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Costruire l’autonomia in Turchia e Kurdistan: intervista con Azione Rivoluzionaria Anarchica (DAF- Devrimci Anarşist Faaliyet)

Costruire l’autonomia in Turchia e Kurdistan: intervista con Azione Rivoluzionaria Anarchica (DAF- Devrimci Anarşist Faaliyet)
Dicembre 28
22:28 2015
Di seguito la trascrizione dell’intervista con 3 militanti del gruppo anarchico Devrimci Anarşist Faaliyet (DAF, o Azione Rivoluzionaria Anarchica) a Istanbul nel maggio di quest’anno a cura del Corporate Watch. Il DAF è impegnato nella solidarietà con la lotta curda, con la rivoluzione nella Rojava e contro l’attacco dell’ISIS a Kobane, ed è ugualmente attivo nel contrastare la repressione dello stato turco e gli abusi delle imprese. Il DAF sta cercando di costruire un’alternativa al sistema attuale attraverso l’auto-organizzazione, il mutuo appoggio e le cooperative.
L’intervista è stata fatta durante la campagna elettorale per le elezioni turche e tocca anche la campagna elettorale dell’HDP, il Partito Democratico del Popolo, filo-curdo. Subito dopo l’intervista, l’HDP era riuscito a superare la soglia del 10% dei voti necessaria per entrare nel Parlamento turco.
I militanti del DAF – che preferiscono mantenere l’anonimato- iniziano l’intervista con la storia dell’anarchismo nella regione:

DAF: Vorremmo iniziare col mettere in evidenza la relazione tra la lotta per la libertà alla fine del periodo Ottomano e la lotta per la libertà del Kurdistan.

Nel periodo Ottomano, erano gli anarchici che organizzavano le lotte operaie nelle principali città: Salonicco, Izmir, Istanbul e Il Cairo. Per esempio, Malatesta era attivo nell’organizzare le lotte sindacali al Cairo. Le lotte per la libertà dell’Armenia, della Bulgaria e della Grecia avevano connessioni con i gruppi anarchici. Alexander Atabekian, un importante esponente della lotta per la libertà dell’Armenia, era un anarchico che aveva tradotto e distribuito volantini in armeno. Era amico di Kropotkin di cui distribuiva i volantini anarchici.

Diciamo questo per sottolineare l’importanza delle lotte per la libertà e per metterle in relazione con l’importanza del sostegno alla lotta curda.daf_in_kobane_6

Corporate Watch: Cosa ne fu degli anarchici dopo il periodo Ottomano?

DAF: Verso la fine dell’Impero Ottomano, alla fine del 19° secolo, il Sultano Abdul Hamid II represse il movimento anarchico turco. Conosceva bene gli anarchici tanto che riservò loro uno speciale interesse. Fece uccidere o deportare gli anarchici e costituì per questo scopo una speciale agenzia di intelligence.

Gli anarchici risposero con attentati al palazzo Yildiz Sarayi ed alla Banca Ottomana a Salonicco.

Il tipo di governo dell’Impero Ottomano non ebbe termine però con la nascita della Repubblica Turca. Messo da parte il fez, il sistema è rimasto lo stesso.

Nel 1923, all’inizio dello Stato Turco [Kemalista], molti anarchici ed altri radicali furono costretti ad emigrare oppure furono uccisi. Il CHP, il partito di Mustafa Kemal, non tollerava nessuna opposizione e ci furono masssacri di Curdi.

Dal 1923 al 1980 non c’è stato un consistente movimento anarchico in Turchia a causa della popolarità dei movimenti socialisti e della repressione statale.

L’ondata delle rivoluzioni dagli anni ’60 agli anni ’80 però è giunta fin qui. Sono stati gli anni dei movimenti sociali. In questo periodo, c’erano movimenti rivoluzionari anti-imperialisti contro la guerra in Vietnam, organizzazioni giovanili, occupazioni di università e crescenti lotte operaie. Questi movimenti però erano marxisti-leninisti o maoisti, non c’erano movimenti anarchici.

Nel 1970 ci fu una lunga lotta operaia. Milioni di operai percorsero centinaia di chilometri da Kocaeli a Istanbul. Le fabbriche vennero chiuse e tutti gli operai scesero in strada.

