Alternativa Libertaria_FdCA

Numeri e minacce di una manovra che esclude la classe lavoratrice, che emargina le classi popolari, che precarizza la vita delle persone.
Si ammorba di destra estrema il clima politico in Europa dopo le ultime tornate terroristiche. Non sembrano soffrirne più di tanto i capitalisti, i quali sanno che possono fare affari con le politiche securitarie, con le missioni militari, con le guerre guerreggiate e quelle per procura, con la vendita di armi. Tutto il continente rimane invece all’interno del tunnel delle politiche di austerity, alimentando gli effetti di una crisi che si propaga su tutto il pianeta, trascinandosi successi elettorali delle destre di ogni latitudine e credo nazional-razzista.
In Italia, la legge di Stabilità viene presentata come una manovra che conduce fuori dal tunnel, che finalmente dà e non toglie, che mette in discussione le politiche europee.
In realtà il governo agisce nel pieno rispetto delle regole di bilancio adottate dall’Unione Europea. Non vi è nulla che vada nella direzione di modificare  il quadro delle politiche di austerità, per non parlare dei vincoli su deficit e debito del Fiscal Compact. Quello che il governo sfrutta, per il 2016, sono i margini di manovra concessi dalla cosiddetta “austerità flessibile”, cioè della possibilità di spostare nel tempo il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla UE. La flessibilizzazione dell’austerità, cioè delle politiche restrittive, non è un’attenuazione delle politiche neoliberiste, bensì una concessione generata proprio dal varo delle cosiddette “riforme strutturali”.
Sono propro il Jobs Act, la legge sulla scuola, la controriforma costituzionale, il taglio della Pubblica Amministrazione, le privatizzazioni, a far sì che la legge di stabilità del 2016 possa beneficiare della “flessibiità” che consente di disinnescare (solo per il 2016) la clausola di salvaguardia e quindi -in attesa del raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale per il 2018 – di liberare risorse.
Le quali finiscono in larga parte nel taglio rilevantissimo di tasse sulle imprese come nell’eliminazione delle Tasi.
Il governo sfrutta la flessibilità nel 2016 approvando provvedimenti che hanno effetti permanenti ma con coperture temporanee,  preparandosi così a tagli futuri aggiuntivi su tutto ciò che è servizio o patrimonio pubblico.
Ancora una volta, si crede che il taglio delle tasse abbia un effetto espansivo superiore agli effetti depressivi dei tagli alla spesa pubblica. Tanto, con più soldi in tasca ti senti libero di comprare sul mercato i servizi che ti puoi permettere. Altra scommessa è la crescita del Pil che, determinata da diverse variabili esterne (come la svalutazione dell’euro sul dollaro a seguito del quantitative easing e la diminuzione strutturale del prezzo del petrolio), viene puntualmente sovrastimata per far quadrare i conti.
Ovviamente, pagato dazio alle UE, la “flessibilità” nel 2016 serve a Renzi per arrivare forte alle elezioni amministrative di primavera, assai importanti per numero di elettori e realtà interessate.
I soldi a chi?
Il taglio dell’IRES, cioè la tassa sui profitti, vale 2,6 miliardi per il 2016 e 4 miliardi a regime nel 2017. La sua applicazione nel 2016 è subordinata all’approvazione in sede europea della cosiddetta “clausola migranti”, quella per cui in nome dei costi dell’accoglienza per “l’emergenza migranti” si tagliano per l’appunto le tasse all’imprese! Invece nel 2017 il taglio dell’Ires potrà contare su risorse reperite “da tagli alla parte corrente delle spese della Pubblica Amministrazione”.
831 milioni sono destinati alla reiterazione, ridotta al 40%, degli sgravi contributivi per le assunzioni o le trasformazioni di contratti preesistenti nel “contratto a tutele crescenti”, che diventano 2,1  miliardi per il 2017.
