A fronte dei processi di ristrutturazione capitalistica a garanzia e difesa del loro profitto, necessita sempre più la lotta internazionalista della classe lavoratrice.
di Cristiano Valente Articolo de “il Cantiere” di gennaio 2020 |
La fusione tra Fca e Psa, definita nel memorandum delle due aziende il 18 dicembre 2019 e raggiunta definitivamente il 4 gennaio 2021 con il via libera dei due consigli di amministrazione, in anticipo rispetto ai tempi previsti ed a seguito del sopraggiunto nulla osta dell’antitrust europeo, rappresenta una importante ed esemplare caratteristica del modo di produzione economico capitalisto, particolarmente significativo nell’attuale fase economica: la centralizzazione di capitali. La centralizzazione è infatti l’ingrandimento del capitale investito mediante acquisizione o fusione di capitali diversi.
Quindi, a differenza della concentrazione, la centralizzazione permette l’ingrandimento mediante l’accorpamento di capitali o imprese già esistenti, e non mediante il processo di crescita (accumulazione) di un singolo capitale o impresa.
La centralizzazione consente di adeguarsi alla dimensione e alle economie di scala rese necessarie dalla fase della concorrenza capitalistica.
Lo scontro concorrenziale, endemico del modo di produzione capitalistico, vieppiù accelerato dalla crisi economica, cerca attraverso la riduzione dei costi di produzione, che a loro volta richiedono economie di scala sempre più ampie, di recuperare parte dei profitti calanti e una posizione dominante monopolistica nel mercato.
Da questo la necessità di capitali di dimensioni sempre maggiori e per questo i capitali più grandi sconfiggono quelli più piccoli.
Oggi, stiamo assistendo a un processo di centralizzazione in molti settori cosiddetti maturi.
Settori dove il processo di accumulazione è andato particolarmente avanti e dove si verifica una sovraccumulazione di capitale, cioè un eccesso di capitale investito rispetto al profitto che permette di ottenere, e, conseguentemente, una sovrapproduzione di merci, che deriva dal fatto che il mercato non riesce a tenere il passo con l’aumento della produzione dovuta al crescere dell’accumulazione. Uno dei settori dove la sovraccumulazione è più accentuata è proprio il settore auto.
La fusione tra Fca e Psa crea un gruppo da più di 8 milioni di autovetture, raggiungendo la massa critica per realizzare quelle economie di scala che permettano di contrastare la concorrenza, abbattendo i costi di produzione e quindi aumentando massa e saggio di profitto.
Il nuovo gruppo, Stellantis, si situa infatti al quarto posto al mondo per capacità produttive, dopo Wolksvagen Group con 10,97 milioni di veicoli, seguita da Toyota con 10,74 milioni, Renault, e la Nissan con 10,06 milioni e prima di General Motors con 7,72milioni di veicoli, della Hyundai con 7,20 milioni, Ford con 5,39 milioni e Honda con 5,17 milioni di auto prodotte.
Inoltre quello che conta nella industria automobilistica odierna è la capacità di abbattere il costo degli investimenti per la transizione tecnologica e energetica.
La transizione elettrica infatti richiede notevoli investimenti e Fca è molto indietro.
Attraverso la fusione con Psa, Fca può porre fine al suo principale problema: l’assenza di piattaforme modulari e predisposte per l’elettrificazione sia per auto elettriche sia per auto ibride. Infatti, Psa ha sviluppato piattaforme per auto elettriche come Emp2 che rivaleggiano con la Mq6 di Volkswagen.
I due gruppi sono forti in mercati territoriali diversi e questo può favorire la ulteriore internazionalizzazione dei due gruppi realizzando una maggiore presenza sul mercato mondiale.
In particolare, Fca può aprire a Psa il ricco mercato del Nord America, dove è presente grazie alla precedente acquisizione di Chrysler. Infatti, Psa è eccessivamente concentrata in Europa anche a causa della recente acquisizione di Opel. Peugeot ha, però, una radicata presenza in Cina, grazie alla collaborazione con il produttore cinese Dongfeng, che ha una quota di Psa del 12%, pari a quella della famiglia Peugeot e dello Stato francese, e questo può risultare utile a Fca che è poco presente nel Paese estremo orientale.
