La fase attuale, una lettura possibile
“Il capitale finanziario, dunque, non deve in alcun modo essere considerato una degenerazione del capitalismo, dato che, al contrario, costituisce la forma più adeguata del concetto di capitale. La finanza e i suoi meccanismi contabili esprimono al massimo grado la natura del capitale perché sono del tutto indifferenti tanto al contenuto della produzione quanto al contenuto del lavoro. Ciò che a questi flussi interessa è unicamente ricavare dalle diverse forme di produzione e di lavoro un surplus espresso in quantità astratte di moneta. La finanza, operando alla giunzione tra i tempi della produzione/appropriazione attuale e quella futura, non si rivolge unicamente ai flussi attuali ma anche ai flussi possibili.”
Questo è un brano del documento elaborato ed assunto dal IX Congresso della FdCA a Cingia de Botti, datato 2014.
Sembra di assistere ad una invarianza del nostro tempo, molte di quelle analisi si sono rivelate vere. Persiste in questo tempo storico la funzione dinamica del capitalismo, attraverso la sua estensione finanziaria, a determinare i livelli di accumulazione del capitale. Ancora oggi le condizioni del debito, pubblico o privato, sono la leva essenziale al capitale finanziario per spostare ingenti risorse dal lavoro e dalle condizioni di vita dei proletari alle rendite ed ai profitti di una classe borghese sempre più ristretta e sempre più ricca.
Il mondo non è ancora uscito dalla crisi finanziaria che si è manifestata tra il 2007-2008, anzi, i fenomeni di disgregazione sociale e la lotta per l’egemonia planetaria ci dimostrano che siamo ancora distanti da una riorganizzazione completa del sistema capitalistico globale.
Le ripercussioni di questa prolungata crisi sono evidenti: ha colpito e disarticolato in particolare il così detto “mondo occidentale”, ne ha messo a rischio la sopravvivenza, economica e politica. Questa è anche la prima crisi globale nata da questo mondo, nata negli Usa e riversata sul sistema finanziario, europeo in particolare, modificando repentinamente i rapporti sociali di questi paesi a tutto vantaggio delle oligarchie finanziarie.
Il forte intervento statale per arginare la distruzione di capitali fittizi ha rimesso in moto le politiche statuali ed ha cambiato di segno all’accumulazione globalizzata, vanto delle dottrine economiche neoliberali.
Il neoliberismo è entrato in una crisi dalla quale non si vede ancora una via d’uscita, e ha trascinato con sé, nella propria disfatta anche quelle forze di “sinistra” che pensavano di gestirne il corso, mitigandone l’impatto sociale sulle classi subalterne e riducendo la violenta distruzione di risorse naturali,
Dalla crisi finanziaria alla crisi geopolitica la strada è breve, la crisi di potenza degli USA ha lasciato spazi aperti che nessuno è ancora riuscito a colmare: la Cina, che è il vero competitore globale al potere del dollaro non è in grado, ad ora, di sostituirne il ruolo. E in questa guerra fredda, al momento, si intrecciano interessi ed alleanze che possono mutare in un futuro non troppo lontano.
L’Europa è dentro a queste dinamiche, con rilevanti contraddizioni: la moneta delle esportazioni tedesche, l’euro, rischia di soccombere alle operazioni di potenza internazionali, favorite dal sorgere di sovranismi e nazionalismi che ne minano dall’interno la tenuta politica.
Il pregresso
In questi anni abbiamo assistito ad un forte intervento delle banche centrali, (FED USA e BCE Europa in particolare) a sostenere con massicce immissioni di danaro il salvataggio del sistema bancario e finanziario fortemente compromesso dalla crisi, quella conosciuta come “dei mutui subprime”.
Oggi l’attuale situazione internazionale ci pone di fronte ad uno scenario politico ed economico profondamente instabile, considerato che negli ultimi anni la situazione ha subito mutazioni conseguenti alle risposte date dal sistema finanziario alla crisi.