CW: C’era una qualche conoscenza dell’anarchismo in Turchia in quel periodo?

DAF: In quegli anni vennero tradotti in turco molti libri della sinistra radicale europea, ma solo 5 libri anarchici vennero tradotti, tre dei quali parlavano di anarchismo per criticarlo.

Ma durante il periodo Ottomano, c’erano molti articoli sull’anarchismo sui giornali. Per esempio, uno dei tre editori del giornale İştirak era anarchico. Il giornale pubblicava saggi di Bakunin, come pure articoli sull’anarcosindacalismo.

La prima rivista anarchica è stata pubblicata nel 1989. Sono seguite poi molte riviste dedicate all’anarchismo da diversi punti di vista; post-strutturalismo, ecologismo, ecc.

Erano accomunate dal fatto di essere scritte per una minoranza di intellettuali. Il linguaggio di queste riviste era molto distante dal popolo. La maggior parte era collegata col mondo universitario ed accademico. Oppure si trattava di ex-socialisti influenzati dalla caduta dell’Unione Sovietica, cosa che provocò una grande delusione per molti socialisti. Ecco perchè cominciarono a definirsi anarchici, ma secondo noi non è corretto avvicinarsi all’anarchismo per criticare il socialismo.

Tra il 2000 ed il 2005 ci fu un tentativo di aggregazione a Istanbul per parlare di anarchismo e chiedersi : “Cosa possiamo fare?”. A quel tempo c’erano più o meno tra i 50 ed i 100 anarchici in tutta la Turchia.

CW: Potete spiegare come è organizzato il DAF?

DAF: Per l’1 Maggio a Istanbul abbiamo messo insieme 500 anarchici. Siamo in contatto con anarchici di Antalya, Eskişehir, Amed, Ankara e İzmir. Il nostro giornale Meydan raggiunge tra le 15 e le 20 città. Abbiamo una redazione in Amed, che distribuisce il giornale in tutto il Kurdistan. Fino ad ora scriviamo in turco, ma probabilmente un giorno, se ce lo potremo permettere, usciremo anche in curdo. Inviamo il giornale anche nelle carceri. Abbiamo un compagno in carcere a İzmir a cui inviamo oltre 15 copie da diffondere tra i detenuti.

Alcuni mesi fa c’è stato un divieto per le pubblicazioni radicali nelle carceri. Abbiamo partecipato a manifestazioni fuori delle carceri e siamo riusciti a fare tornare i giornali nelle carceri.

Il nostro scopo principale è quello di organizzare l’anarchismo all’interno della società. Cerchiamo di socializzare l’anarchismo con le lotte nelle strade. E’ questo a cui diamo importanza. Per quasi 9 anni abbiamo fatto proprio questo.

Sul piano ideologico abbiamo una prospettiva olistica. Non abbiamo una visione gerarchica delle lotte. Riteniamo che le lotte dei lavoratori siano importanti, ma non più importanti delle lotte dei Curdi o delle lotte delle donne o delle lotte ecologiste.

Il capitalismo cerca di dividere queste lotte. Se il nemico ci attacca in modo olistico, allora noi dobbiamo trovare un approccio olistico.

La parola anarchia ha una pessima reputazione per la maggior parte delle persone. Richiama un legame con il terrorismo e con le bombe. Noi vogliamo legittimare l’anarchismo collegandolo alle ragioni per le lotte contro le imprese e per l’ecologia. A volta cerchiamo di focalizzare i legami tra lo Stato, le imprese ed i danni ecologici, come fate voi di Corporate Watch.

Ci piace presentare l’anarchia come una lotta organizzata. In strada mostriamo alle persone un approccio organizzato all’anarchismo.

Dal 1989 al 2000, l’anarchismo è stato una questione di immagine. Vestirsi di nero, farsi il piercing o portare i capelli alla mohicana. Questo è ciò che vedevano le persone. Dopo il 2000, hanno iniziato a vedere gli anarchici come parte delle lotte delle donne e dei lavoratori.

