Alternativa Libertaria_FdCA

Irriducibilità al capitalismo significa lavorare in termini di partecipazione

libro IRISBiologico, collettivo, solidale: Dalla filiera agricola alle azioni mutualistiche, il modello partecipativo della Cooperativa Iris

Per costruire una società di liberi e libere ed uguali occorre identificare tutti i momenti in cui si confrontano in modo partecipato ed orizzontale gli attori sociali nei loro ambiti naturali, siano essi esclusivamente contesti culturali, vertenze territoriali siano essi collegati a lavoro e produzione. Occorre vedere in essi il potenziale esercitato dalla relazione e dalla co-progettazione nel tracciare in modo inclusivo i fili di bisogni ed obiettivi comuni. La maglia che ne deriva è il tentativo di ricostruire un tessuto sociale ormai reciso e sfibrato dagli attacchi onnivori del capitalismo contro tutti i prodotti della collettività.

Una rete di reti che sperimentano quotidianamente tecniche di resistenza e consapevolezza ognuna incentrata sulle proprie emergenze, ma di fatto costituendo degli elementi utili per la ricomposizione, su matrice esperienziale e non identitaria, di una nuova classe quale soggetto anticapitalista e libertario, quale esito di chi si auto-organizza e sviluppa vertenze che trasformano gli interessi in comune in veri e propri beni comuni da tutelare ed autogestire, che riducono nel tempo e nello spazio la distanza tra gli interessi immediati ed gli interessi storici degli sfruttati.

Per questo, quelli che sono stati spesso considerati fronti secondari, apparentemente interclassisti, che elaborano il conflitto sociale giocando principalmente sul piano culturale oltre che produttivo, in realtà assumono importanza centrale in termini di ricomposizione.

Perché vanno a riposizionarsi sui fronti storici lasciati sguarniti dalla sconfitta della classe del proletariato, facendosi carico delle contraddizioni (vecchie e nuove) di un potere popolare che acquista coscienza di sé sulla base delle piccole rivendicazioni quotidiane finalizzate ad emancipare se stesso dal giogo dello sfruttamento e del profitto capitalista nelle sue varie forme.

Che difende le proprie conquiste ed utilizza gli strumenti assembleari in cui praticare democrazia diretta del federalismo libertario per costruire alternative.

Il progetto di Iris porta con sé anche tutto questo.

Un’esperienza la cui vita si è intrecciata nel tempo con tanti di noi comunisti libertari: nella partecipazione diretta per alcuni, nel dovere tenere conto -per altri- di forme di costruzione di alternativa diverse (ma complementari) da quelle classicamente intese in un orizzonte di classe declinato prevalentemente, se non esclusivamente, in chiave sindacale e rivendicativo.

Un riferimento importante di relazioni e di consigli, un parametro su cui costruire percorsi di cooperazione e condivisione produttiva in altri territori, diversi per storia e per caratteristiche sociali, per altri ancora. E per questo, oltre che per il comune patrimonio ideale, la storia di IRIS è un po’ anche una nostra storia.

Abbiamo visto Iris in tante situazioni portare, sempre sottovoce, il proprio contributo e il proprio sostegno, in progetti produttivi e sociali anche molto diversi da sé, contribuendo a tessere una rete di tante realtà in cui tante sperimentazioni, nelle loro differenze, possono crescere.

E se nel panorama dell’economia solidale Iris è una riconosciuta colonna portante, in molti altri ambiti, Iris è stata il primo contatto con il biologico.

Con i suoi prodotti, ha costruito nel tempo una alternativa alla “facile” scelta del sottoprezzo da supermercato per le cene dei centri sociali o di autofinanziamento, prima che concetti come l’autodeterminazione alimentare e la filiera corta assurgessero a patrimonio condiviso. E prima ancora che anche sul versante della produzione l’idea di una nuova contadinità in lotta per l’autodeterminazione si affacciasse in maniera consistente come sta succedendo negli ultimi anni.

L’agroindustria capitalistica ha prodotto solo mostri da un punto di vista ambientale. Ha servilizzato un mondo bracciantile difficilmente sindacalizzabile, brutalizzato e frammentato. Ma proprio dal settore produttivo più bistrattato, riemergono – a cominciare dalla difesa della terra e dei suoi lavoratori- soggetti collettivi che a partire dai bisogni primari lavorano con successo alla trasformazione della società, alla difesa dei beni comuni, alla riconquista di forme di lavoro qualificanti in un quadro che non è eccessivo definire autogestionario oltre che solidale.

E anche su questo Iris ha parlato ai coltivatori.

Si è rivolta ai coltivatori, e ha parlato di loro, in termini di produzione e non di accumulazione, in termini di collaborazione e di cooperativismo e non di rapporto di dipendenza. Ha proposto una prassi di comunanza oltre la visione univoca della proprietà privata, costruendo cooperazioni virtuose, riportando il reddito dell’azienda agricola non alla legge della domanda e dell’offerta ma al lavoro e al fabbisogno produttivo di un territorio e di una filiera.

Il passo successivo è la definizione un rapporto organico tra i produttori ed il territorio, tra la cooperativa e la sua filiera in un progetto di biocomunità, caratterizzate entrambi da una struttura organizzativa orizzontale e antiautoritaria, capaci di respirare in modo sincrono. Passando dalle retrovie in prima linea: sperimentando autogestione. Così la cultura ambientalista, le bandiere del biologico e dell’economia solidale approdano a quell’irriducibilità che permette loro di sfuggire alle spire del marketing del sistema capitalistico, con nuove gemmazioni nell’ambito della produzione.

