Economie collettive e solidali, autogestione e mutualismo
Assistiamo ad una risposta sociale del tutto inadeguata alla ampiezza e alla ingiustizia del disagio sociale in atto
La progressiva scomparsa a livello planetario di un orizzonte comune alternativo al sistema capitalistico rende più frazionata e complessa la lotta per la costruzione di una società di libere, liberi ed uguali. Ciò anche grazie alla trasformazione antropologica in atto (connessa alla globalizzazione e alle nuove tecnologie digitali che mettono in un contatto sempre più immediato realtà umane ed ambientali molto diversificate) che rende ancora più complicate sia la condivisione di azioni e percorsi condivisi che la semplice comunicazione, ormai sostanzialmente privata di codici di riferimento comuni, fatta eccezione del “pensiero unico” capitalistico che trasforma -inesorabilmente- tutto quello che tocca, in “merce” acquistabile con il denaro.
Sempre più assistiamo ad un sostanziale allontanamento della prassi delle istituzioni e di molte organizzazioni partitiche “ufficiali” dalla difesa dei diritti e dal dare risposta ai bisogni umani primari (diritto al reddito e alle tutele: malattia, maternità, previdenza; equa redistribuzione del reddito; formazione…); organizzazioni ormai sostanzialmente asservite -complessivamente- al mantenimento del regime capitalistico.
In queste condizioni, singole persone, anche interessate e disponibili a partecipare a processi di trasformazione socioeconomica equi e di interesse generale, non trovano ad oggi molte sedi -affidabili- in cui essere ascoltate e prese in considerazione. Si diffonde così la perdita della speranza nella capacità di costruire orizzonti comuni di emancipazione e prevale la cultura dell’individualismo possessivo, che fomenta la divisione e la guerra tra poveri, aumentando paura, insicurezza e “manovrabilità”.
Il nostro contesto
Da tempo partecipiamo, seguiamo, parliamo di forme di economie collettive e solidali. In effetti queste realtà, nel loro procedere, ci offrono diversi spunti interessanti di riflessione, per come cercano di costruire possibile risposte al disagio sociale. esperienze produttive e di vita in cui protagonisti sociali, persone o organismi collettivi si confrontano, in modo partecipativo ed orizzontale, nei loro ambiti naturali (culturali, produttivi, vertenziali, territoriali) innescando processi propositivi di percorsi di cooperazione e di condivisione produttiva, distributiva e di servizio:
persone che vogliono costituire insieme realtà economiche sostenibili, sia dal punto di vista ecologico che sociale, con una ottica di radicale alternativa al capitalismo, dando vita, forza e riconoscimento a nuclei di resistenza attiva connessi in rete, capaci di dare alcune risposte ai bisogni primari, individuali e sociali; persone intenzionate a collaborare collettivamente alla conquista di una autodeterminazione territoriale che permetta a chiunque di vivere una esistenza sempre più autonoma dai dictact delle multinazionali e delle banche, e capace -nel tempo- di dare vita ad una “autodeterminazione sociale di esistenza” sempre più generalizzata,
che fondano
realtà produttive che vivono le dinamiche che le sostanziano, autogestione, mutualismo, ecosostenibilità, il sottrarsi allo sfruttamento e al lavoro gerarchico
e che insieme a
soggetti collettivi, disposti alla relazione circolare e alla co-progettazione verso obiettivi comuni, che partono dai bisogni primari, lavorano con successo alla trasformazione della società, alla difesa dei beni comuni, alla riconquista di forme di lavoro qualificanti, in un quadro autogestionario oltre che solidale
cercano di pensare e costruire
realtà sociali territoriali (ecoreti) che facciano partire sul territorio meccanismi progettuali e decisionali di mutuo sostegno e di trasformazione, realtà che vivono le contraddizioni vecchie e nuove di un potere popolare che acquista coscienza di sé sulla base delle piccole rivendicazioni quotidiane finalizzate ad emanciparci dal giogo dello sfruttamento del profitto capitalistico nelle sue varie forme;
In particolare colpiscono alcuni aspetti che merita citare espressamente.
Il lavoro
In primo luogo l’idea del lavoro che in queste realtà che sperimentano forme di economia solidale, riacquista la sua dignità, cercando di sfuggire almeno in parte all’ alienazione sia da un punto di vista economico, sottraendosi allo sfruttamento e all’estrazione di plusvalore da lavoro dipendente, sia con il recupero del lavoro come momento creativo e non eterodiretto. Così l’oggetto del prodotto del lavoro stesso tende ad allontanarsi dal concetto di “merce” acquistabile al minor prezzo possibile, ricollegandosi alla vita della persona -in carne ed ossa- che mette a disposizione tempo, attività e saperi, per rispondere al bisogno di un’altra persona; spostando quindi l’attenzione in direzione del rispetto dei diritti e dei doveri delle persone coinvolte nello scambio di beni e/o servizi; ma con l’intenzione di determinare insieme il valore dello scambio: delle cose, delle ore e del lavoro impiegato per produrle; a prezzi equi per la produzione ma anche accessibili a chi si rende disponibile a mettersi in gioco in una “relazione circolare”, impegnandosi ad un loro uso o acquisto prefissato. In questa dinamica cresce la spinta a un superamento della dimensione lavorativa individuale o familiare verso forme di condivisione di risorse e, in prospettiva, di proprietà e gestione collettiva.
L’intenzione di migliorare la propria qualità della vita
Questo nuovo tipo di unità produttive -interessate ad organizzarsi per rispondere al meglio ai propri bisogni vitali quotidiani- costituite da persone che si relazionano tra di loro per migliorare la propria qualità della vita, favorisce relazioni di scambio centrate sulla persona nella sua globalità e non come “strumento” -più o meno occasionale- da usare per raggiungere il proprio esclusivo interesse; cioè con modalità sempre più vicine alle esigenze di autodeterminazione esistenziale, propria ed altrui; “irriducibili” quindi al capitalismo, forma esclusiva -e cieca- di accumulazione del profitto fine a se stesso;
Lo sviluppo della coscienza politica
La relazione circolare tipica dell’eco-rete, centrata sul soddisfacimento dei bisogni sociali primari, individuali e collettivi e sull’integrazione tra lavoro e vita attraverso una pratica organizzativa continuativa in comunità tendenzialmente solidali e di mutuo soccorso, può diventare fattore di sviluppo di una presa di coscienza politica, nel momento in cui sia possibile verificare concretamente l’efficacia di alleanze ampie funzionali al raggiungimento di obiettivi specifici. Cioè quando si possono sperimentare -concretamente- situazioni in cui le proprie esigenze vitali possono essere soddisfatte meglio se si riescono a costruire alleanze di scopo o patti territoriali per la trasformazione sociale e ambientale dei territori.
Si viene allora ad acquisire una maggiore consapevolezza delle difficoltà reali connesse alla realizzazione di un progetto, facilitando la riconquista della fiducia nella relazione e in una progettualità assembleare e orizzontale, autogestita e solidale. Queste sperimentazioni possono assumere un ruolo prefigurativo dove far crescere forme di solidarietà sociale e di diversi rapporti di produzione e di orientamento e gestione del territorio su basi federaliste e libertarie, per riguadagnare nell’orizzonte del possibile una società più giusta e solidale.