ANALISI DELLA SITUAZIONE LATINAMERICANA
America latina, terra indomita e ribelle, erede di secoli di lotte e resistenze, dove la magia invade il realismo, luogo in cui stiamo attraversando una situazione critica in termini ecologici, umanitari e sociali. Oggi assistiamo ad una svolta, nella quale le minacce sui nostri corpi e sui nostri territori sono sempre più concreti, e perciò l’indecisione e le mezze misure devono essere combattute con posizioni e proposte. È nostro dovere storico, come anarchici, generare spazi per il dibattito e la critica, in cui prevedere i giorni di lotta che ci attendono. Inoltre, è necessario proporre nuove categorie di analisi per mirare in maniera più puntuale ciò che oggi è in discussione.
Negli ultimi decenni, i nostri territori sono stati utilizzati come spazio per le lotte geopolitiche degli imperialismi; Cina, Stati Uniti, Russia, Turchia, tra altri, disegnano i propri interessi sugli spazi in cui abitiamo, perciò è necessario rompere con la vecchia analisi nella chiave della Guerra fredda, nella quale gli interessi degli Stati Uniti erano dispiegati nel Continente senza alcun contrappeso. Oggi ci sono molti attori in questa lotta geopolitica. Non possiamo cadere nella miopia e indirizzare tutte le nostre critiche solo agli Stati Uniti che, certo, in questa lotta geopolitica, cercano di garantirsi quest’area come un proprio “cortile”, del resto preteso da sempre, e sebbene abbiano una grande responsabilità nella miseria di vasti territori, non sono i soli a portare avanti una politica imperiale.
Siamo di fronte a un forte avanzamento della destra e dell’estrema destra in tutta l’America Latina. È un fenomeno su scala mondiale, poiché diversi partiti di medesimi orientamenti stanno crescendo elettoralmente in Europa, ormai da tre decenni, in paesi dell’ex blocco dell’Est è rinato con insolito vigore, e nel resto del Continente diverse espressioni dello stesso segno guadagnano spazio. Negli Stati Uniti, Donald Trump è un esempio del medesimo fenomeno, con la particolarità di produrre effetti sulla sua politica imperiale per l’area latinoamericana e il mondo.
Già sotto l’amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno sostenuto e organizzato il colpo di stato in Honduras nel 2009, iniziando questa svolta graduale verso un maggiore controllo su ciò che chiamano il loro “cortile”. Questo golpe ha avuto la sua continuità nel colpo di stato in Paraguay nel 2012 e nel “colpo morbido” in Brasile nel 2016. Questo clima ha facilitato l’ascesa elettorale in Argentina di Macri nel 2015 e Duque in Colombia nel 2017. Nell’unico paese in cui avanzò il “progressismo” fu in Messico, ma si tratta di un caso molto relativo.
La destra ha organizzato il suo “ritorno” a capo dei governi. In ogni paese ha sviluppato una forte campagna contro i “progressismi”, ha creato un asse della corruzione – in cui sono coinvolti tutti i settori politici, come è diventato chiaro in Brasile con Lava Jato – ma si è anche organizzata a livello latinoamericano, sempre con il supporto imperiale.
Questi governi – Macri e Bolsonaro – hanno sostenuto il Gruppo di Lima, uniti a quella serie di governi recalcitranti che gridano “democrazia” all’esterno ma che applicano politiche antipopolari e repressive al loro interno. E in particolare nel caso di Bolsonaro che parla direttamente contro la democrazia borghese, instillando l’idea di governi decisamente dittatoriali. È questo gruppo di paesi che è servito da copertura latinoamericana ai tentativi golpisti della destra venezuelana appoggiata dagli Stati Uniti. Essi manovrano apertamente la possibilità di un’invasione degli affari loschi nord-americani, come in passato, ricorrendo ai meccanismi dell’OAS e del TIAR [Patti multilaterali segreti che contemplano l’uso delle forze armate, N.d.T.].