Non ci riferiamo all’anarchismo europeo per imitarlo. Altri anarchici si sono approcciati all’anarchismo come imitazione dell’anarchismo europeo o statunitense o come subcultura. Se vogliamo fare dell’anarchismo un movimento sociale, tutto questo deve cambiare.

I collettivi che sono nel DAF sono: Giovani Anarchici, Donne Anarchiche, 26A Cafe, Collettivo ecologista Patika ed Azione Anarchica Scuole Superiori (LAF). Questi gruppi auto-organizzati lavorano insieme ma hanno il loro proprio processo decisionale.

I Giovani Anarchici creano connessioni tra i giovani lavoratori, gli studenti universitari e le loro lotte. Le Donne Anarchiche sono attive sul patriarcato e sulla violenza contro le donne. Ad esempio, una donna è stata uccisa da un uomo e poi bruciata lo scorso febbraio. Lo scorso 25 novembre ci sono state grandi manifestazioni contro la violenza sulle donne.

Il LAF critica il modello scolastico e di istruzione e cerca di socializzare questo approccio all’interno delle scuole superiori. Si occupa anche di temi ecologici e femministi, tra cui i casi in cui giovani donne vengono uccise dai loro mariti.

Il Collettvo ecologista PATIKA interviene contro le dighe delle centrali idro-elettriche nella regione del Mar Nero o ad Hasankey [dove è stata costruita la diga di Ilisu]. A volte si lotta per impedire che questi progetti vengano realizzati.

Il 26A Café è un gruppo auto-organizzato che si occupa di economia anticapitalista. I Caffè sono stati aperti nel 2009 a Taksim e nel 2011 a Kadıköy [entrambi si trovano a Istanbul]. E sono gestiti da volontari. IL loro scopo è quello di costruire un modello economico nei luoghi in cui vive la gente oppressa. E’ importante far vedere alle persone esempi concreti di economia anarchica, senza padroni e senza finalità capitalistiche. Spieghiamo alle persone perchè non vendiamo i grandi marchi capitalistici come la Coca Cola. Ovviamente i prodotti che vendiamo hanno un rapporto col capitalismo, ma cose come la Coca Cola sono il simbolo stesso del capitalismo. Vogliamo passare dal non-consumo alle economie alternative nei modi di produzione.

Un altro gruppo auto-organizzato, PAY-DA – ‘Condivisione e solidarietà’ – ha dei locali a Kadıköy, che vengono usati per gli incontri e per stampare il giornale Meydan. PAY-DA organizza una mensa popolare tre volte al giorno. E’ aperta agli anarchici ed ai compagni. L’obiettivo di PAY-DA è quello di diventare una cooperativa, aperta a tutti. Cerchiamo di costruire un accordo che coinvolga anche i produttori dei villaggi. Puntiamo ad avere collegamenti con questi produttori per mostrargli un altro modello economico. Cerchiamo di far evolvere queste relazioni dagli scambi su base monetaria. I produttori sono in sofferenza a causa della crisi dell’economia capitalista. Siamo ai primi passi della cooperativa e stiamo cercando produttori con cui lavorare insieme.

Tutti questi progetti sono coerenti con l’ideologia del DAF. Questo modello si rifà al modello binario malatestiano dell’organizzazione.

Queste sono organizzazioni anarchiche ma a volte persone che non sono anarchiche aderiscono a queste lotte perchè conoscono le lotte ecologiste o le lotte delle donne, e allora alla fine imparano qualcosa di più sull’anarchismo. Si tratta di un processo evolutivo.

Come DAF stiamo cercando di organizzare le nostre vite. Questo è l’unico modo con cui possiamo entrare in contatto con il popolo oppresso dal capitalismo.

C’è anche l’Associazione degli Obiettori di Coscienza, che è organizzata con altri gruppi, non solo anarchici. Il nostro coinvolgimento al suo interno ha a che fare con la nostra prospettiva sul Kurdistan. Ogni 15 maggio, giornata dell’obiezione di coscienza, organizziamo un’azione antimilitarista davanti alle basi militari. In Turchia i militari sono dentro la cultura nazionale. Se non fai il militare, non troverai un lavoro e nemmeno moglie perchè la prima cosa che ti chiedono è se hai fatto il militare. Se sì, allora sei un uomo. La gente vede lo Stato come la “Patria”. Nel tuo curriculum vitae ti chiedono di mettere se hai fatto il militare. C’è un detto popolare in Turchia:”Ogni turco è nato soldato”.