Ma ci sono anche una miriade di altri micro provvedimenti che stanziano direttamente risorse per le imprese oppure, come nel caso della detassazione dei premi di produttività (quasi 600 milioni a regime) e del sostegno al cosiddetto welfare aziendale, puntano a promuovere la sostituzione della contrattazione collettiva nazionale con quella aziendale e territoriale, mentre per promuovere l’aziendalizzazione delle prestazioni sociali, si smantella il welfare pubblico e universalistico.
Prosegue, dopo la legge di stabilità 2015 e quelle precedenti, lo spostamento di risorse a favore delle imprese: nel 2015 era stato ridotto il prelievo fiscale con i 5 miliardi di riduzione dell’IRAP (4,3 a regime dal 2016) più ulteriori 4 miliardi nel triennio 2015-2017 attraverso una serie di provvedimenti minori.
Per la decontribuzione, le risorse pubbliche utilizzate ammontano a 2,5 miliardi per il 2015 e 6,3 miliardi per il 2016. Si tratta di risorse ingenti che sono servite e serviranno per promuovere il contratto “a tutele crescenti”, cioè nella maggior parte dei casi per finanziare la trasformazione di vecchi contratti a termine, in nuovi contratti a termine, dato che il Jobs Act ha sancito la possibilità di licenziare arbitrariamente sempre e comunque.
Dunque i soldi per le imprese, dati “a pioggia” cioè senza finalizzazione alcuna, vanno dagli oltre 8 miliardi (tra Irap, decontribuzione e altre misure) del 2015, ai circa 15 miliardi per il 2016, complessivi degli interventi della legge di stabilità dello scorso anno e di quella attuale.
Assente qualsiasi strategia di politica industriale a fronte di una contrazione degli investimenti pubblici, già stimabile del 30% nel periodo 2008-2014.
Si conferma una crescita dell’occupazione inferiore rispetto al resto d’Europa. Restano oltre i 3 milioni i disoccupati ufficiali, mentre sono il doppio quelli effettivi.
L’eliminazione della TASI-IMUper l’abitazione principale  vale 3,7 miliardi. Di questi, 1,4 miliardi sono regalati a chi possiede abitazioni di pregio maggior, che pur essendo solo il 10% del totale concorrevano per il 37% al gettito complessivo.  Questi proprietari godranno di uno sgravio in proporzione maggiore di chi ha una casa più modesta.  Il taglio indiscriminato della Tasi mette inoltre i Comuni nella condizione di dipendere dai finanziamenti centrali.
I soldi ci sono anche per le spese militari.  La legge di stabilità conferma i 13 miliardi per il programma pluriennale di acquisto dei 90 cacciabombardieri da attacco in grado di trasportare ordigni nucleari. I tagli che investono pesantemente ogni funzione pubblica, lasciano indenne il comparto militare, le spese per la sicurezza e le missioni all’estero. La spesa militare è la sola che potrà godere di deroghe in chiave europa per la lotta al terrorismo.
A chi niente?
Nessuna risorsa aggiuntiva, anzi tagli pesantissimi a tutto ciò che è funzione pubblica: dalla sanità, alle Regioni, a ministeri e società pubbliche, al pubblico impiego, che vede un caritatevole obolo  invece del rinnovo del contratto, e un nuovo blocco del turnover. Agli 8,4 miliardi di meno spese nel 2016, si aggiungeranno 8,6 miliardi in meno nel 2017 e 10,6 nel 2018.
Il finanziamento per il Servizio Sanitario Nazionale viene rideterminato in 111 miliardi, ivi compresi gli 800 milioni finalizzati all’aggiornamento dei LEA (Livelli essenziali di assistenza).  In poco più di un anno i finanziamenti previsti a luglio 2014 sono stati tagliati di 6,7 miliardi. Questi ulteriori tagli alla sanità rendono evidente la volontà di distruggere la sanità pubblica ed universalistica e di spingere progressivamente verso modelli assicurativi.
Il quadro diventa più grave con i tagli alle Regioni per 3,98 miliardi di euro nel 2017, che saliranno a 5,48 miliardi nel 2018 e 2019.  Andranno a colpire la sanità ed i trasporti pubblici in particolare, ma più complessivamente è in atto una destrutturazione complessiva di diritti e possibilità di intervento da parte delle Regioni.    Tagli pesanti anche a ministeri e società pubbliche per 3,1 miliardi nel 2016.