Questa svolta continentale a destra non è da meno. Il sistema capitalista, dopo una feroce applicazione del neoliberismo, ha consentito a fronte degli attacchi popolari alcuni “cambiamenti”, alcuni miglioramenti, un certo “allentamento” per perfezionare il dominio e il costante saccheggio degli sfruttati. Nel periodo chiamato “progressista” vi furono alcune politiche sociali per contenere la povertà, di grado diverso a seconda del paese. Avevano un denominatore comune per consentire un certo miglioramento nella vita dei settori più poveri della società, ma, gestendo la povertà, non sono state generate vere politiche del lavoro, concedendo loro un certo assistenzialismo o, al massimo, del lavoro esternalizzato e precario, dove è lo Stato stesso che esternalizza compiti, arricchendo aziende o ONG e generando una classe lavoratrice molto più precaria e senza diritti, amputata nelle sue istituzioni e nei processi di lotta.
Le attività estrattive, sia dei governi progressisti di diverso segno sia di quelli liberali, come regime e dinamica neocoloniale prevalente in tutta l’America Latina, ha solo approfondito lo scambio ineguale tra i territori e la divisione internazionale del lavoro come espressioni storiche della lotta di classe, intensificando lo sfruttamento di grandi risorse naturali (materie prime) verso l’esportazione. Le riorganizzazioni geopolitiche hanno delineato nuove strategie per aumentare la circolazione delle merci verso i centri industriali, aprendo percorsi in luoghi mai pensati prima, così come la serie di progetti IIRSA-COSIPLAN; nuovi progetti di accordi di libero scambio come TPP-11 (che include Messico, Perù e Cile come paesi dell’America Latina); disputandosi gli ultimi beni comuni naturali del pianeta. Le conseguenze inerenti a questa dinamica di sfruttamento della natura, ha comportato importanti processi di deterritorializzazione attraverso migrazioni locali e globali; la perdita di biodiversità; l’aumento della violenza contro i corpi femminizzati e razzializzati (donne e altre sessualità -non binarie e trans-), includendo l’assassinio su commissione e, infine, i casi di corruzione che abbiamo visto con il caso Odebrecht, che coinvolge una rete tra diversi Stati.
Occorre sottolineare che l’egemonia dei progressisti nella prima decade negli anni 2000 ha intensificato il saccheggio e lo sfruttamento dei nostri territori, poiché i loro programmi “con enfasi sociale”, si basa sull’estrazione di beni naturali e della loro vendita ai paesi industrializzati, in questo senso i governi progressisti hanno ridistribuito le briciole di un’epoca d’oro, di crescita del prezzo internazionale delle materie prime. Hanno gestito alcuni miglioramenti salariali e politiche sociali, ma i fondamenti del sistema non sono stati toccati. Queste politiche avevano come comune denominatore il miglioramento delle condizioni di vita dei settori più poveri della società, ma che fungevano contemporaneamente come elemento di contenimento sociale e, allo stesso tempo, si diede vita a quell’apparato statale afflitto da una casta politica ricca e parassitaria, e senza mettere in discussione gli affitti dei terreni e i processi estrattivi come pilastri economici del male chiamato “Progresso”.
Allo stesso tempo, le classi dirigenti latinoamericane hanno moltiplicato i loro profitti e il divario tra ricchi e poveri è aumentato.
Ma i ricchi non volevano perdere il controllo amministrativo dello Stato. È il loro Stato, parte del loro potere di classe si trova lì ed è condensato nelle loro istituzioni. Non erano disposti a permettere ai “parvenu” di prenderne il controllo per lungo tempo. Alcuni anni sono riusciti a sopportarli, mentre riparavano la casa dopo il saccheggio degli anni ’90. Ma stavano diventando impazienti.
Questo significa che i governi “progressisti” sono l’uscita necessaria e che sono l’antitesi della destra? NO. In primo luogo, oltre a consentire un arricchimento storico delle borghesie locali e multinazionali, i governi progressisti hanno ridistribuito poche risorse in un momento di crescita del prezzo internazionale delle materie prime. Dopo quel boom, sono tornate le difficoltà economiche e la crisi. Ma non hanno usato questo “periodo di abbondanza” per investire nella generazione di lavoro a livello industriale, né alcuna riforma agraria o trasformazione radicale dei servizi alla popolazione, ecc. I governi progressisti hanno consentito uno sbarco su larga scala di progetti di estrazione di beni naturali nel continente: grandi miniere, petrolio, piantagioni di soia e silvicoltura, progetti idroelettrici… tutto a beneficio del capitale multinazionale, in particolare cinese negli ultimi tempi. Tutto ciò nell’ambito del Piano IIRSA, un piano di saccheggio progettato dagli Stati Uniti. Le linee generali del sistema non sono state modificate, si sono semplicemente adattate al nuovo corso per cui, appoggiandosi ad un relativo consenso popolare, è stato più semplice attuare pienamente la politica di saccheggio.
