Il rispetto del diritto alla salute è una questione politica
1.1 Salute.
1.1.1 Equità.
1.1.2 Universalità.
1.2 Etica della cura: diritto di libertà e obbligatorietà delle cure, nella cronicità e nelle
situazioni di marginalità sociale.
1.3 Stigma: Salute mentale, pericolosità sociale, farmaci, taser, tossicodipendenza
2 DALLA SALUTE ALLA SANITÀ
2.1 Sulla gestione delle strutture del SSN
2.2 Sanità e autonomie regionali
3 FARE AFFARI IN SANITÀ: Privatizzazione, Projet Financing
3.1 Aziendalizzazione vs Privatizzazione
3.2 Convenzioni ed esternalizzazioni
3.3 Project Financing
4 MONDO DEL LAVORO E SANITÀ
4.1 Welfare contrattuale, nuova minaccia per il Servizio Sanitario Universale
4.2 Lavoratori della sanità
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SALUTE, UNIVERSALITÀ, ETICA
1.1.0 Salute.
La condizione di malattia può essere determinato da fattori individuali intrinsechi, difficilmente modificabili, solo per un 20-30% dei casi, mentre per il restante 70-80% il mantenimento della salute sarà determinato da fattori esterni che risentono delle scelte politiche di tutela della salute e non solo di “governo della sanità” in senso stretto, come si è abituati a pensare.
L’importanza di questi prerequisiti esterni all’individuo sono evidenziati anche da organismi (WHO) e studi internazionali e dalla Carta di Ottawa, che traccia le linee guida per la promozione della salute.
La stima quantitativa dell’impatto di questi fattori sulla longevità delle comunità è utilizzata come indicatore indiretto della salute, mostrando come i fattori socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il 40-50%, lo stato e le condizioni dell’ambiente per il 20-30%, i servizi sanitari per il 10-15%, e infine i fattori biologici non modificabili (patrimonio genetico, età, sesso) per un altro 20-30%.
Avere a disposizione un’abitazione sana, non sovraffollata, un reddito adeguato e continuativo, disponibilità di cibo e acqua sicuri e sufficienti, avere un accesso equo a livelli di istruzioni adeguati che influiscono anche sullo stile di vita, vivere e lavorare in un ambiente non inquinato (aria, acqua, rumore, radiazioni, ecc.) con un ecosistema stabile, esente da conflitti armati, avere a disposizione un sistema sanitario universale sono tutti fattori che determinano lo stato di salute.
1.1.1 Equità. Un aspetto importante diventa quindi l’equità sociale perché le disuguaglianze (povertà materiale e di reti di aiuto, disoccupazione, lavoro poco qualificato, basso titolo di studio) sono fattori che riducono la salute fisica e mentale degli individui.
L’equità sociale è un fattore di giustizia, di distribuzione dei fattori che mantengono la salute, di pari possibilità di accesso ai servizi sanitari a fronte di bisogni uguali, mentre invece assistiamo allo smembramento del SSN che porta già oggi milioni di persone a rinunciare a curarsi, o ad impoverirsi per poterlo fare (i soli ticket per prestazioni o farmaci, ammontano ad un costo annuo di 2889 mld, di quote a carico dei cittadini, diverse a seconda della regione di residenza, inoltre spesso non c’è informazione sull’obbligo da parte delle Aziende sanitarie di rimborsare le prestazioni private in caso di non rispetto delle priorità cliniche di erogazione).
Secondo recenti dati del Ministero della salute, applicando la nuova griglia di valutazione, sperimentale fino al 2019, i LEA sono pienamente garantiti per più del 60% ai cittadini solo in 9 regioni, non solo del nord, mentre in altre 6 il livello di garanzia è tra il 50 e 60% e in 5 nettamente insufficiente (inferiore al 50%). Dimostrazione di una situazione drammatica della sanità in Italia, confermando in particolare una cronica carenza dell’assistenza distrettuale.
