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“Nella prima settimana di presidenza di Donald Trump hanno avuto luogo due importanti mobilitazioni, espressione di due visioni radicalmente distinte sui diritti riproduttivi. La marcia delle donne a Washington nel giorno seguente all’insediamento di Trump è stata una delle manifestazioni più partecipate nella storia degli Stati Uniti. Ciò che era cominciato come una chiamata spontanea è cresciuto rapidamente fino a diventare un movimento rappresentativo della crescente preoccupazione nei confronti del programma del nuovo governo. La marcia ha riunito circa 500.000 persone a Washington D.C, con manifestazioni parallele in tutto il paese e nel resto del mondo. Una settimana dopo, ha avuto luogo una mobilitazione molto diversa: la marcia annuale per la vita. Nonostante questa sia stata considerabilmente minore, ha riunito comunque un buon numero di persone, inclusi personaggi noti del governo Trump.

In questo momento non esiste nessuna certezza che la marcia delle donne si possa trasformare in un movimento sociale legittimo. Ciò che risulta chiaro è che la marcia delle donne rappresenta un’opportunità politica per ricostruire un movimento femminista libertario (insieme ad altre lotte che si stanno sviluppando) che ponga domande finalizzate a migliorare la vita dei lavoratori e che si opponga al carattere liberale e capitalista del movimento femminista attuale.”

UNA MINACCIA CONSERVATRICE CREA NUOVE OPPORTUNITÀ PER UN FEMMINISMO DI CLASSE

Nella prima settimana di presidenza di Donald Trump hanno avuto luogo due importanti mobilitazioni, espressione di due visioni radicalmente distinte sui diritti riproduttivi.

La marcia delle donne a Washington nel giorno seguente all’insediamento di Trump è stata una delle manifestazioni più partecipate nella storia degli Stati Uniti. Quello che è cominciato come una chiamata spontanea è cresciuta rapidamente fino a diventare un movimento rappresentativo della crescente preoccupazione nei confronti del programma del nuovo governo. La marcia ha riunito circa 500.000 persone a Washington D.C, con manifestazioni parallele in tutto il paese e nel resto del mondo. Una settimana dopo, ha avuto luogo una mobilitazione molto diversa: la marcia annuale per la vita.

Nonostante questa sia stata considerabilmente minore, ha riunito comunque un buon numero di persone, inclusi personaggi noti del governo Trump. Rompendo il protocollo politico tradizionale, il vicepresidente Mike Pence, un ex-cattolico convertito al cristianesimo evangelico, ha parlato durante la manifestazione dichiarando: “La vita sta vincendo di nuovo negli Stati Uniti”.

Negli Stati Uniti, la legalità dell’aborto è affidata alla Roe. v. Wade, una sentenza del 1973 che può essere riconosciuta solo da una nuova decisione della Corte Suprema. Attualmente vi è un vuoto legislativo che il presidente Obama non è stato in grado di riempire nel suo mandato. Durante la sua campagna elettorale il candidato successore Donald Trump aveva espresso l’intenzione di nominare un giudice antiabortista, promessa che è stata ripetuta da Pence e finalmente realizzata il 30 di gennaio con la nomina di Neil Gorsuch. Se verrà confermato il rapporto pubblicato recentemente sulle vicende che hanno portato all’elezione del giudice Gorsuch, la direzione sarà quella di una svolta conservatrice, “votando per limitare i diritti degli omosessuali, mantenere restrizioni sull’aborto e invalidare i programmi di azione positiva (affirmative action)”.

Nonostante sia legale, l’accesso all’aborto continua ad esser precario e discontinuo negli Stati Uniti, specialmente per gli abitanti delle comunità rurali. Questo è dovuto in parte al successo del movimento antiabortista, che si è servito di metodi legali o dal basso per ridurre l’accesso all’aborto. Questa tendenza è divenuta particolarmente evidente negli anni ’90, quando organizzazioni evangeliche di destra come Operation Rescue, Moral Majority, and the Family Research Council hanno acquisito maggiore importanza. Queste organizzazioni hanno cavalcato la reazione conservatrice di fronte alla rivoluzione culturale degli anni ’60, esigendo che si pregasse nelle scuole pubbliche, opponendosi all’educazione sessuale e chiudendo le cliniche per donne. Questo periodo di opposizione tra il conservatorismo religioso e i valori progressisti secolari è chiamato la “Guerra culturale” (“The cultural wars”). In quell’epoca il movimento femminista nordamericano della terza onda era già completamente istituzionalizzato dentro al Partito democratico, e non è stato possibile difendere le conquiste già fatte di fronte ad una tale opposizione.