La ridistribuzione della ricchezza era limitata. Ma come abbiamo detto, i fondamenti del sistema non sono stati toccati: proprietà privata, né ridistribuzione della ricchezza né relazioni di potere. Anche così, la borghesia e i settori più conservatori non erano disposti a tollerare di più Lula, i Kirchner o chiunque non provenga dal loro sangue. Un chiaro odio di classe percorre il continente e istilla il suo veleno nei popoli.
Ma anche in questo periodo ci sono stati due processi che hanno le loro peculiarità in questo quadro: il venezuelano e il boliviano. In Venezuela, guidato all’epoca da Chávez, sono stati sviluppati più “comuni” che, come affermano alcuni comunicati stampa, oggi hanno un volume trascurabile di persone coinvolte e un certo sviluppo nelle attività economiche, culturali e sociali, senza alcun legame con lo Stato. C’è stata una rottura in comparazione al periodo precedente, laddove persino i militari, i burocrati e i “bolirricos” volevano controllare questo processo e prendere a piene mani il denaro che era stato investito in questa esperienza.
In Bolivia, uno “Stato plurinazionale” a metà ma dove si registra l’influenza del movimento indigeno e contadino, lo stesso che è stato protagonista, nel 2000 e nel 2003, delle insurrezioni della “guerra del gas” e della “guerra dell’acqua”, abbattendo governi e ponendo un freno al neoliberalismo. È quella mobilitazione che imprime un carattere diverso ai processi storici che vivono i popoli. Ricordiamo che nel periodo precedente, il continente è stato scosso da ampie mobilitazioni popolari che hanno causato la caduta di più di un governo.
La situazione in Colombia merita un capitolo speciale, in cui dopo la firma degli “accordi di pace” sono stati uccisi oltre 570 militanti sociali.
Un settore delle FARC è tornato alla lotta armata, il che dimostra che non vi è alcuna garanzia o possibilità di pacificazione nel paese.
I paramilitari, i gruppi di trafficanti di droga e l’esercito continuano ad esprimere una violenza crescente nei confronti degli oppressi (los de abajo). La Colombia vive in costante guerra; tuttavia, i media mostrano il loro governo come “democratico”, essendo il paese latinoamericano che riceve più sostegno militare dagli Stati Uniti, ed è vitale per i suoi interessi. Incluso nella possibilità di un’escalation o di un conflitto al confine con il Venezuela.
Negli ultimi anni il movimento popolare colombiano ha condotto importanti lotte, in particolare le organizzazioni contadine e indigene, e perciò i processi di occupazione e di recupero del territorio sono stati più che rilevanti insieme agli scioperi agricoli.
Oggi la destra attacca con ogni mezzo la vita. Prova di ciò sono gli incendi in Amazzonia, dove governi come Bolsonaro danno “carta bianca” per depredare la natura e promuovere il genocidio indigeno a beneficio del grande capitale agricolo. È un’espressione di un proto-fascismo aggressivo in sommo grado, che non lesina mezzi per espandere il dispiegamento del sistema capitalistico. Si tratta di un neoliberismo imposto con totale aggressività e applicando la massima dell’Impero britannico, “cagandosene di tutte le conseguenze”.
Uno stretto giro di vite
La borghesia latinoamericana ha la necessità di riprendere il timone del governo in tutto il continente. Lo necessita per imporre un aggiustamento più ampio, un aggiustamento duro come quello che Macri ha imposto dal 2015. Pensiamo, tuttavia, che questa destra conta solide basi di supporto: in Perù non hanno mai perso il governo in nessun momento, compresi tutti i possibili scandali di corruzione; in Colombia l’ultra destra controlla il governo con Iván Duque (governa l’uribismo) e in Cile la “Concertación” già sciolta ha governato sotto la logica pinochetista e neoliberista. Piattaforma di lancio per nulla di trascurabile.
Molte delle svolte provenivano dal progressismo stesso o dai suoi alleati. Lenin Moreno in Ecuador è stato il successore di Rafael Correa e ha preso una svolta importante a livello politico sia internamente che nella regione. Michel Temer ha effettuato un “golpe blando” parlamentare in qualità di vicepresidente del governo di Dilma Roussef.