La rincorsa all’autonomia differenziata sanitario non farà che peggiorare la situazione a livello sia macro (aumentando le diversità tra una regione e l’altra) che micro colpendo anche nelle regioni ricche tutte le situazioni di marginalità sociale e gravando sulle donne il lavoro non retribuito di cura, scaricandolo dal costo sociale: basta pensare alla inadeguatezza del finanziamento del Fondo per le politiche sociali e il Fondo per la non autosufficienza
1.1.2 Universalità. I movimenti e lotte del Sessantotto hanno creato le premesse sociologiche e politiche che hanno consentito 10 anni più tardi, quindi 40 anni fa, l’emanazione in Italia di leggi di civiltà (180 e 194) recepite poi dalla legge n° 833/78 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Il SSN è nato, come la scuola pubblica, come un grande presidio sociale distribuito in modo universalistico nel paese, che è stato capace di trasferire i benefici della medicina in tutto il territorio e in tutti gli strati sociali senza importanti distinzioni di diritto nell’accesso.
Dobbiamo essere consapevoli che in Italia, il modello del SSN garantisce e protegge i diritti umani in tema di salute. Dobbiamo sostenere questo modello universale e gratuito anche nell’ambito dell’accoglienza dei profughi e dei migranti che provengono da paesi in preda alla guerra e alla violenza e alla miseria, in cui oltre a non esserci più i diritti umani fondamentali, non c’è sorveglianza sanitaria e quindi alcun rispetto delle condizioni di salute. Per ora, all’arrivo in Italia il personale sanitario visita queste persone indipendentemente dallo status legale e le inserisce in un meccanismo di protezione della loro salute, ma anche di tutti noi che viviamo su questo territorio, una garanzia. Offrire loro un’assistenza sanitaria di base attraverso gli stessi servizi che sono rivolti a tutti gli altri – anche se la retorica populista vuole vederlo come un dato negativo – è sempre un dato positivo perché entra nel quadro della solidarietà della promozione dei diritti umani che nell’ambito della salute significa miglioramento delle condizioni di vita di tutti.
Circa il 12% dei lavoratori europei erano migranti nel 2015; per loro le condizioni di impiego, rischi per la salute negli ambienti di lavoro, accesso alla protezione sociale e sanitaria, variano notevolmente, portando il dato che per i maschi migranti, il numero di infortuni sul lavoro è significativamente superiore rispetto ai lavoratori non migranti1.
1.2 Etica della cura: diritto di libertà e obbligatorietà delle cure, nella cronicità e nelle situazioni di marginalità sociale.
Negli anni si è verificata un’evoluzione del concetto di VITA, passando dal medievale “diritto sulla vita” al moderno “diritto alla vita, alle scelte di vita e di cura” fino al diritto di scegliere le “non Cure”. A volte la guarigione non è totale l’organismo non ritrova il suo equilibrio e lo stato acuto di malattia si trasforma in condizioni di cronicità e abbandono definitivo della Salute; questa condizione cambia la prospettiva della vita futura escludendo per sempre la possibilità di una reale e completa guarigione. Da molti punti di vista qui si giocano momenti e ruoli molto delicati per il soggetto malato per i suoi familiari e amici, per il personale medico e di assistenza, per l’integrazione con i servizi sociali, per l’aspetto economico. È in questo contesto, quello della cronicità (ma non solo, basti pensare al tema della procreazione assistita, dell’aborto, delle vaccinazioni) che forte nasce il dibattito sull’etica della cura.
L’aspetto base è dato dalla in/formazione del paziente, indispensabile all’autodeterminazione.
Il consenso informato è lo strumento giuridico applicato alla medicina, che consente di certificare la volontà della persona che si trova a essere sottoposta a un atto medico. L’informazione sulle proposte di cura può portare anche al rifiuto del trattamento, cioè il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico, anche quelli necessari alla propria sopravvivenza.
Sempre un’adeguata informazione da parte del medico sul possibile evolversi della patologia in atto consente la Pianificazione scritta delle cure e la manifestazione del paziente dei propri intendimenti per il futuro e l’eventuale indicazione di un fiduciario.
Un’evoluzione di questi strumenti è rappresentata dalle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) che consentono alla persona di indicare a sanitari e familiari le proprie volontà in tema di cure. Siamo soliti pensare a questi strumenti collegandoli alle cure ordinarie o al fine vita, ma dobbiamo farli diventare strumenti di libertà e autodeterminazione anche in quegli ambiti (salute mentale, disabilità, popolazione carceraria) in cui l’assenso del soggetto è spesso disatteso e/o sostituito con l’uso incongruo dell’Amministratore Di Sostegno (ADS).