CW: E’ ancora forte il Kemalismo?

DAF: Il Kemalismo è ancora forte nelle scuole ma l’AKP ha cambiato qualcosa. L’AKP ha un nuovo approccio al nazionalismo che richiama l’Impero Ottomano. Enfatizza le “radici ottomane” della Turchia. Ma Erdoğan dice ancora che siamo “una nazione, uno Stato, una bandiera ed una religione”. Si parla ancora di Mustafa Kemal ma non più come prima. Ora non puoi criticare nè Erdoğan nè Atatürk [il nome dato a Kemal dai nazionalisti turchi]. La legge prevede che non puoi criticare Atatürk, mentre una regola non scritta prevede che non puoi criticare Erdoğan. I media si adeguano a queste norme.

CW: Cosa ci dite della vostra visione sulla lotta per la libertà dei Curdi?

DAF: La lotta d liberazione curda non è iniziata con la Rojava. Il popolo curdo ha lottato duramente per centinaia di anni contro l’Impero Ottomano e contro lo Stato Turco.

Fin dall’inizio abbiamo visto l’importanza del Kurdistan per la propaganda e per la formazione.

La nostra visione è collegata alle lotte del popolo per la libertà. L’idea che il popolo possa creare federazioni senza nazioni, senza Stati e senza imperi. Lo Stato Turco dice che la questione curda non è un problema, ma per noi non esiste un problema curdo, bensì una questione di politiche turche di assimilazione. E’ ovvio che fin dai primi anni della repubblica turca l’assimilazione dei Curdi non ha avuto tregua. Lo possiamo vedere nell’ultimo massacro a Roboski [34 Curdi commercianti transfrontalieri uccisi dagli F16 turchi il 28 dicembre 2011] durante il “processo di pace”. Lo vediamo nella negazione dell’identità curda o nei massacri a ripetizione. Nel processo di assimilazione per diventare un turco e nella propaganza nazionalista.

L’AKP [il Partito Giustizia e Sviluppo al potere] dice che hanno aperto canali TV in curdo, che siamo tutti fratelli e sorelle, ma dall’altra parte ci sono i massacri come quelli di Roboski. Nel 2006 ci sono state pressioni governative su Erdoğan ad alto livello. Ma Erdoğan ha detto che avrebbe punito tutte le donne ed i bambini che si fossero ribellate alle politiche turche. Oltre 30 bambini sono stati uccisi dalla polizia e dall’esercito.

Le parole cambiano, ma l’agenda politica no anche se sotto un nuovo governo. Noi non ci riteniamo Turchi. Noi veniamo da diverse origini etniche tra cui quella curda. Il nostro impegno nell’obiezione di coscienza sta dentro questa prospettiva. Vogliamo parlare con la gente per convincerli a non fare il militare per evitare di uccidere propri fratelli e sorelle.

Dopo gli anni 2000 c’è stato un mutamento ideologico nella lotta per la libertà dei Curdi. Le organizzazioni curde non si dichiarano più marxiste-leniniste ed Öcalan ha scritto tanto sul confederalismo democratico. Questo è importante, tuttavia il nostro approccio col popolo curdo è nelle strade.

CW: Quale è stata la vostra azione di solidarietà con le persone nella Rojava?

DAF: Nel luglio 2012 all’inizio della rivoluzione nella Rojava, si diceva che era un movimento senza Stato. E noi gli siamo stati solidali fin da primo giorno della rivoluzione. Tre cantoni hanno dichiarato la loro rivoluzione senza Stato. Noi cerchiamo di osservare e di ottenere più informazioni. Non si tratta di una rivoluzione anarchica bensì di una rivoluzione sociale dichiarata dal popolo stesso.

La Rojava è un terzo fronte per la Siria contro Assad, l’ISIS ed altri gruppi islamici. Ma questi non sono i soli gruppi che la rivoluzione deve affrontare. La repubblica turca dà il suo sostegno all’ISIS attraverso il confine. Pare che l’agenzia nazionale di intelligence turca dia armi all’ISIS e ad altri gruppi islamici. Il popolo curdo ha dichiarato la rivoluzione in tali circostanze.