In Uruguay, vari referenti del Frente Amplio sono ora separati dal Venezuela e qualificano il governo di quel paese come una “dittatura”, in linea con il Gruppo Lima e l’OAS. Alcuni di questi, come José Mujica, che fino a ieri ha ricevuto denaro a piene mani dal Venezuela, oggi si mostra per quel che è: un opportunista che cambia posizione in base alla direzione del vento. Ora il Venezuela non invia più denaro a causa del blocco economico e della crisi che vive il paese, generata e approfondita tra le altre organizzazioni dall’OSA, il cui segretario generale Luis Almagro, è stato collocato lì con grande aiuto dello stesso Mujica. Si può dire che tra i “progressisti” vi sono personaggi di ogni risma, degni di una cronaca delle più grandi infamie dell’umanità.
In Uruguay ci sono elezioni in ottobre-novembre, come in Argentina. La disputa riguarda il grado di aggiustamento e di repressione: se il Fronte largo guadagna il suo quarto governo, ci sarà un aggiustamento e girerà a destra in misura minore che se vincesse l’opposizione, ma la discussione è il grado di aggiustamento. E sarà accompagnato dalla repressione; come si è visto nelle mobilitazioni contro l’installazione della terza cartiera nel paese, dove la polizia agisce per difendere gli interessi del capitale multinazionale sotto un governo progressista.
La destra, in breve, viene fornita con il libretto neoliberista duro e puro.
Le alleanze tessute in molti casi da questi cosiddetti “partiti progressisti” sono caratteristiche di un film horror: il PT si alleò con la destra più rancida e reazionaria per ottenere i voti in parlamento… comprati anche con denaro, come rivelano le trame messe in atto tanto da Mensalao quanto da Lava Jato.
Ma è qui che la destra fa funzionare a pieno i meccanismi del sistema che in altri momenti non hanno avuto la stessa rilevanza: il sistema giudiziario è stato utilizzato come dispositivo di potere di per sé corrotto, e diversi giudici sono i nuovi “crociati” dell’austerità e della giustizia. Esattamente in questi momenti si dimostra che la storia della corruzione è più ampia di quello che possiamo immaginare e che il gioco della destra per rimuovere chiunque dalla sua strada non si fa scrupolo dei meccanismi che utilizza.
La destra chiede il controllo politico totale. E riprendere i negoziati che consente la conduzione dello Stato: offerte, tangenti, acquisti, varie attività commerciali, di cui non si è mai fatto a meno, ma la sua voracità non ha limiti. Esiste una sorta di “genetica” che ti dice che, indipendentemente da quanti “governi progressisti” governano per loro, proteggono i loro affari e i loro interessi di classe, che contengono i poveri e rinforzano l’apparato repressivo, questi “progressi” non provengono dalla loro culla, non sono borghesi nella loro natura. Per la borghesia, non sono affidabili, anche se hanno fatto molto bene i compiti. Vi è un istinto di classe che questa borghesia industriale-rurale-finanziaria-commerciale dell’America Latina esprime lì, gettando nelle strade con una forza inaudita un chiaro odio di classe. Non vogliono perdere neanche un pizzico del loro potere. Non sono nemmeno disposti a tollerare misure palliative, non parliamo nemmeno di riforme di una certa profondità, come è accaduto negli ultimi decenni con populismi o governi a favore dello sviluppo o liberal-riformisti. Sono neoliberisti di pura razza, nel loro sangue circola l’odio verso gli oppressi e la costante sete di trasformare il mondo in un business. E affinché questo business funzioni per loro, è necessario sempre più terrore di Stato. Gli attacchi provengono da tutte le parti, con riforme del lavoro e delle pensioni, tagli ai budget per l’istruzione, chiudere un occhio davanti agli incendi, deforestazione e uccisioni di indigeni e di poveri. In Brasile, le centrali sindacali chiamano il fermo per un giorno di “sciopero generale” e non sembrano dissociarsi dalla cosiddetta “Lula libera”. Tuttavia, i nostri sforzi continuano a promuovere l’organizzazione dalla base e sostenere le lotte con azioni dirette, come l’occupazione da parte degli indigeni nel Segretariato speciale per la salute degli indigeni (SESAI), contro licenziamenti di massa in quell’ente di sanità pubblica e le occupazioni nelle università, come nel caso dell’Università Federale della Frontiera Meridionale (UFFS) contro l’intervento federale che ha posto lì un rettore incaricato del presidente invece del rettore eletto dalla comunità accademica.