Caratterizzato dalle contraddizioni sistemiche di questa fase capitalista, il sistema finanziario è ancora completamente immerso in questa crisi di sovrapproduzione. La crisi del 2008 che, con lo scoppio della bolla dei mutui subprime, aveva messo in evidenza le forti contraddizioni sistemiche della fase di accumulazione finanziaria, non è stata superata, “e mai lo poteva essere”. Il sistema finanziario è ancora alle prese con miliardi di dollari di titoli tossici, ora in possesso delle banche centrali, nonostante il forte intervento della Fed e della Bce che in questi anni si sono apprestate ad acquistare titoli e debito pubblico per salvare il sistema bancario, con forte immissione di liquidità.
Infatti dalla crisi finanziaria del 2008 ad oggi sono stati stampati dalle banche federali ed immessi nel sistema finanziario ben 6700 miliardi di dollari. Il programma di espansione monetaria lanciato dalla Banca Centrale Europea nel marzo 2015 e terminato alla fine di dicembre 2018 ha creato dal nulla moneta per ben 2600 miliardi di euro: una somma enorme, pari a circa il 20% del PIL dell’eurozona. Questo denaro (operazione Quantative easing) è servito in buona parte per acquistare titoli di stato dei paesi dell’unione europea e in parte ha finanziato diversi gruppi industrialiattraverso acquisti di obbligazioni.
Ma in Europa, come d’altronde ovunque, il Quantitative easing non ha in alcun modo contribuito alla crescita dell’economia reale. Ha, invece, favorito la crescita delle rendite finanziarie, le rendite dei grandi investitori sui mercati borsistici, aggravando le disuguaglianze in modo insopportabile e, come in Francia, ingovernabile. La stessa dinamica ha coinvolto gli USA, dietro la folle corsa di Wall Street, che negli ultimi 10 anni ha quadruplicato il proprio valore. Si cela infatti l’immissione di ingenti quantità di danaro emesso dalla Federal Reserve, la banca Usa. Ben 4100 milioni di dollari.
L’ingente quantità di moneta emessa, sia negli Usa che in Europa ha permesso di salvare il sistema bancario, ma non ha favorito ed aiutato il sistema industriale, se non in misura modesta. Ha permesso però, attraverso altri canali di finanziamento pubblico, di aggiornarlo e di modernizzarlo, allargando la produzione di beni e servizi alle zone periferiche, ristrutturandolo a partire dalla logistica, e innovando, in Europa ad esempio, con il programma della industria 4.0, l’industria smart (l’internet delle cose), la guida autonoma, l’auto elettrica, la rete 5g, l’intelligenza artificiale.
Ma oggi il sistema finanziario sembra di nuovo ad un punto di caduta drammatico, fortemente contrassegnato da incertezze e dubbi che nascono dalle frizioni della lotta per l’egemonia sul sistema globale..
La crisi di accumulazione del capitale fa da sfondo alla lotta per l’egemonia planetaria delle grandi potenze statuali e dei 500 oligopoli che controllano l’intera attività economica mondiale. L’immissione di soldi ha favorito solo il perdurare della rapina colossale che il capitalismo ha messo in atto, a danno dei lavoratori di tutto il mondo.
I bilanci enormemente gonfiati delle banche centrali sono rimasti come ultima eredità della grande crisi, una sorta di “cicatrice” finanziaria per l’economia mondiale. Approfittando della fase positiva del ciclo economico, dal 2017 tutte le maggiori istituzioni monetarie hanno cercato di avviare una exit strategy dai propri Quantitative Easing. La Federal Reserve rimane l’apripista nel tentativo di riportare alla “normalità” il proprio bilancio; già nel 2013 infatti la Fed aveva avviato una strategia di tapering degli acquisti di titoli, terminati poi nell’ottobre 2014. 1
Oggi quindi abbiamo i tassi della Banche centrali a zero. Che permangono bassi anche in Europa nonostante un’inflazione stimata del 1,6 % nel 2018. Cioè la Banca centrale regala i prestiti, ugualmente la Fed con il 2,5 attuale con un’inflazione equivalente.