In pratica la fusione permette, nello stesso tempo, a Fca di superare la sua arretratezza tecnologica “verde”, dovuta agli scarsi investimenti, e a Psa di internazionalizzarsi, rendendo il nuovo gruppo veramente mondiale.
Per queste ragioni la fusione ha rappresentato una necessità per entrambi i gruppi, in un momento così difficile di transizione per l’industria di massa e in particolare per il settore auto.
Il nuovo gruppo Stellantis, che manterrà tutti i precedenti marchi delle rispettive case automobilistiche, si presenta quindi come un gruppo multinazionale di 400mila lavoratori di cui 86mila in Italia con realtà produttive in tutto il mondo: in Francia, Italia, Germania, Polonia, Serbia, Usa, Canada, Messico, Brasile, Argentina, Turchia, India e Cina.
Alla testa del gruppo ci sarà Carlo Tavares, già amministratore delegato di Psa mentre John Elkann di Fca sarà presidente in un consiglio di amministrazione di 11 componenti. Ancora una volta le sorti dei lavoratori sono legate all’ennesimo piano industriale che Stellantis dovreebbe presentare entro l’estate.
La promessa, di cui siamo certi sarà l’ennesima “promessa da marinaio”, è quella di mantenere i livelli occupazionali. Ma ciò che ci rende più inquieti per le sorti della nostra classe è l’intervista di Michele De Palma segretario nazionale della Fiom il quale nella classica e oramai logora logica concertativa del gruppo dirigente Cgil, alla domanda su che prospettiva possa rappresentare tale fusione per i lavoratori italiani indica come aspetto prioritario (sic!) la necessità a tornare “a investire sugli enti centrali per ricerca e sviluppo, nella creazione di batterie nuove e nuovi modelli per tutti i segmenti “. (1)
Ma ancora più sinistramente è la conclusione dell’intervista in cui il segretario, rivendicando, non casualmente secondo noi, la natura contratuale della Fiom afferma: ” i delegati sono capaci di trovare soluzioni ai problemi che garantiscono i lavoratori pur riconoscendo le necessità produttive dell’azienda” (2)
E infine alla domanda dell’intervistatore che adombrava una sorta di abbandono da parte del governo italiano rispetto al governo francese, presente invece nel capitale di Psa e indirettamente anche quello tedesco, attraverso la presenza dei vari governi dei Lander della Germania nell’ex Opel, inglobata da Psa, il segretario nazionale Fiom indica un tema che sicuramente tornerà nella discussione sindacale e politica, in quanto più volte accennata anche dallo stesso segretario generale Cgil Maurizio Landini, ma soprattutto presente nel famigerato quanto non conosciuto dai lavoratori “Patto della Fabbrica” siglato il 28 febbraio 2018 dai gruppi dirigenti sindacali Cgil, Cisl e Uil con Confindustria.
“I lavoratori sono stati lasciati soli dai governi che si sono succeduti. Hanno sempre scelto di stare alla finestra, oggi con la nascita di Stellantis il governo ha la possibilità con le risorse europee di rilanciare investimenti e innovazione che si tradurrebbe in occupazione. Però siamo l’unico paese a non avere una legge sulla democrazia e partecipazione dei lavoratori. (3)
Come si evince c’è perfetta sintonia con il “Patto della Fabbrica.” E’ in questo documento, infatti, che si sono definiti aspetti strategici della contrattazione.
Dai due livelli di contrattazione nazionale e articolata, al recupero salariale che si lega definitivamente alle sole dinamiche della produttvità aziendale, includendo e rilegittimando l’inserimento di istituti di welfare aziendale nel computo del costo contrattuale.
E’ proprio questa impostazione, rivendicata da parte confindustriale che sta determinando lo stallo sui rinnovi contrattuali, compreso quello dei meccanici.