Mentre i palazzi stanno formulando leggi e progetti di crisi, più liberalizzazione economica, meno diritti per le persone e più profitti per gli sfruttatori, la repressione nelle strade delle città soffoca il malcontento e cerca di mantenere le persone nel silenzio del proiettile.
Nelle campagne e nelle foreste, la radice di un’America Latina che non ha goduto della prosperità della “sinistra” nel governo, non solo è vittima del fuoco e dell’avanzata ecocida dei proprietari terrieri, ma subisce anche il genocidio sistematico delle città rurali e delle popolazioni autoctone, i cui corpi continuano ad accumularsi come diretta conseguenza dell’avanzamento dell’estrema destra nel continente.
Argentina: prenderci cura del loro governo o difendere il nostro salario.
I numeri scaturiti dalle ultime elezioni non mostravano altro che ciò che si viveva in strada, nei quartieri, sul posto di lavoro. Anche in questo caso di legittimazione del sistema – come la democrazia rappresentativa – si è avuto come risultato la disperazione delle masse popolari di fronte alla demolizione del paese. Possiamo iniziare sostenendo che il calcolo errato – tanto dei consulenti quanto della classe politica – del risultato elettorale, è legato al loro basso livello di conoscenza di ciò che viene vissuto dal basso, al rifiuto dei settori popolari delle politiche agghiaccianti di fame, disoccupazione e di esclusione da parte di Macri e del FMI.
Il panorama sociale, economico e politico, che vivono gli oppressi, è sempre più complesso e pressante. In un contesto recessivo, nel mezzo di una spirale inflazionistica e di un indebitamento senza precedenti, il peso è stato svalutato immediatamente dopo le elezioni del 25%. Questo è stato immediatamente trasferito al prezzo del paniere base e dei carburanti, in un periodo di tempo deliberato concesso dal governo nazionale, prima di lanciare 10 misure come incentivo, nel tentativo di inghiottire di nuovo le classi popolari. Il risultato: una clamorosa riduzione salariale. Ma non è nostra intenzione estendere troppo i numeri, per descrivere la proporzione del danno fatto nell’ultima mossa speculativa dei settori finanziari e del governo.
Ma questo periodo di adattamento che dura da quasi un decennio, approfondito dal macrismo a livelli enormi, sappiamo che supererà la “fine del ciclo” di Cambiemos [Cambiemos è una coalizione di partiti politici fondata in Argentina in vista delle elezioni presidenziali del 2015. N.d.T.]. Tra i candidati, in fondo, vengono discusse le modalità di adattamento. Per questo motivo l’approvazione di Alberto Fernández nel portare il dollaro a $ 60 è coerente. Né dovremmo ignorare che siamo già in un contesto di cruda avanzata del neoliberismo in tutta la regione, in un continente in cui l’imperialismo USA cerca di riguadagnare il controllo egemonico.
In questo drammatico scenario, dobbiamo analizzare due uscite istituzionali specifiche che si esplicano nell’immediato. Uno è quello proposto dai leader del Fruente de Todos, che consiste nello specifico di non fare nulla, attendere fino a dicembre, controllare il flusso di voti e salvaguardare la governance (questo è ciò che implicano le misure antipopolari di Macri). Come abbiamo sostenuto, la crisi sociale causata dall’avanzata neoliberista, è stata direttamente proporzionale alla mancanza di partecipazione politica della classe oppressa per un lungo periodo. Ricordiamo che veniamo da decenni di restrizioni al di sopra della partecipazione popolare, attraverso meccanismi di cooptazione, patrocinio e burocratizzazione, quando non delegittimazione e repressione della protesta sociale. Questo “paradigma della NON partecipazione” si pone in evidenza già all’inizio del 2016, quando nel mezzo del conflitto per i licenziamenti nel settore pubblico e nella Red Ridge, la cupola kirchnerista chiamò a uccidere nelle piazze (il “resistendo con la forza”).
In definitiva, questa esacerbata chiamata a “No cacerolear” [non fare casino]- anche cercando di fermare le misure di forza delle corporazioni – non nasconde nient’altro che la preoccupazione per le percentuali elettorale, a scapito della prevenzione di livelli più elevati di povertà e disoccupazione per le persone.