I dati che emergono farebbero supporre una uscita dalla crisi, almeno del settore finanziario. Il Pil mondiale è passato dai 58 mila miliardi del 2007 agli 80 mila miliardi attuali, (secondo le stime della Banca mondiale, per il FMI è più alto, per la Cia è inferiore). Gli Usa passano da circa 13 mila miliardi agli attuali 19,4 mila miliardi. La Cina del 2007, quando aveva un Pil simile alla Germania di 3,4 mila miliardi ,ha nel 2010 un PIL simile al Giappone: 5,8mila miliardi. Per arrivare ad ora con 12 mila miliardi di PIL. Tutto ciò con un forte aumento dei debiti: privati, aziendali, pubblici, pari a circa 250 mila miliardi (ma con i risparmi/patrimoni in moneta variamente investita o no, con stime che ammontano a 320 mila miliardi). La nazione maggiormente indebitata è la CINA, più del Giappone. Gli Usa rimangono con un peso sul Pil mondiale del 25%, mentre si modifica il ruolo della Cina che si rafforza come fabbrica del mondo (34% della produzione manifatturiera mondiale) ma riduce l’importazione di componenti industriali dal 40% al 20% dei suoi acquisti, migliorando la sua presenza nella scala del valore aggiunto di media qualità.
E’ sulle modifiche di accumulazione e del debito che salta il modello di globalizzazione/mondializzazione tra USA e CINA, dove il debito dei consumi della prima ha trainato dagli anni 80 la crescita economica mondiale, incentrata nell’ industrializzazione della CINA. Che a sua volta trainava le economie della periferia importando materie prime minerarie e alimentari. Questo comporta una ridefinizione dei processi produttivi transazionali: la “catena di valore” subisce forti modifiche che si ripercuotono sui rapporti politici e sociali, spostando i settori a basso valore aggiunto in aree nuove (tessile in Vietnam e prossimamente in Etiopia). Così, ad esempio, essendo il Pil procapite cinese a 12000 dollari, si rendono “competitive” aree del Messico nella componentistica. Ma il fenomeno di ricollocazione delle “catene di valore” si effettua anche nell’ Europa dell’ Est nel settore automobilistico, dove Polonia, Ungheria ,Slovenia, Romania, sono dentro il ciclo tedesco automobilistico. Uno dei nodi dell‘EURO è stata l’ entrata dei paesi del Est nel 2004, che ha spiazzato l Europa del sud… che, in aggiunta alle importazioni Cinesi nel settore tessile e calzaturiero ha distrutto gli stessi settori in Italia, permettendo l’ esportazione dei beni strumentali della Germania.
Il punto della trattativa tra Usa e Cina attualmente è che la Cina dovrebbe pareggiare entro il 2024 il suo surplus con acquisti di riso, soia, carne di maiale e gas liquefatto (a scapito di altri rifornitori). Nessun vincolo alle aziende straniere su trasferimento di tecnologia e quota del 49% sulla proprietà. Poi, a breve, dovrebbe essere acconsentito alle aziende occidentali, fondi e banche, di competere sul mercato del risparmio privato, stimato in oltre 25 mila miliardi, (quello Usa è 98 mila miliardi), facendo proposte di ricollocazione dei capitali. In Cina ci hanno già provato nel 2015, ma è stata una catastrofe, con il crollo di borsa, con il dover poi ricorrere alla consulenza del principale Fondo Usa, Black Rock, che ha 6 mila miliardi di attivi ed è consulente anche della BCE e che dispone, unico al mondo, di 4 computer quantici (costano qualche milione di euro), vendutegli dalla CIA.
Quindi il problema per il capitale è ritornare ad una sorta di “normalità” nel ciclo economico, senza il prestatore in ultima istanza. Evitando che la probabile recessione in arrivo abbia effetti devastanti. Il fatto che il ciclo economico Usa attuale sia tra i più lunghi di sempre, essendo iniziato dal maggio 2009, viene confermato dall’incremento dei valori di borsa (calcolando che le borse Usa sono il 40% di tutte le borse mondiali), con circa 77 mila miliardi di asset alla fine del 2018.