È necessario che ci facciamo promotori di prassi di in/formazione e denuncia, che portino al loro utilizzo in tutte quelle situazioni in cui l’autodeterminazione della persona viene limitata dalla non conoscenza o dallo stigma derivante da alcune situazioni di marginalità come il disagio mentale, la tossicodipendenza, la carcerazione, la disabilità, la povertà, ecc.
La battaglia ideologica sui vaccini rivela che questa nostra cultura, seppure pluralista, è attraversata da una dilagante paura e dall’incapacità di accettare la malattia, le disabilità e la morte come orizzonte normale, dall’incapacità di accettare il futuro e il destino umano e l’interdipendenza tra gli individui, aprendo una discussione sui valori fondamentali della nostra convivenza civile. Dobbiamo evitare che si formino cerchie divise, da una parte i sani e dall’altra i vulnerabili, limitando l’accesso ai secondi alle stesse opportunità dei primi.
1.3 Stigma: Salute mentale, pericolosità sociale, farmaci, taser, tossicodipendenza
La salvaguardia della salute entra in conflitto con le scelte produttive neoliberiste, e la medicina (che non riesce ad essere, o sceglie di non essere, preventiva), si limita a riparare creando un mercato in cui le persone con i loro bisogni diventano oggetti, numeri, clienti e le prestazioni sanitarie, merci, senza che siano rimosse le cause primarie di malattia.
La medicina svolge quindi per conto del potere, una funzione di riparazione e controllo di coloro che funzionano male, ha quindi il compito di medicalizzare.
In psichiatria la medicalizzazione è portata all’estremo grazie al lavoro in tandem con il sistema giudiziario con la definizione di pericolosità sociale e l’infermità mentale (non ancora aboliti nel codice penale) che permette la completa oggettivazione delle persone, costrette a subire interventi di contenzione chimica, meccanica, istituzionale, e ora anche fisica con la sperimentazione del Taser (elettroshock di strada, anche con esito mortale) da usare in tutte le situazioni di “agitazione”.
L’aggravarsi e prolungarsi della crisi economica, può causare disagio mentale. È dimostrato che abitare in una casa troppo affollata, essere disoccupati o preoccupati per la continuità del reddito, genera problemi di depressione e ansia. Gli indicatori di salute mentale sono in peggioramento in Italia, soprattutto tra gli adulti maschi, senza distinzione di gruppo sociale, come mostrano le indagini sulla salute dell’Istat e del Servizio Sanitario Nazionale.
A fronte di queste evidenze, la persona non è considerata per i suoi bisogni, ma “curata” per i suoi sintomi: la “riparazione” avviene ormai quasi esclusivamente con l’uso (incongruo) di psicofarmaci che oltre a non rimuovere le cause del disagio, favoriscono la cronicizzazione del disturbo rendendo invalide le persone che li assumono senza interruzione e diminuendo la loro aspettativa di vita.
Si completa l’opera con il ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio (per nulla eccezionale come vorrebbe la legge che lo ha previsto e con grandi differenze nell’uso nel territorio nazionale) con l’internamento in uno dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (n° 329 nel 2015), dove nella maggior parte dei casi (circa in 300 SPDC) alla sedazione chimica si aggiunge la pratica del legare le persone, che può causare anche la morte come diversi casi hanno purtroppo dimostrato.
Anche in Italia quindi, nonostante l’avanzata legge quadro n. 180/78, nei servizi e con le “cure” nell’ambito della salute mentale, avvengono violazioni dei diritti umani o discriminazione di cui sono vittime le persone con disturbo mentale o con disabilità psicosociali.
Basti pensare alla pratica dell’elettroshock ora ribattezzato TEC, terapia elettro convulsivante, ancora in uso e anzi in forte ripresa anche in strutture pubbliche, nonostante perfino un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite (sett. 2018) conferma che secondo il Referente Speciale Catalina Devandas Aguilar “gli interventi forzosi, siano elettroconvulsivi, psicochirurgia, sterilizzazione forzata o altri trattamenti invasivi, dolorosi e irreversibili, sono tuttora consentiti in violazione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità”.