L’altra uscita a questo attacco alla tasca dei lavoratori, ha a che fare con ciò che viene proposto dai settori combattivi del movimento operaio e delle organizzazioni popolari, come la possibilità di una resistenza organizzata nella strada. Non appena è avvenuta la svalutazione, abbiamo potuto vedere la risposta di alcuni di questi settori, come la mobilitazione di ATE Capital e lo sciopero dei delegati della Metro in CABA, nonché i tagli dei dipendenti del commercio a Rosario.
Il piano di lotta esteso degli statali a Chubut, senza dubbio, è un esempio di resistenza organizzata contro la falciata del governo. Anche i movimenti sociali, spinti dalla fame nei quartieri, sono usciti con pentole popolari in tutto il paese, nel quadro di un’operazione di polizia su larga scala.
Dall’anarchismo organizzato siamo coscienti che non esiste un clima generalizzato di effervescenza popolare, e men che mai di ribellione profonda. Vi è lotta, malcontento e alte espressioni di rifiuto della situazione sociale, ma sappiamo bene che siamo ben lungi da un “lasciar andare tutto” e che i sindacati e i movimenti sociali mancano di un programma di classe rappresentativo. Tuttavia, diventa chiaro che l’umore sociale non ha gli stessi tempi del calendario elettorale. È chiaro che la classe politica, nel suo insieme, ha più paura dell’idea di un’epidemia sociale di quella del 10% in più di poveri. Senza escludere che, ancor prima dell’imminente trionfo di Alberto Fernández, la leadership kirchnerista preferisce un trionfo con poco margine e incredulità sociale a un straripamento popolare con la pressione per le strade. A questo punto dobbiamo essere cauti. Sapendo che ci sono settori popolari che hanno posto le speranze nel voto e nelle proposte elettorali progressiste – e che desiderano ardentemente come noi una società senza sfruttamento – è necessario sfidarli e sollecitare una resistenza immediata attraverso la mobilitazione popolare.
Superare e trascendere l’approccio della “soluzione dall’alto” è una questione vitale per ristabilire la fiducia nella forza e nell’organizzazione deo lavoratori e delle lavoratrici, in modo tale da consentire a questa resistenza di esprimersi con vigore. La risposta popolare al saccheggio del governo e del capitale finanziario non è prevedibile. Dato il dilemma di prendersi cura del loro governo o di difendere il nostro stipendio, sceglieremo sempre il secondo e assicureremo che siano presenti i mezzi a sostegno degli sfruttati.
Cile: il “modello” neoliberista funziona… per i ricchi.
Nella regione cilena il sistema di dominio gestito dal blocco dominante ha intensificato e approfondito la sua politica neoliberista. In questi due anni di governo Piñera, i pochi diritti sociali posseduti dalla classe dominata sono stati smantellati, mentre a sua volta, il governo ha intensificato la sua repressione contro i settori in lotta.
Nel mondo del lavoro salariato, gli strumenti della flessibilità si sono rafforzati, infatti ne sono espressione: l’Estatuto Laboral Juvenil e la Iniciativa de Ley che hanno aumentato la precarietà del lavoro sotto il falso discorso di riduzione delle ore di sfruttamento, annullamento della possibilità di contrattare collettivamente con i datori di lavoro e rendendo più flessibili le condizioni di lavoro. D’altro canto, la riforma fiscale garantisce la salvaguardia dei tassi di profitto per gli imprenditori locali e transnazionali, in un contesto di crisi e rallentamento economico, danneggiando notevolmente le classi dominate.
Nei territori, la Legge sull’integrazione sociale ha consolidato il monopolio dell’accesso dei suoli al mondo immobiliare, sradicando le comunità di produzione e gestione della città e dei suoi territori, rendendo impossibile realizzare progetti autogestiti e partecipativi. le attività estrattive e la mercificazione di terra e acqua, hanno determinato nei nostri territori una grave situazione ecologica, con una crisi idrica sempre più complessa, espandendo le aree sacrificate e l’alterazione degli ecosistemi, come è avvenuto con la contaminazione dell’acqua potabile in Osorno, dove la commercializzazione delle fonti idriche è visibile attraverso le aziende sanitarie; la situazione di Puchuncaví-Quintero che non è stata risolta; la morte della vita rurale, della flora e della fauna nelle aree devastate dalla siccità, e le false uscite poste dal blocco dominante attraverso la COP 25 e i trattati economici come TPP-11 e APEC, vengono a rafforzare il saccheggio di corpi e territori.
