Misurata si trova sulla strada tra la Cirenaica e Tripoli.
Cioè tra l’avanzata militare del generale Khalifa Haftar che governa a Tobruk ed il governo di Tripoli di Al-Sarraj che ha l’appoggio italiano.
Dopo più di 100 anni l’Italia ritorna a Misurata e vi si precipita in armi, droni e dottori, rispondendo all’appello umanitario di Al-Sarraj, ma proprio all’indomani dell’avanzata delle truppe di Haftar verso Sirte con la conquista di pozzi petroliferi della cosiddetta “Mezzaluna Petrolifera”, capace di 700mila barili al giorno di greggio, mentre la produzione attuale di petrolio in Libia è di 200mila barili al giorno, un decimo rispetto al 2011.
Dal 2011, infatti, dopo l’attacco francese, britannico ed americano che portò alla fine di Gheddafi, la Libia è percorsa da una guerra fatta di conflitti fra le tribù, fra le milizie ed interno all’Islam, ma che ha sempre mantenuto i caratteri di una guerra per interessi geopolitici ed economici.
Un regolamento di conti, una spartizione della torta fra potenze esterne e le due entità libiche di Tripoli e Tobruk, entrambe concorrenti per l’esportazione di petrolio.
In Libia giace il 38% delle riserve africane. Un greggio di qualità che, atttualmente, insieme a gas, è in grado di estrarre solo l’ENI in Tripolitania, ma con scarsa protezione del governo di Al-Sarraj. Dunque, da proteggere con un intervento diretto.
Quanto vale la Libia? Le ricchezze del sottosuolo più i petrodollari del fondo sovrano libico depositati a Londra dicono che la Libia vale 130 miliardi di dollari oggi ed almeno tre volte tanto se dovesse tornare ad esportare petrolio come prima del 2011, magari con un governo a capo di un paese diviso in zone d’influenza.
La Cirenaica alla Gran Bretagna che lì ha asset della BP e della Shell, oltre ai petrodollari libici da difendere. Ma anche proteggere i consorzi francesi, americani, tedeschi e cinesi.
Alla Francia la guardia del Sahel nel Fezzan dove curare i suoi interessi energetici e geopolitici verso le ex-colonie.
All’Italia la Tripolitania ed il controllo del gasdotto Greenstream che porta gas sulle coste siciliane.
Quello che conta dunque è rimettere sul mercato le ricchezze libiche e crearci intorno un sistema militare di sicurezza regionale che protegga il tutto. Sotto la supervisione strategica degli Stati Uniti.
Tutto questo non piace alle fratricide forze libiche che vorrebbero tenersi le ricchezze per sé.
L’avanzata delle truppe di Haftar verso Sirte, gli aprirebbe le porte della Tripolitania e cambierebbe gli equilibri, una volta cacciato l’ISIS da Sirte. Non a caso Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito hanno condannato l’offensiva di Haftar chiedendo l’immediato ritiro delle sue truppe.
Gli sponsor arabi delle varie fazioni libiche, come l’Egitto che appoggia il generale Khalifa Haftar a Tobruk, il Qatar che invia dollari agli islamisti radicali di Tripoli, gli Emirati che appoggiano Tobruk o la Turchia che ha spostato jihadisti libici dalla Siria alla Sirte, non stanno certo a guardare.
Anche se dalle basi italiane non si fosse alzato neanche un aereo, l’Italia in guerra c’era già, in un’alleanza fatta di rivali e concorrenti, dentro quella NATO che spinge scelleratamente l’Europa a portare la sua azione militare sempre più lontano.
Ora il governo italiano ha rotto gli indugi e si colloca militarmente di traverso sul cammino di Haftar verso Tripoli, perchè in Libia, i nemici –reali o finti, ISIS o altri- sono coloro che vogliono mettere le mani sullo sfruttamento del petrolio e del gas libici.
Un’altra sporca guerra per le risorse. Una pericolosa avventura in nome del profitto.
Antimilitarismo e lotta di classe: chiusura delle basi militari in Italia, smantellamento del MUOS.
Alternativa Libertaria/fdca
95° Consiglio dei Delegati
Fano, 1 ottobre 2016