Ma soprattutto in quell’accordo si è introdotto il concetto di partecipazione favorendo “un sistema di relazioni industriali più flessibile che incoraggi, soprattutto, attraverso l’estensione della contrattazione di secondo livello, quei processi di cambiamento culturale capaci di accrescere nelle imprese le forme e gli strumenti della partecipazione organizzativa.”.
Avallando l’idea che lavoratori e padroni abbiano un comune interesse nell’azienda, troviamo: “I cambiamenti economici, richiedono coinvolgimento e partecipazione e determinano una diversa relazione tra impresa e lavoratrici e lavoratori.” delineando e consolidando un terreno di cogestione che rimanda e supera le peggiori stagioni della concertazione. Testualmente leggiamo: “Confindustria e CGIL,CISL, UIL considerano, altresì, un’opportunità la valorizzazione di forme di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa”.
L’inevitabile lotta di classe, rivendicata e attuata oramai esclusivamente dal padronato, la necessità di invertire i rapporti di forza nella società, favorendo e riconquistando diritti e condizioni normative, salariali oramai perse, ripristinare il tessuto e la dimensione solidaristica del movimento dei lavoratori, fortemente incrinato e logorato dallo sviluppo di dinamiche e istituti sociali precarie e marginali; la riduzione d’orario a parità di paga, la richiesta di maggiori aumenti salariali, richiesta su cui lo stesso rinnovo contrattuale in essere si è incagliato, non si inserisce nell’ordine di idee del gruppo dirigente Fiom.
E’ come se si fosse dimentichi della reale condizione sociale di milioni di lavoratori e lavoratrici al limite della povertà, per non parlare delle nuove generazioni costrette a salire su un ascensore sociale che funziona alla rovescia, portandoli ai piani inferiori delle dinamiche lavorative, costrette quindi alla più totale precarietà e marginalità.
Non è pensabile porsi di fronte alla questione sociale, allo scontro fra gli interessi padronali e capitalistici e gli interessi della masse lavorative e delle nuove generazioni indicando strategie e indicazioni di fatto padronali, per di più nella presunzione di fare meglio: “maggiori investimenti per ricerca e sviluppo, investimenti pubblici e privati, sovradimensionamento delle nostre manifatture, nuovo modello di sviluppo, ecc….”
Si tenga presente che la nuova realtà Stellantis ha già stabilito, che dovrà accelerare la trasformazione di modelli dei rispettivi brand, puntando soprattutto sull’elettrificazione in un piano che dovrà garantire 5 miliardi di euro di risparmi in 4 anni con la condivisioni delle spese di sviluppo e la razionalizzazione della rete di vendita (siamo pronti a scommettere su chi ricadranno questi 5 miliardi di risparmi) e che a tal fine avrà oltre 33mila addetti impiegati nella ricerca e nello sviluppo.
Solo e unicamente difendendo gli interessi di parte della nostra classe, quindi salario, occupazione, servizi, potremo risalire la china e ritessere il tessuto logoro della solidarietà, costringendo fra l’altro in tal modo la classe padronale a maggiori investimenti, pena la sua scomparsa, in quanto singolo capitalista chiaramente e non come classe, perchè la lotta di concorrenza non permette a ciascun capitalista di conservare il suo capitale in altro modo che accrescendolo.
E’ questo e solo questo il senso principale dell’operazione di centralizazione definita fra ex Fiat, oggi Fca e Psa. Le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici non sono certo al centro degli interessi del capitale francese, italiano o tedesco che sia; tocca a noi, come militanti della lotta di classe, alle strutture preposte alla difesa degli interessi materiali della classe, impostare una battaglia decisiva e frontale, inevitabilmente internazionalista, a difesa dei nostri interessi.
Note:
(1)”il manifesto” 5/1/2021.Intervista a Michele De Palma” Per ridare lavoro puntare sull’innovazione”di Massimo Franchi
(2) Idem
(3) Idem