LA BOMBA DEL 12 DICEMBRE DEL ’69?
A MILANO, A PIAZZA FONTANA?
NO, VERAMENTE NON MI RICORDO, NON C’ERO, NON ERO NEANCHE NATO…
Quanti anni dal quel 12 dicembre 1969 in cui una bomba fece tremare Piazza Fontana a Milano. Facile che oggi qualcuno non ricordi, o non sappia. Così ci dicono.
Quanti anni dal quel 15 dicembre in cui Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, fu spinto alle spalle da una forza di gravità che lo fece precipitare dal quarto piano della questura di Milano. Ma non si può dimenticare, non possiamo permetterci di non sapere. Bombe, vittime casuali, voli dalle finestre, rimasti senza una spiegazione, senza condanne, senza colpevoli. E il presunto colpevole era allora, è stato per tutti questi anni, ed è ancora oggi così forte e legittimato da poter opporre se stesso alla sua condanna…
STRAGE DI STATO. Così si disse, senza smentita. Ma nemmeno senza attendersi giustizia, da chi la giustizia la amministra e le condanne – anche a morte – le fa eseguire nell’ombra. Strage di Stato, allora.
Per fermare le lotte operaie, le lotte studentesche, per diffondere il terrore, per prevenire una trasformazione sociale che appariva riluttante a farsi incanalare nell’alveo delle istituzioni borghesi. Contro una temuta rottura rivoluzionaria, fu strage di Stato come rottura preventiva dei rapporti di forza tra le classi.
La strategia della tensione, la si definì.
Cominciò così la cultura dell’emergenza, che ci accompagna da allora, passando per le varie stagioni degli opposti estremismi, del terrorismo e degli anni di piombo, del pentitismo e della repressione che nel XXI secolo si fa spettacolo. Ogni dissenso è criminalizzabile; definita come terrorista ogni opposizione sociale che esprima critiche alle politiche delle istituzioni statuali e capitaliste, dei sindacati che si fanno complici e dei media asserviti.
Cominciò la cultura del non ricordo, con cui i fedeli servitori dello Stato si sono sottratti in questi anni a rispondere delle loro responsabilità, fino alle prossime amnesie.
Cominciò la cultura del sospetto, nutrita di stragi, tutta orientata a sinistra. A cominciare dal movimento anarchico. Una cultura del sospetto infida e liberticida, strumentale alla conservazione degli assetti politico-sociali costituiti. Una cultura che tendeva e tende a salvare i servizi segreti, i gruppi della destra fascista, facendo ricorso sistematico al segreto di… Stato. Tanti anni in cui il neofascismo è stato protetto e nutrito, pronto a schiudersi come l’uovo del serpente di Ingmar Bergman, per riprodurre razzismo e totalitarismo, obbedienza cieca allo Stato ed al capo. Chi cerca di opporsi non può che essere… sospetto! Forse è un pericoloso anarchico!! Non è un caso che oggi il movimento anarchico e tutti i movimenti che esprimono valenze e valori libertari siano oggetto di controlli e di repressione preventiva.
Cominciò così il vuoto collettivo di memoria e la moderna vocazione ad eludere. Decenni in cui la carica di indignazione e di contestazione si è come stemperata nel rito dei processi senza colpevoli eppure rivelatori delle connivenze e di tutto lo spessore e la gravità del disegno stragista.
Ogni frammento di quella bomba, ogni vittima, ci porta all’orrore dell’insieme che abbiamo alle nostre spalle e davanti ai nostri occhi.
Ogni definitivo documento di Stato sulla morte di Pinelli quella sera del 15 dicembre del 1969 ci porta a rinnovare il nostro impegno perché la memoria mantenga viva la consapevolezza di un’altra verità: quella di una classe operaia e di una generazione rivoluzionaria fatta saltare in aria a Piazza Fontana, fatta volare giù da una finestra di Via Fatebenefratelli.
Sì, ci ricordiamo di quella bomba del 12 dicembre 1969. Di quella di Milano e di quelle di Roma. E di tutte quelle messe nelle piazze e sui treni per oltre 10 anni. Sì, ci ricordiamo di tutti i proletari uccisi nelle lotte di quegli anni. Sì, c’eravamo, anche se forse non eravamo ancora nati.
I comunisti anarchici non rimuovono, non dimenticano.