La totale indifferenza dimostrata a tutti i livelli (operatori sanitari, familiari, società civile) riguardo queste pratiche, indica che gran parte della psichiatria istituzionale, nell’attuale contesto socio-economico, diventa la cartina al tornasole del rapporto tra classi e punto nodale del sistema di controllo sull’individuo. Lo stesso stato che nelle linee guida promuove la lotta allo stigma nei confronti dei pazienti con disagio psichico, permette di legarli e rinchiuderli in servizi ospedalieri chiusi, a causa della loro presunta pericolosità, garantendo loro meno diritti di quelli previsti per i reclusi in carcere, e sentendosi al contempo irresponsabile della loro sorte.
Lo stigma nei confronti della malattia mentale e della tossicodipendenza, lungi dall’essere combattuto, porta non solo esclusione sociale, ma anche violazione del diritto alla salute e alla libera scelta delle cure, come le vicende di persone morte negli SPDC o nelle carceri (paradigmatico per tutti il caso Cucchi) dimostrano.
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DALLA SALUTE ALLA SANITÀ
2.1 Sulla gestione delle strutture del SSN
L’aziendalizzazione delle strutture sanitarie introdotta nel 1992/93 non è riuscita a liberarle dal controllo da parte del potere partitico, ma ha introdotto i semi della privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale.
Secondo questa riforma, l’azienda sanitaria (territoriale o ospedaliera) è gestita da un Manager che dovrebbe essere super partes, capace di gestire al meglio le risorse disponibili, fornendo servizi in risposta ai bisogni dei cittadini. Il Manager avrebbe dovuto scegliere in autonomia i propri collaboratori e avrebbe dovuto rispondere personalmente del proprio operato.
Ma la nomina dei Manager (e spesso di tutto lo staff strategico, e anche dei primari e altri dirigenti) è politica, se non clientelare, tanto che neppure i Sindaci, legalmente responsabili della salute dei cittadini, conoscono il mandato dei Direttori Generali (DG) delle Aziende sanitarie. Il cittadino non può esercitare nessun controllo su queste scelte, delega ogni preferenza successiva al momento del voto, non partecipa alla gestione della sanità che paga con la tassazione generale.
SIAMO PER:
La partecipazione diretta dei cittadini, attraverso momento collettivi di confronto, alle decisioni sull’utilizzo delle risorse.
2.2 Sanità e autonomie regionali
In Italia le disuguaglianze di salute sono più intense nelle regioni del sud che in quelle del nord, ma invece che rimediare riducendo le differenze, negli ultimi anni sono sempre più presenti spinte autonomiste con la richiesta di ridurre il patto di solidarietà tra regioni, con una spartizione egoistica e cieca delle risorse disponibili che concorrono a formare il fondo sanitario da suddividere in tutto il territorio
Alcune regioni del nord (esempio Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) si sentono dissanguate per le alte cifre di contribuzione verso la sanità del sud, e richiedono di mantenere le proprie risorse relative al PIL prodotto (prima gli italiani, ma alcuni sono più italiani di altri?).
In realtà economisti sanitari che hanno provato a fare un po’ di conti, ci indicano che la contribuzione avviene anche da parte delle regioni del centro (anch’esse con una produzione del PIL sopra la media nazionale) e, con approssimazione, il contributo del Nord verso la sanità del Sud, è pari a circa l’1,2% del PIL, senza tener conto di quanto meridione e meridionali contribuiscono alla realizzazione di detto PIL settentrionale. Paradossalmente, ma non troppo, la Lega ha chiesto voti al sud per acquisire un potere che le permetta di favorire le regioni del nord, Lombardia e Veneto in primis.
SIAMO PER
Il mantenimento dell’universalità della salute e dei servizi sanitari in tutto il territorio
Contenere le spese sanitarie:
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riducendo i determinanti le malattie aumentando gli investimenti e le politiche di protezione degli ambienti di vita e lavoro, di sostegno al reddito, all’istruzione, alla casa, non subordinando la salute al profitto.
