L’ISIS ha massacrato 140 persone inermi a Parigi nella notte di venerdì 13 novembre. Una giornata di preghiera per il mondo musulmano usata invece da Daesh per una strage di civili di ogni nazionalità e religione in luoghi come uno stadio di calcio, una discoteca frequentata da proletari delle periferie parigine, ristoranti e bar all’aperto, come in qualsiasi città.
Un attacco suicida simile si era verificato il 25 giugno a Kobane, nel Kurdistan siriano, con bombe, fucili e sterminio di ostaggi. Lì furono uccisi 223 civili, molti dei quali in seguito all’intrusione nelle case da parte dell’ISIS. Quel giorno morirono anche circa 40 combattenti curdi che cercavano di fermare il massacro.
Il 16 ottobre, altri attentati suicidi dell’ISIS fecero una strage di 102 persone ad Ankara nel corso di una manifestazione turco-curda per la pace. Quella strage, come quella di 33 curdi durante l’assedio di Suruc da parte dell’esercito turco, getta tuttora un’ombra di morte sul ruolo svolto dallo Stato turco e del governo dell’AKP impegnato in una campagna elettorale, poi vinta, per la conquista della maggioranza parlamentare. Tra il massacro di Suruc e quello di Ankara, gli Stati Uniti ebbero il tempo di fare un accordo con la Turchia per l’uso di basi militari, in cambio di “non vedere” gli attacchi aerei turchi sulle forze curde impegnate nei combattimenti contro l’ISIS in Siria ed in Iraq.
Ma i massacri dell’ISIS sono diventati routine. Giovedì 5 novembre un loro attentato aveva ucciso 50 persone a Beirut-sud in un quartiere sciita controllato da Hizbullah. L’ISIS ha rivendicato anche l’abbattimento dell’areo russo caduto nel Sinai. Nel loro Califfato il massacro di musulmani, di yazidi e di cristiani è cosa di tutti i giorni.
Se l’ISIS è certamente un nemico della libertà, non possiamo certamente considerare nostri amici le potenze che sostengono a parole di combattere l’ISIS. Nato dal decennio di disastro politico-militare dell’invasione statunitense dell’Iraq, Daesh è stato messo in grado di impadronirsi di equipaggiamento militare di fabbricazione statunitense per imporre la sua strategia di terrore in tutta l’area fino a quasi distruggere Kobane nel 2014.
L’esercito della Turchia è il secondo esercito nella NATO. Eppure non ha mosso un dito per fermare gli assassini dell’ISIS che attraversavano il confine tra Turchia e Kurdistan siriano per attaccare Kobane e le unità combattenti curde.
Dunque i morti di Parigi, come quelli dell’aereo russo, di Beirut, di Ankara, di Kobane e di Suruc sono le vittime di uno scontro di potere in Iraq e Siria tra le potenze della NATO, la Russia, il regime di Assad, le potenze regionali. Uno scontro che provoca centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi lungo un fronte che va dallo Yemen all’Iraq, dalla Siria al Libano, dalla Turchia all’Europa, dalla Libia all’Egitto.
Come mettere fine a tutto questo? Molti vorrebbero gettare benzina sul fuoco, inasprire le misure di sicurezza, gettare più bombe sulla Siria e controllare i movimenti delle persone. Ma questa è la strada che porta ad una guerra senza fine e ad uno stato di polizia in cui sopravvivere nella paura dell’attesa del prossimo attacco. E’ la stessa realtà quotidiana che vive il popolo iracheno fin dai tempi della guerra del 1991. Una situazione che nel corso degli anni si è fatta sempre più sanguinaria e brutale fino a partorire il mostro ISIS in un bagno di sangue che dura da decennni.
Se l’oggettiva situazione militare ci porta a dire che gli unici avversari dell’ISIS sul campo sono le forze iraniane ed Hizbullah insieme alle forze curde, sostenute dall’aviazione russa, come anarchici e libertari riteniamo che l’unica strada per la libertà passa per la solidarietà tra le classi lavoratrici e non attraverso le guerre o gli “scontri di civiltà”.
Bisogna fare delle scelte nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, perché Parigi non sarà l’ultima atrocità a cui assisteremo ed il terrorismo non farà altro che alimentare odio e militarismo.
Certamente i nostri alleati non saranno le forze imperialiste che hanno dato origine a questa situazione, bensì quelle forze regionali che combattono sul campo per una società davvero fondata sulla libertà e sull’uguaglianza.
Alternativa Libertaria / FdCA
15 novembre 2015