sistema del lavoro precario che si sta sempre di più definendo a beneficio dei grandi gruppi. Tutti gli altri migranti che sono sul suolo italiano e che riescono ad avere uno status temporaneo o che sono stati diniegati dopo una lunga permanenza nei progetti (fino a 1 anno e mezzo a volte) hanno come possibile prospettiva solo quella di finire sfruttati senza documenti nelle mani del caporalato agricolo, di finire sbandanti e senza alcuna speranza di integrazione sociale a lavorare come manovalanza della criminalità organizzata, sfruttate/i dai propri connazionali, prostituite se donne senza scampo di risollevarsi, o vivere sulla strada di elemosina o parcheggi abusivi. Anche in questo caso i/le più poveri di legami finiscono nei CIE e sono reclusi per un tempo anche molto lungo prima di essere scaricati all’aeroporto del paese di partenza.
L’Italia ha perso l’occasione di mettere a regime un serio sistema di integrazione: il livello dell’accoglienza è a macchia di leopardo e risente degli equilibri locali, dove non è direttamente condizionato dalle mafie e dalle varie consorterie, dimostrando l’incapacità di gestire l’inclusione in modo integrato, a livello lavorativo, sociale e sanitario. Questo nonostante forme di sperimentazione di eccellenza che però non riescono a fare sistema. Questo nonostante il lavoro sotterraneo e indispensabile di tantissime persone che, operatori sociali formali o informali, spesso con pratiche di sostanziale disubbidienza civile, cercano di allargare le maglie di una legislazione liberticida in nome del rispetto dell’integrità della persona umana. Costruendo per queste persone, invisibili o semiinvisibili, corridoi umanitari e percorsi di salute fisica e psicologica che rendono le nostre città e le nostre provincie di fatto più sicure.
Per costruire un mondo di libertà e uguaglianza, cui la paura sia sconfitta dall’accesso ai diritti e dove sia sconosciuta la sopraffazione è necessario ragionare in termini di costruzione di reti sociali di integrazione territoriali, basate su un lavoro non di sfruttamento ma di reale condivisione orizzontale di tutti i processi, con una prassi cooperativa e sociale basata sull’autogestione. Rilanciando il conflitto sociale e sfidando, dove necessario le norme, dove odiose e restrittive, nel nome dell’emancipazione di classe e del rispetto di genere.
17 febbraio 2018, 100 Consiglio dei delegati di Alternativa Libertaria