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togliendo il profitto dalla gestione di un bene non disponibile come la salute e del diritto alla cura, riabilitazione e assistenza
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lottando contro la corruzione, attività che in sanità fa ancora buoni affari (circa 6 mld/anno)
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riducendo l’uso incongruo di psicofarmaci che aumentano la cronicità e l’invalidità dei pazienti che li assumono e i costi per la loro successiva assistenza
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applicando la tecnologia a disposizione non per ridurre la spesa, ma per consentire ai professionisti della salute di occuparsi in modo più adeguato dei pazienti (il tempo di ascolto è tempo di cura)
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ridare risorse ai Consultori familiari per consentire di riprendere la funzione per cui erano stati istituiti più di 40 anni fa, tra cui la prevenzione
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FARE AFFARI IN SANITÀ: Privatizzazione, Projet Financing.
Il diritto alla salute è sotto attacco da sempre da parte del Capitale, per l’influenza che la produzione ha sull’ambiente, sulla sicurezza sul lavoro, sulla mancata equa ridistribuzione delle risorse economiche, ecc.
3.1 Aziendalizzazione vs Privatizzazione.
Il diritto universale alla sanità è stato messo sotto attacco con l’espandersi di politiche neoliberiste che con la firma nel 1992 del trattato di Maastricht, hanno portato all’aziendalizzazione delle strutture sanitarie, che ha aperto di fatto la porta alla privatizzazione della sanità, cioè alla creazione di PROFITTO sui bisogni delle persone, erodendo la garanzia di accessibilità ai meno abbienti, quindi alla equità e universalità, trasformando il cittadino in CLIENTE, anche nella sanità pubblica.
3.2 Convenzioni ed esternalizzazioni.
Da un punto di vista gestionale, alle già presenti convenzioni (basti pensare ai Medici di Medina Generale) si è dato il via alle sempre più numerose esternalizzazione dei servizi anche sanitari, e alla precarizzazione dei lavoratori. L’obiettivo non è come si vuol far credere, la riduzione dei costi né tantomeno il miglioramento qualitativo dei servizi, ma semplicemente il permettere ad aziende private (profit e non profit) di attingere a risorse economiche provenienti dalle tasse pagate dai dei cittadini, in precedenza destinate al solo obiettivo di “produrre salute”, in un vortice di sussidiarietà, clientelismo e corruzioni, come dimostra ad esempio, il frequente interessamento da parte della magistratura a modelli sanitari come quello della regione Lombardia.
Alcuni studi di settore, inoltre, indicano che la qualità delle prestazioni erogate è migliore per le strutture pubbliche rispetto a quelle private e ci dimostrano, ad esempio, che nelle regioni dove è alta la presenza di ospedali privati, la qualità dell’area di Emergenza è scadente, perché il pronto soccorso non è un settore remunerativo su cui investire.
3.3 Project Financing2:
Ad accelerare il flusso di soldi verso il privato contribuiscono contratti di collaborazione pubblico/privato come il progetto di finanza in cui i privati in cambio ad esempio di un finanziamento anche parziale per la costruzione di un ospedale, ricevono oltre alla restituzione del capitale iniziale, la concessione di tutti i servizi “esternalizzabili” (ristorazione, sanificazione, lavanderia manutenzione e ingegneria clinica, assistenza informatica, trasporti sanitari per esami diagnostici o per il domicilio, consegna domiciliare di farmaci, presidi per la nutrizione, ecc.) più tutto ciò che ad essi si potrà aggiungere (purché non strettamente sanitari, il c.d. CORE): uffici amministrativi (esempio: casse, gestione paghe), logistici (magazzini), tecnici (progettazione), trasporti interni (posta, barellaggio, beni) e di collegamento tra le varie sedi, parcheggi a pagamento, ecc.. a un canone che resta immutato fino alla scadenza, indipendentemente dalle flessibili esigenze dalla azienda sanitaria.
COSA FARE
È necessario segnalare i rischi di perdita economica e di qualità per i cittadini connessi a questo sistema:
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il contratto di concessione avviene assieme all’affidamento della realizzazione dell’opera: nel contratto dovrebbe essere chiaro che le tariffe sui servizi dovranno essere pagate quando l’opera è consegnata e funzionante, non in anticipo.
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questo tipo di “appalto” in concessione abbassa il livello di concorrenza tra le imprese di servizi creando di fatto un monopolio, con ricadute negative sui costi e sulla salvaguardia delle categorie di lavoratori svantaggiati.