A tutto questo va aggiunto  quanto previsto nelle stessa legge di stabilità per il pubblico impiego, con il blocco del turn-over e della contrattazione. Dopo 6 anni di blocco della contrattazione e nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, per il “rinnovo” del contratto vengono stanziati 219 milioni di euro per 1,3 milioni di lavoratori contrattualizzati a livello centrale (circa 12 euro mensili lordi di incremento), 81 milioni di euro per i 500.000 lavoratori del comparto sicurezza, mentre per altri 1,2 milioni di lavoratori le risorse per il “rinnovo” contrattuale nazionale sono in carico anche in parte alle singole amministrazioni! Si tratta di cifre risibili: meno di un dodicesimo di quanto varrà a regime la nuova riduzione delle tasse sulle imprese.
Inoltre, per le amministrazioni dello Stato, le agenzie, gli enti di ricerca, le Regioni e gli Enti Locali, le assunzioni a tempo indeterminato possono avvenire solo entro la misura del 25% del budget derivante dalle cessazioni di personale con la medesima qualifica avvenute nell’anno precedente. I “risparmi” complessivi previsti per il blocco del turn over, vanno dai 44 milioni del 2016 a quasi 1 miliardo (919 milioni) nel 2019, 3 volte quanto stanziato per il “rinnovo” del contratto.  Va ricordato anche che dal 1 gennaio 2017 non sono più attivabili contratti di collaborazione e che nel 2018 scadranno i circa 80.000 contatti a tempo determinato di durata ultratriennale.
Con 5 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti, in Italia siamo alla messa in discussione della capacità di erogare i minimi servizi essenziali.
Per esodati, povertà, disagio sociale, le risorse sono pochissime. La legge di stabilità non contiene nessuna misura di flessibilizzazione della controriforma Fornero. Vengono “salvati” 26.300 esodati con la cosiddetta settima salvaguardia, (ma secondo l’INPS il totale da garantire sarebbe di 49.500) e la cosiddetta opzione donna. Intanto, nell’ultimo anno (ma è così dal 1996), il saldo tra contributi versati e pensioni erogate al netto delle ritenute fiscali (che rientrano nelle casse dello stato ) è  in attivo di 21 miliardi di euro.
Per il contrasto alle povertà solo 600 mln a fronte di tassi di povertà assoluta che si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all’8,6% nel Mezzogiorno. La miseria delle risorse stanziate per il contrasto alla povertà è ancora più grave considerati i tagli complessivi a cui è sottoposto il sistema di welfare, l’assenza di un piano per il lavoro, l’assenza di un piano per il Sud.
Infine siamo alla beffa delle misure che favoriscono l’evasione fiscale. Con la scusa di sostenere i consumi, il governo ha innalzato l’uso del contante da 1000 a 3000 euro, consentendo di evitare la tracciabilità in attività quali i canoni di locazione e dei traporti.
Se questa Legge di Stabilità dà qualcosa è di sicuro una mazzata micidiale ad ogni politica solidaristica e collettiva di redistribuzione della ricchezza, togliendo invece ogni speranza di chi contava su qualche briciola di quello 0,7% di crescita.
Si alimenta intorno al welfare aziendale e a quello gestito da coop clerico-mafiose la formazione di un ceto di lavoratori ricattatti a tenere in vita questo sistema. La frammentazione in atto nella classe lavoratrice viene perciò a scomporsi e irrigidirsi ulteriormente.
Sempre più urgente recuperare capacità di coalizione e di lotta alla base nei luoghi di lavoro e nel territorio, ri-costruire strumenti e metodi di ampia partecipazione dal basso, forme di solidarietà autogestite, forme di vertenzialità conflittuali che facciano crescere coscienza e progettualità.
Per l’alternativa libertaria
92° Consiglio dei Delegati di AL/fdca
Fano, 13 dicembre 2015

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