In questo ambizioso, ma necessario, scenario in costruzione, Iris svolge un rilevante ruolo di cerniera, capace di vincere le diffidenze di chi ancora ha paura di fare scelte coraggiose in agricoltura.

Intersecando agricoltura biologica e trasformazione industriale ecologica -senza estrazione di plusvalore- redistribuendo in modo capillare prodotti e proventi delle proprie azioni mutualistiche, IRIS coltiva e trasforma il sentimento di giustizia in una proposta di uguaglianza sociale; rimette al centro la mutualità; diventa possibile motore di trasformazione anticapitalista all’interno di un movimento composito e plurale.

La Cooperativa e le sue sperimentazioni, per altro spesso riuscite, così come emerge da questo saggio di Monia Andreani, mostrano un modo di affrontare il problema della produzione agricola in un’ ottica anticapitalista. di transizione.

In una realistica e fertile strategia di transizione verso una società comunista e libertaria, che noi auspichiamo e per la quale lavoriamo, Diviene trascurabile oggi inseguire il sogno di fare secessione rispetto all’economia capitalistica, tanto meno auto-accontentarsi di essere fenomeno residuale risparmiato dalle contraddizioni del sistema. Occorre -piuttosto- costruire e sperimentare su base territoriale metodi replicabili, ma non unici, per produrre e distribuire prodotti agricoli che siano ancorati a criteri etici ed economici in grado di sopravvivere alle leggi del capitale contrastando le tare che lo caratterizzano, trovare modalità di accesso alla terra per incentivare forme di lavoro cooperativistico e non gerarchico.

Per progettare l’agricoltura del futuro, è indispensabile ripartire dalla piccola scala e dalle comunità territoriali di supporto reciproco e cogestione che permettano l’esistenza e la diffusione di realtà virtuose che, collettivizzando i terreni, se ne occupino in prima persona con la tecnologia delle nuove generazioni e la cura delle vecchie generazioni.

Questo crea sussidiarietà orizzontale e solidale attraverso lo scambio di beni e servizi, in modo da collegare una parte sempre crescente di beni ed accogliere il maggior numero possibile di settori della produzione creando anche occupazione all’interno di circuiti virtuosi con regole condivise.

La filiera va completata con i suoi pezzi successivi, con una trasformazione che può, deve poter uscire dall’ambito dell’autoproduzione e da quello artigianale per dimostrare che è possibile realizzare economie di scala che restino però ancorate ai principi del mutualismo e della sostenibilità, e coltivino sempre la diffidenza verso le sirene del capitalismo.

In questo ambito si parla di mutualismo inteso come forma di resistenza ad un modello di società neoliberista e predatorio, che azzera il welfare, affama interi popoli, distrugge progressivamente i diritti umani, colpevolizza la povertà, monetizza i diritti civili e le libertà. La resistenza e la trasformazione, oggi come alle origini del movimento operaio, si configurano come un’esigenza collettiva di difesa e di promozione di diritti economici e sociali.

Mutualismo, quindi, è inteso nei termini di interdipendenza e reciprocità di esseri umani che si prendono cura, che si impegnano per cambiare le relazioni fondamentali con la terra, con l’ambiente, con il mondo, e per questo esce e si libera dalla concezione lineare, di progresso tipica del capitalismo e della sua logica mercantilistica ed individualistica.

Il mutualismo rimanda alla giustizia sociale, la costruisce e la presuppone non in termini astratti, ma attraverso la costruzione di una società alternativa che può essere solo radicalmente anticapitalista.

Per pensare ad un domani di giustizia sociale occorre sperimentare qui ed ora, partendo da come facciamo giustizia sociale quotidianamente, avendo nel cuore e nella mente una sana diffidenza verso gli strumenti che il capitalismo impone.

Più di ogni altra cosa, verso il debito come presupposto di crescita economica, quel debito che mira ad incatenare ogni progettualità produttiva.

Le reti di sostegno economico -a partire dallo scambio materiale dei prodotti fino a strumenti ben più raffinati come le azioni mutualistiche inventate da IRIS- non si pongono come emuli infantili e primitivi del mercato, ma offrono alternative e possibilità di autonomia a modelli di crescita e di vita che puntano a riorganizzare la società su basi differenti.

La pratica costruita in questi trent’anni da Iris dimostra longevità e preveggenza e offre strumenti e patrimonio di relazioni e conoscenza che devono essere socializzati per favorire lo sviluppo e il radicarsi di nuove forme di organizzazione territoriale e sociale che ci sono necessarie.

Questo è quello che passa normalmente con l’accezione di “economia alternativa” non perché costituisca effettivamente un’alternativa all’economia del capitale, bensì perché si pone come laboratorio di sperimentazione di strategie di resistenza e progettazione delle strutture e del substrato per la rivoluzione sociale, in un processo di liquidazione territoriale dello stato.

La cifra che contraddistingue Iris è la battaglia, la ricerca, la conquista e lo sviluppo di pratiche e progetti per la proprietà collettiva.

Iris si ricollega così alla storica battaglia della classe degli sfruttati e degli oppressi: la conquista e la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

Questo fine costante, nella lunga storia delle lotte popolari, porta in grembo ed alimenta ancora oggi l’unità di classe dei vari soggetti che hanno come interesse l’unica alternativa possibile: la costruzione di una società comunista e libertaria.

 

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