Attualmente stiamo assistendo a una rinascita dell’apparato repressivo e alla criminalizzazione della protesta sociale. La legge di classe sicura, l’agenda sul terrorismo breve, la legge sui migranti (Ley aula segura, Agenda Corta Antiterrorista, Ley Migrante), sono chiari segnali che l’apparato statale aggiorna e approfondisce il suo strumento di controllo e di disciplina. Colpendo fortemente la classe oppressa: venditori ambulanti, orticoltori, migranti, comunità mapuche di resistenza e studenti secondari. Oltre a quanto sopra, l’omicidio di combattenti e combattente sociali come: Macarena Valdés, Camilo Catrillanca, Alejandro Castro e i sempre più frequenti femminicidi negli spazi pubblici, l’omo-lesbo-transfobia e il razzismo, ci mostrano lo stato di eccezione permanente in cui viviamo.
Si apre un nuovo periodo di lotta e resistenza
Al popolo nessuno gli ha regalato nulla. Tutti i tempi sono di lotta, tutti i periodi sono complessi. Ora che destra e ultra-destra stanno riprendendo il controllo dei governi e i “progressisti” girano in quella direzione in misura maggiore o minore (caso della riarticolazione peronista in Argentina o di un eventuale trionfo della FA con una minoranza parlamentare in Uruguay, per esempio), si apre una nuova fase di lotte, di resistenze varie e complesse. Perché tutti i governi vorranno la riduzione dei diritti, un certo grado o piano di adeguamento. Non c’è più crescita da distribuire, solo miseria e bastone. Pertanto, i governi e le classi dirigenti si gradueranno i livelli di adattamento e di repressione: alcuni saranno più intensi, altri più morbidi e altri palesemente di estrema violenza di classe. Tutti questi regimi hanno e avranno in comune la difesa dell’interesse delle classi dominanti latinoamericane e straniere.
Ecco perché i livelli della lotta popolare si intensificheranno. Il neoliberismo porta resistenza. Lo sanno, quindi scommettono fortemente sulla milizia. però le persone conoscono, intuiscono e desiderano ardentemente una società diversa. La gente sa che un freno deve tenere così tanto rottame, che c’è da fermare tanta arbitrarietà. C’è una storia di lotte delle nostre popolazioni indigene, quilombole negros, i lavoratori della città e della campagna, gli studenti, le diverse espressioni e livelli di azione diretta che hanno avuto luogo nel continente. Gesti eroici che segnano un percorso; lotte attuali, recenti, che convocano ampi settori della popolazione, per continuare per le strade, per occupare e recuperare la terra, per difendere la vita.
In questi tempi si richiede ai militanti anarchici organizzati politicamente di intensificare lo sforzo militante e cercare di fornire gli strumenti necessari al campo popolare per resistere e avanzare in una prospettiva a lungo termine.
Un lungo processo di lotta ci chiama. Una lunga strada di desideri e speranze, di esperienze condivise, di dolori ma anche di vittorie, di progressi. L’anarchismo specifico ha molto da dire e un ruolo da svolgere nella costruzione di quella diversa società. Nelle nostre organizzazioni e nelle nostre sedi c’è spazio per tutti coloro che cercano livelli più alti di militanza e impegno, per tutti coloro che mettono il meglio di se al servizio della causa degli sfruttati.
È in quel fondo che il socialismo troverà i suoi militanti e costruttori. Possiamo dire che l’unica alternativa a questo mondo di barbarie è il socialismo e che il socialismo sarà libertario o non lo sarà!!!
POR LA CONSTRUCCIÓN DE PODER POPULAR!!!
FORTALECER LA RESISTENCIA!!
ARRIBA LOS QUE LUCHAN!!
FEDERACIÓN ANARQUISTA URUGUAYA (FAU)
COORDINACIÓN ANARQUISTA BRASILERA (CAB)
FEDERACIÓN ANARQUISTA DE ROSARIO (FAR) -ARGENTINA
FEDERACIÓN ANARQUISTA DE SANTIAGO (FAS)- CHILE
GRUPO LIBERTARIO VÍA LIBRE -COLOMBIA
ROJA Y NEGRA ORGANIZACIÓN POLÍTICA ANARQUISTA (RYN OPA) -BUENOS AIRES, ARGENTINA