Questa ricerca di “normalità” deve essere ridefinita: venendo meno l’asse USA CINA riaffiorano le dinamiche imperialiste tipiche dello scontro mondiale. Il non riconoscimento della multipolarità (da parte USA) e la comparsa di nuove potenze globali di dimensione continentale, (Usa, Cina, India e Russia) genera emergenze e scontri militari; si verificano guerre guerreggiate per limitare l’espansione economica di nuovi soggetti che esercitano la loro egemonia. Il caso latino americano ed il recupero da parte Usa di quell’area economica e militare è evidente. Lo scontro in atto, come in Venezuela ora, e prima in Brasile, ha dimostrato la scarsa forza della borghesia locale a dotarsi di potere autonomo rispetto alle ingerenze USA. Anche il medio oriente non sfugge a questo schema imperialista, la guerra in Siria e in Yemen, il ruolo di gendarme garantito ad Israele, vede ancora in atto una furiosa lotta per l’egemonia. E rinsalda quello che è l’asse militare USA-Nato.
La grande maggioranza del danaro creato dalla BCE è tornato alla BCE sotto forma di liquidità in eccesso detenuta dalle banche presso la BCE stessa. Le banche dell’area euro hanno depositato circa 1,8 triliardi come riserve in eccesso (oltre quelle obbligatorie) nelle casse della BCE rispetto ai 150 miliardi registrati prima del QE. Le banche hanno approfittato del QE per liberarsi degli assets a rischio (inclusi i titoli di stato di paesi “rischiosi” come l’Italia), per rendere più solidi i loro bilanci, e per migliorare il loro livello di liquidità immediatamente disponibile in caso di bisogno.
Ma i principali problemi del sistema bancario dell’eurozona – titoli tossici e crediti deteriorati – sono tuttora irrisolti.
Nonostante la BCE non sembri nel 2019 intenzionata ad alzare i tassi, ma a rilanciare la copertura obbligazionale delle banche (TLTRO), questa situazione sembra essere senza via d’uscita, in una crisi che è crisi di sovrapproduzione di merci e di capitali le cui ricadute sociali e politiche sono devastanti e preoccupanti per le condizioni di sfruttamento e di impoverimento delle classi povere del pianeta, che ne devono pagare i costi.
Ridisegnare i confini
L’immissione di danaro delle banche centrali, i finanziamenti pubblici alle imprese prevedono una classe di lavoratori subalterni ed in competizione tra loro: assistiamo così alla distruzione di interi paesi, alle guerre commerciali che riaffiorano dalla caotica evoluzione neoliberista, ed alle guerre vere, quelle guerreggiate.
In una fase di ridefinizione strategica come quella attuale emerge lo scontro di potenza tra i grandi paesi della terra. La guerra che Usa e Cina combattono sul terreno globale è la questione principale che ci troveremo presto ad affrontare in modo sempre più drammatico, per le ricadute che avrà sull’economia e per i risvolti militari che ci potremo attendere.
La più grande potenza del mondo, gli Usa, non vuole perdere la sua egemonia globale. La Cina sta programmando, attraverso forti investimenti sulla Via della Seta, la leadership mondiale, con un sistema produttivo ed industriale che non ha equivalenti nella storia, teso alla esportazione di merci, di beni, di capitali attraverso gli Ide (investimenti all’estero).
E’ solo il recupero del protagonismo collettivo dei proletari che può cambiare di segno alla sconfitta del movimento operaio, è l’antagonismo che si costruisce dalle lotte ed anche la capacità di organizzazione militante che siamo in grado di tenere in piedi e di sedimentare che può dare frutti proficui nel medio periodo, utilizzando le contraddizioni che si aprono in questa dinamica caotica.