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la P.A. stipula l’accordo con l’operatore privato titolare del PF, ma non ha possibilità di intervenire sulla valutazione e scelta della ditta a cui verrà sub-appaltata l’esecuzione del servizio (es. pulizie, ristorazione, ecc.)
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la P.A. perde il potere di risolvere il contratto di appalto nel caso il controllo della qualità del servizio dimostri inadempienza rispetto al dovuto: le contestazioni al concessionario (che non è il gestore) renderanno difficoltosa la gestione delle criticità a scapito dell’utenza, tanto più se (come spesso accade) il contratto di concessione sarà pluridecennale!
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MONDO DEL LAVORO E SANITÀ
4.1 Welfare contrattuale, nuova minaccia per il Servizio Sanitario Universale
Poiché i dimostrati fattori di rischio per le malattie non trasmissibili, come basso reddito e livello di istruzione, o salubrità dell’ambiente, dello stile di vita, non trovano sufficienti investimenti per l’intervento di prevenzione e cura, la salute in generale non sarà salvaguardata e aumenterà invece il bisogno di prestazioni sanitarie.
Le stesse politiche sanitarie hanno incoraggiato l’affermarsi della medicina difensiva e prescrittiva, incrementando inevitabilmente lo shopping di prestazioni sanitarie, spesso inappropriate, trasformando la salute in una merce come le altre. Facendo leva sulla paura della malattia e della morte, si offrono, ad esempio, check-up medici o pacchetti assicurativi di prestazioni, o si vendendo farmaci a persone sane, o si ampliano i fattori che favoriscono la sovradiagnosi3.
Tempi di attesa di oltre un mese nella sanità pubblica, portano i cittadini che possono permetterselo, a rivolgersi al privato, anche se non c’è un’effettiva necessità clinica. Su questo bisogno fa leva l’offerta della sanità integrativa che per alcuni lavoratori è inclusa da qualche anno nel CCNL, con il nome di welfare contrattuale (WC).
L’introduzione del WC non migliorerà la salute dei cittadini, e non ridurrà la spesa privata per la sanità, ma farà guadagnare i Fondi Sanitari e similari, per la loro mediazione tra i privati/clienti e i privati che erogano i servizi; da un punto di vista del business sanità, l’uso del WC può indurre un aumento della richiesta di prestazioni inutili, se non iatrogene a lungo temine e inoltre ridurrà le risorse economiche disponibili per il fondo sanitario nazionale attraverso defiscalizzazione e detassazione (a cui si aggiungeranno i mancati introiti provocati dall’applicazione della flat tax con ulteriore impoverimento del SSR).
Diciamo NO al welfare contrattuale
Perché è contrario al principio di universalità del diritto alla salute e alla sanità.
Perché il WC favorisce ed aumenta l’espansione del privato a danno del pubblico, nel nome del profitto e non del servizio reso.
Perché i profitti in sanità dei privati sono reinvestiti solo in impianti, macchinari e mezzi che garantiscono altro facile profitto, mentre ciò che è a elevato costo resta in capo al pubblico, a carico della collettività.
Siamo per:
contrastare la trasformazione in atto del diritto alla salute, ovvero l’egualitarismo e l’universalismo del SSN rivolto a tutti i cittadini, compresi precari, disoccupati, pensionati, italiani e stranieri, ecc. in privilegi differenziati legati al censo e al contratto di lavoro, assecondando gli interessi categoriali invece che quelli collettivi
contrastare chi vuole utilizzare il diritto alla salute e i bisogni di sanità dei cittadini per incrementare il mercato della sanità, distruggendo un sistema universale, usando soldi pubblici per sistemi privati riservati, attraverso la defiscalizzazione e la detassazione e obbligando all’intermediazione, la spesa sanitaria privata
4.2 Lavoratori della sanità
L’erogazione di servizi sanitari è basata in larga parte sull’attività delle risorse umane, la cui assenza o carenza determina il mancato soddisfacimento di principi riconosciuti da tutti ma, purtroppo, solo a parole: occorre quindi, invertire la tendenza di riduzione del personale. In questa società schizofrenica i lavoratori dipendenti sono considerati un peso perché rappresentano un costo, ma sono chiamati “risorse umane”, quindi con un appellativo che ne sottolinea l’importanza, la necessità, l’indispensabilità… è indispensabile quindi, la salvaguardia della risorsa di professionalità rappresentata dal personale della sanità pubblica.