La marcia delle donne è stata la dimostrazione pubblica in difesa dei diritti riproduttivi più importante nella storia recente. Essa rappresenta la prima chiamata ad un’azione capace di unire trasversalmente donne di ogni razza, classe e tendenza politica dalla sconfitta dell’emendamento sulla legge paritaria (Equal Rights Amendment) della fine degli anni ’70. Durante l’ultima decade, le politiche di sinistra negli Stati Uniti sono state dominate dalla politica dell’identità: una teoria politica che enfatizza l’identità razziale, sessuale e di genere a discapito della classe sociale. Le politiche dell’identità inizialmente contribuirono all’analisi e alla decontrazione delle manifestazioni di supremazia bianca e di patriarcato all’interno di organizzazioni e movimenti di sinistra, ma furono adottate presto dai giovani progressisti in ambito accademico. All’interno di questa analisi, il concetto di classe s’intende come un’identità in più, soggetta ad essere discriminata però non sulla base della sua relazione con i mezzi di produzione.

Ciò che era inizialmente uno strumento utile per l’analisi dei disequilibri del potere finì per trasformarsi in una posizione ideologica caratterizzata dalla disunione, dal separatismo e da un localismo estremo. Questi comportamenti politici hanno influenzato fortemente le sinistre istituzionali e rivoluzionarie negli Stati Uniti, bloccando la crescita di movimenti sociali ad ampia base.

Il problema della natura frammentaria della politica dell’identità è stato affrontato mediante l’applicazione del concetto di intersezionalità, una pratica teorica che contiene l’analisi delle identità sociali sovrapposte e dei loro corrispondenti sistemi di oppressione, dominio o di discriminazione. L’intersezionalità è stata pensata per preparare un modello che promuovesse una cooperazione orizzontale e inclusiva all’interno dei movimenti e delle organizzazioni tra le diverse identità. Senza dubbio nella pratica gli attivisti finirono per seguire l’interpretazione secondo la quale tutte le identità e tutte le oppressioni sono collocabili sullo stesso piano, e non si richiede nessun giudizio particolare al capitalismo o allo Stato per completare l’analisi. Come dimostrato nella recenti elezioni negli Stati Uniti, la maggior parte delle persone reagisce alle minacce contro la sua realtà materiale e non in base a considerazioni puramente ideologiche sulla propria collocazione nella complessa gerarchia delle identità oppresse…risulta ironico che la politica “dall’alto” condotta da Trump abbia finito per costringere la sinistra statunitense ad incontrare un’unità che, appena un mese fa, brillava per la sua assenza.

In questo momento non esiste alcuna certezza che la marcia delle donne si possa trasformare in un movimento sociale legittimo. In tutto il paese, i microfoni sono stati monopolizzati dai politici democratici e da celebrità liberali, mettendo l’accento sulla resistenza istituzionale. Questo contrasta con la diversità politica dei partecipanti alla marcia: alcuni esigono riforme, mentre altri chiamano alla rivoluzione. Il fattore unificante è il desiderio collettivo di iniziare una resistenza nelle strade di fronte alla regressione sociale che si sta annunciando. Le femministe rivoluzionarie hanno appena iniziato ad inserirsi in questi spazi politici e il ruolo che ricopriranno non è ancora chiaro. Ciò che risulta chiaro è che la marcia delle donne rappresenta un’opportunità politica per ricostruire un movimento femminista libertario (insieme ad altre lotte che si stanno sviluppando) che ponga domande finalizzate a migliorare la vita dei lavoratori e che si opponga al carattere liberale e capitalista del movimento femminista attuale. Esiste una chiara opportunità per riportare l’attenzione sulle domande classiche di giustizia riproduttiva, uguaglianza economica e fine della violenza patriarcale, e per porre nuove domande con una forza maggiore rispetto ai decenni passati. I nostri sforzi necessiteranno degli elementi migliori dell’analisi intersezionale per impedire che si sviluppino di nuovo le gerarchie che cerchiamo di abolire, però questo è solo il principio. Dobbiamo riconoscere la realtà materiale di coloro che vengono direttamente impattati dal capitalismo patriarcale, e lasciare che questa prospettiva ci guidi nel movimento rivoluzionario che vogliamo costruire.

Link esterno: http://www.blackrosefed.org/

Nota delle autrici: questo articolo è stato redatto da Romina Akemi e Bree Busk per Solidaridad, il giornale della organizzazione cilena Solidaridad-Federación Comunista Libertaria. Per questo motivo, alcuni concetti e fatti storici che risultano familiari ai lettori statunitensi vengono spiegati più dettagliatamente.

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