Il cappio e il collo
Ormai è certa e riconosciuta da tutte le scuole di pensiero che la genesi della crisi sistemica in atto inizia con la fine della convertibilità dollaro/oro e con l’innesco di una maggiore finanziarizzazione dell’economia dovuta alla stagnazione economica dei primi anni settanta. Da quella data in poi si intensifica l’attacco ai lavoratori attraverso la deregolamentazione del lavoro, l’affermarsi dell’oligopolio finanziario mondiale che mediante i propri governi ha impresso una svolta senza precedenti nella storia dell’economia aumentando a dismisura la forbice della distribuzione della ricchezza prodotta di dai lavoratori a tutto vantaggio della classe borghese, una classe che si è notevolmente ristretta ed al cui comando risiedono pochi e conosciuti gruppi di individui, sorretta da un potere politico di propria emanazione che in questi frangenti mette in risalto la peculiarità di ogni Stato che è quella di organizzare una politica classista a tutto vantaggio della valorizzazione del capitale, facendo pagare ai ceti subalterni la ristrutturazione capitalistica.
Di crisi in crisi, passando dall’accumulazione finanziaria legata all’estrazione di plusvalore, che non è scomparsa, all’accumulazione per esproprio, che si somma a quella diretta, sulle condizioni di lavoro, ma che vede coinvolto anche lo spazio di vita ed il tempo della stessa, sacrificato sull’altare del profitto di pochi con devastanti risultati sui livelli di vita delle persone e sulla condizione ambientale.
A ciò si somma l’utilizzo del danaro ed il ricatto del debito in una economia sempre più dipendente dal flusso di capitali, veri o fittizi che siano ha poca importanza, in cui le società sono tenute a rimborsare debiti che non hanno contratto ma che sono imposti da governi e banche che insieme hanno deciso di salvaguardare la valorizzazione del capitale, fino in fondo, mettendo in conto la morte di intere società. La democrazia ormai svuotata dei suoi presupposti non solo ne rimane il simulacro in veste parlamentare, ma viene utilizzata come momento decisionale autoritario: una democrazia della tirannia, che gode del supporto di buona parte dei media, si sta rivelando come un regime oppressivo che non lascia via di scampo alle risposte collettive che scaturiscono dalle classi subalterne.
Le leggi elettorali, i sistemi giuridici, tutto è contro l’ipotesi che si possa organizzare, nei canali della democrazia liberale, qualsiasi risposta di classe: il tanto decantato controllo della finanza di rapina è nella migliore dell’ipotesi una presa per i fondelli. Le banche private di fatto “battono moneta”, anche se virtuale ai fini della valorizzazione dei capitali, ma come abbiamo visto si trasformano in una leva economica potentissima; gli Stati da tempo hanno ceduto questo privilegio agli istituti bancari privati, che nel momento di concedere prestiti ad aziende o persone creano quella quantità di danaro necessario alle forme di finanziamento richiesto. Ed alla fine il denaro prodotto ha la stessa importanza e lo stesso peso di quello battuto dalle banche centrali. Assistiamo così ad una accumulazione di ricchezza, in pochissime mani, il cui flusso di danaro è garantito dal sistema mondiale.
Questa mole di danaro è un’arma micidiale in mano ai propri possessori, che possono svalutare monete locali e speculare sulla condizione di vita di milioni di persone, ricattare intere società portandole alla distruzione.
Le ricette sono sempre le stesse: distruzione di diritti, distruzione del welfare universale, abbassamento dei salari, esternalizzazioni di aziende e privatizzazione dei servizi, l’ideologia liberista ha fallito e ci sta conducendo al collasso sociale. Anche il FMI riconosce che le politiche di austerity (come in Grecia) hanno prodotto danni incalcolabili, a partire dalla distruzione dei rapporti di fiducia che sono alla base di ogni esperienza economica, senza dare risposte in merito a nuovi equilibri mondiali possibili. Il FMI è parte del problema e non può essere la soluzione ad una uscita dal neoliberismo, essendo parte importante dell’asse imperialista USA-Nato.
Padroni a casa propria?