Dopo l’attacco dell’ISIS a Kobane -nel 2014- noi siamo andati a Suruç. Abbiamo atteso al confine dato che le forze turche attaccavano chi cercava di passare. Quando qualcuno cercava di passare il confine per o da Kobane, veniva sparato. Noi siamo stati lì per procurare protezione.

In ottobre, c’è stato un raduno di persone vicino Suruç, che hanno passato il confine, sotto i gas sparati dai carri armati turchi.

Dal 6 all’8 ottobre ci sono state manifestazioni di solidarietà con Kobane n tutta la Turchia. Kader Ortakya, un socialista turco sostenitore di Kobane, è stato ucciso mentre cercava di passare il confine.

Abbiamo aiutato le persone. Alcuni passavano il confine da Kobane e non avevano nessun rifugio. Abbiamo predisposto tende, cibo ed abiti per loro. A volte i soldati venivano nei villaggi con i lacrimogeni ed i cannoni ad acqua e dovevamo spostarci. Alcuni hanno attraversato il confine alla ricerca delle loro famiglie e noi li abbiamo aiutati. Altri sono venuti per passare il confine ed andare a combattere e noi li abbiamo aiutati. Indossavamo qualcosa che diceva che eravamo del DAF.

Le YPG e le YPJ [‘le Unità di Difesa Popolare’ della Rojava, le YPJ sono una milizia di donne] hanno respinto l’ISIS giorno dopo giorno. La collina di Mıştenur è stata molto importante per Kobane. Dopo che questa collina era stata conquistata dalle YPG e dalle YPJ alcune persone volevano tornare a Kobane. Quando vi sono tornate hanno trovato le loro case distrutte dall’ISIS. Alcune case erano state minate ed alcuni sono morti uccisi dalle mine. Queste mine vanno bonificate, ma da chi e come? La gente ha bisogno di nuove case e di aiuto. Ci sono state delle riunioni ed abbiamo discusso di come aiutare Kobane. Ne abbiamo fatta una due settimane fa ad Amed.

CW: Che posizione avete sulle elezioni?

DAF: Noi non crediamo nella democrazia parlamentare. Noi crediamo nella democrazia diretta. Non abbiamo sostenuto l’HDP per le elezioni, ma abbiamo lavorato con loro nelle strade.

Emma Goldman diceva che se le elezioni potessero cambiare qualcosa le avrebbero già dichiarate illegali. Ci sono brave persone dentro l’HDP che dicono cose corrette, ma noi riteniamo che il governo non va bene e che il sistema elettorale è iniquo.

In Rojava non la chiamano rivoluziona anarchica, ma non c’è governo, non c’è Stato e nemmeno gerarchia, per cui noi ci crediamo e portiamo la nostra solidarietà.

CW: Cosa potete dirci dell’attentato di Suruç [domanda fatta per email dopo l’intervista originale]

DAF: Oltre 30 giovani che volevano partecipare alla ricostruzione di Kobane sono stati uccisi da un attentato dell’ISIS. Questo attentato è stato evidentemente organizzato dallo Stato Turco. Che non ha fatto nulla pe evitarlo sebbene ne avessero avuto informativa un mese prima. Inoltre, dopo l’esplosione, lo Stato ha attaccato la Rojava e compiuto operazioni contro le organizzazioni politiche in Turchia. Ora ci sono molte operazioni e pressioni politiche sugli anarchici e sui socialisti come sulle organizzazioni curde. Stanno usando l’attentato come una ragione tesa a giustificare questa repressione politica sia a livello interno che internazionale.

Abbiamo perso 33 compagni, amici che lottavano per la rivoluzione della Rojava contro la repressione statale, contro la negazione e contro la politica dei massacri. Ci sono persone che sono state uccise dallo Stato, dall’ISIS e da altre forze. Ma la nostra resistenza non si fermerà, la nostra lotta continuerà, come sempre nella storia.

(traduzione a cura di Alternativa Libertaria/fdca – Ufficio Relazioni Internazionali)

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