Alternativa Libertaria_FdCA

capitalismCrashedINTRODUZIONE

I lavoratori sono sempre persuasi che da sé stessi sarebbero totalmente incapaci di gestire le imprese, e che senza l’aiuto dei titolari di esse e dei loro accoliti (i c.d. “gestori”) le imprese stesse andrebbero a fondo.

È evidente solo per pochi che si tratta di un’astuta menzogna che permette di contenere in una docile rassegnazione le masse fruttate, affinché non abbiano mai la velleità di reclamare il potere che è loro, il “potere di fare”.

Infatti, la cooperazione, la diligenza e l’intelligenza dei lavoratori vengono costantemente richieste in ogni tipo di impresa, siano grandi o piccole, private o statali.

Lo si riscontra osservando da vicino la concretezza della produzione e dei servizi. Se i lavoratori si comportassero come automi privi di intelligenza, in breve per tutta la produzione (e i servizi) ci sarebbe una stato di disorganizzazione.

Tuttavia, possiamo e dobbiamo anche considerare esempi “in positivo”. Ossia le imprese autogestite che – nei momenti di disorganizzazione economica e di crisi del potere – finiscono sempre col venir fuori.

I lavoratori molte volte sono portati ad assumere il controllo della gestione delle imprese a causa della fuga o del sabotaggio dei padroni e dei gestori, e inizialmente lo fanno per assicurare il proprio posto di lavoro, non per una decisione premeditata, bensì sotto la pressione delle circostanze eccezionali in cui vivono.

Sono molti gli esempi di imprese cooperative che funzionano bene, in genere di piccole dimensioni, in cui i lavoratori sono proprietari delle imprese e le decisioni vengono formate in assemblee democratiche. L’esempio di queste imprese cooperative ben condotte viene minimizzato, particolarmente dai “rivoluzionari patentati”, che vi vedono (con ragione) una negazione dei loro progetti autoritari.

Peraltro, anche i capitalisti fanno di tutto per sabotare il loro successo, anche quando esse non costituiscono una minaccia concorrenziale per il settore capitalista. Da qui nasce il fatto che un modello generalizzato e cooperativo di autogestione non riesca ad installarsi progressivamente, per generalizzazione del modello stesso, stante il semplice motivo che la classe sfruttatrice – fin quando si mantenga al potere – non lo permetterà.

Questo non significa che detto modello di gestione e di proprietà cooperativa non possa costituire la futura base di quella che si potrà considerare una società basata su principi non capitalisti (e, pertanto, socialisti): vale a dire, al contrario, che queste soluzioni esistono già nella teoria e sono state sperimentate molte volte, non avendo nulla di utopico; semmai è il contrario.

È questo che giustamente temono i detentori del potere attuale ed i loro capataz; temono che questo modello possa -nella coscienza delle masse- diventare desiderabile, naturale, necessario, per essere stato posto in essere con successo in varie parti del mondo ed in vari settori di attività.

L’AUTOGESTIONE NON È UTOPIA

Anche per questo i libertari – in generale difensori dell’autogestione e delle cooperative – cadono in un tremendo errore accettando di buon grado che altri (e non loro stessi) li considerino utopisti. Si tratta di una forma di autosconfitta del massimo grado, poiché essi danno credito ai clamori dei loro più acerrimi nemici, i capitalisti e i loro capataz, che guidano i partiti detti “socialisti” o “comunisti” o “di sinistra”.

La praticabilità delle forme di organizzazione in autogestione e in cooperativa non manca di dimostrazione. Non si può dire lo stesso sia dei modelli idealizzati che “legittimano” i meccanismi di mercato del capitalismo privato, sia della centralizzazione estrema del capitalismo di Stato, o bolscevismo, come strumenti di emancipazione e giustizia sociale.

La libertà senza socialismo non è altro che miseria e ingiustizia per l’immensa maggioranza, e il socialismo senza libertà è un mostruoso sistema di schiavitù e di negazione della dignità umana, come già sostenuto da Bakunin circa 150 anni fa, ai tempi della I Internazionale.

Perché sia realizzabile un’autogestione generalizzata, non è imprescindibile disarticolare vasti e complessi insiemi produttivi o di servizi, come per esempio la grande industria e i servizi sanitari, o altro, o ancora i sistemi di comunicazione. Alle volte si confonde l’autogestione con la visione – per nulla rivoluzionaria – del “piccolo è bello”, con un ecologismo fondamentalista, o addirittura con forme estreme di negazione della civiltà tecnologica da parte dei c.d. “primitivisti”.

In realtà, non c’è ragione per pensare che la distribuzione orizzontale del potere sia necessariamente e obbligatoriamente correlata al frazionamento delle unità produttive o dei servizi secondo una dimensione familiare o da piccola comunità.

La possibilità di autogestione partendo dalle forme ereditate dal passato, cioè dal capitalismo industriale, è perfettamente realizzabile con un controllo del funzionamento di tali unità effettuato internamente, dagli stessi lavoratori, come da parte delle comunità locali, regionali, nazionali o anche internazionali.

Questo controllo comunitario può essere concepito come un’estensione del modello federalista libertario, in cui le diverse unità abbiano tutta l’autonomia nell’ambito della propria sfera di competenza, essendo obbligate a stipulare “patti” o “contratti” con altri insiemi, si tratti di altre unità di produzione o di comunità organizzate in assemblee.

continua su http://www.fdca.it/analisi/baptista_autogestione.htm

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