Concorrenza tra lavoratori
Lunghi anni di vacanza contrattuale per i dipendenti della pubblica amministrazione, hanno comportato la perdita del potere d’acquisto dei loro stipendi.
Sappiamo che il trattamento, non solo economico, dei lavoratori della sanità privata, è inferiore a quello dei colleghi pubblici, almeno per il comparto, e che stanno attendendo il rinnovo del CCNL da oltre dodici anni, come succede anche per quelli del terzo settore.
Per la dirigenza, invece, c’è una corsa da parte dei privati all’accaparramento dei medici, che per effetti di lunghi anni di insensato ricorso nelle università al numero chiuso nella formazione di base e specialistica, sono ora insufficienti nel mercato. La sanità pubblica, invece di assumere, per contenere i costi offre a giovani medici, per servizi di continuità delle cure (guardia medica, strutture per post acuti, rete cure palliative, ecc.) convenzioni a 25€ lorde ora, con cui si ricavano stipendi il cui ammontare è di circa un terzo rispetto a quello dei medici di medicina generale, anch’essi in convenzione, ma con forte potere contrattuale.
Le Aziende sanitari sono indotte dal blocco delle assunzioni o da tagli lineari al capitolo di spesa per il personale, a operazioni di esternalizzazione di strutture anche sanitarie, per recuperare operatori sufficienti a garantire il funzionamento dei reparti ospedalieri e dei servizi territoriali. Le ditte private assicurano la continuità del servizio gestendo le proprie risorse umane (orari, ferie, malattie, turnover, congedi per maternità), con scarse garanzie per le stesse, spesso disattendendo anche quelle previste dai CCNL o applicando CCNL firmati da OOSS di comodo, rappresentative più della parte datoriale che dei lavoratori.
Spesso i servizi esternalizzati sono gestiti da Cooperative.4 che si alternano un appalto dopo l’altro. I loro dipendenti, se garantiti per contratto, passano da una cooperativa all’altra, ma non sempre con le stesse retribuzioni e garanzie, perché se per vincere l’appalto si ricorre ad un ribasso poi insostenibile, è chiaro che chi ne farà le spese saranno i salari dei lavoratori e i loro diritti.
Siamo per
un unico CCNL per i tutti i lavoratori della sanità, pubblica e privata, compreso il terzo settore
la costituzione di comitati di salvaguardia del bene SALUTE e del diritto ad una SANITA’ UNIVERSALE in cui cittadini e professionisti, pazienti e operatori si uniscano nel contrastare lo smantellamento del SSN così come era stato conquistato con le lotte di uomini e donne per un diritto ad una vita dignitosa.
1 Salute Umana, n° 272 ott-dic 2018, pag. 9
2 Questo sistema prevede due tipologie di opere e conseguente tariffazione:
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tariffazione sull’utenza (opere fredde) in cui l’operatore privato assume la gestione del servizio e ne ricava direttamente il profitto (es. parcheggi, autostrade, termovalorizzatori ecc.)
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tariffazione sulla Pubblica Amministrazione (opere calde) sono progetti in cui l’operatore privato trae la propria remunerazione esclusivamente o principalmente, dai pagamenti effettuati dalla P.A. attraverso canoni di disponibilità, canoni di servizio, contributi pubblici in fase di realizzazione (esempio: ospedali, scuole, carceri). da Vincenzo Rebba, lezione di economia sanitaria aa 2012-13
3La sovradiagnosi e la definizione di malattia sono due concetti strettamente correlati, in quanto la seconda è un elemento essenziale che va a determinare la possibilità che si realizzi la prima. La diretta e più immediata conseguenza di tale legame è una possibile eccessiva prescrizione di trattamenti, che potrebbero comportare effetti avversi maggiori dei benefici attesi.
4 Le società cooperative, in particolar modo le cooperative sociali, dovrebbero essere un partner della PA con l’obiettivo di favorire l’inserimento nel mondo lavorativo di soggetti svantaggiati: nella realtà le gare di appalto al massimo ribasso, rendono ormai impossibile questa funzione riabilitativa ed inclusiva.
Mozione approvata al X Congresso di Alternativa LIbertaria/fdca,
Fano, 30 marzo 2019
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