Le risposte nazionalistiche che fanno capolino a destra come a sinistra commettono lo stesso errore che caratterizzò gli anni ‘30 del novecento. La sovranità monetaria attraverso la nazionalizzazione del sistema finanziario ed una legislazione attenta all’ambito nazionale che non fa i conti con la diffusione e l’internazionalizzazione dei capitali, apparentemente è la strada più breve per togliere potere all’oligarchia finanziaria attraverso la critica all’euro ed all’impianto europeo dei banchieri, ma cela sempre il rischio dell’impatto autoritario e di forme di keinesismo militare patriottico del quale non sentiamo certo la necessità. Resta aperta per altro, con questa ipotesi, il rapporto di potenza dello stato sovrano nell’equilibrio di forza internazionale, di ordine e di grandezza imperialistica, che non dimentichiamo è sì frutto di potenza politica e militare, ma sempre al servizio dell’accumulazione di capitale.
In Italia, nonostante il costante fuoco di sbarramento attuato dal governo reazionario di Salvini e Grillo mediante l’utilizzo totalitario dei sistemi mediatici, l’ideologia del potere e la propria narrazione linguistica non ha nascosto la cruda realtà sociale del paese dove la deindustrializzazione ed i capitali dediti al saccheggio sociale sono garantiti dai governi, così come persistono leggi e accordi politici per mantenere bassi i salari e per evitare rivendicazioni e diritti sindacali. La defiscalizzazione alle aziende, la volontà di ridurre le tasse ai ricchi anche attraverso lo smantellamento della progressività del prelievo fiscale, il mantenimento e l’incremento del lavoro nero, sono il prodotto voluto ed attuato di politiche reazionarie e classiste. La mancanza, sempre più evidente, di risorse da poter utilizzare come investimenti sui territori, denota lo squilibrio avvenuto. Minando la possibilità di utilizzare la leva fiscale per questi scopi. I padroni non pagano le tasse, l’evasione fiscale, il potere mafioso delle aziende, determinano rapporti sociali nei quali i soli lavoratori sono il soggetto da tassare, i ricchi non hanno bisogno del welfare state.
l’Europa dei Banchieri
Se lo scenario nazionale, italiano è cupo, non meglio va per l’Europa dei banchieri, l’economia tedesca dà segnali di stagnazione, e si manifestano intanto alcune crepe, le risposte della destra europea sono pericolose, me mettono in evidenza il fallimento delle politiche neoliberali fin qui adottate. La situazione sociale di molti paesi diviene sempre più tesa con esiti incerti sui mutamenti politici, il più delle volte la reazione di una destra populista e fascista la fa da padrona, vedi i casi di Ucraina, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Lettonia, Bulgaria, Italia: il nocciolo dei 19 paesi euro è esposto a ondate di destra nazionalista, che come sempre farà pagare ai lavoratori, ed in particolare agli immigrati, il prezzo salatissimo della via nazionale all’accumulazione.
E la’ fuori?
La situazione caotica e destabilizzante che investe diverse aree del pianeta, non ha ancora assunto nel dibattito comune l’importanza necessaria a porre come centrale la questione dei nuovi scenari geopolitici aperti con la crisi del capitalismo ed imposti dalla propria ristrutturazione. La necessità di riprendere la lotta antimperialista dimostra, alla luce di quanto sta accadendo, una diffusa apatia, o peggio una cattiva lettura, proprio da parte di coloro che assumono la critica sistemica come autonoma azione politica rivoluzionaria.
L’imperialismo non appartiene ad una Nazione, Stato, Aree Economiche definite e particolari, l’imperialismo è la dimensione geopolitica del capitalismo, la necessità dell’accumulazione nelle sue forme diseguali di sviluppo, senza le quali non esisterebbe il capitalismo e senza le quali non si determinerebbero lotte inter-imperialiste.
L’imperialismo che ci interessa è quello che sta ridisegnando l’egemonia capitalista oggi: la crisi di accumulazione e la lotta per l’egemonia militare, economica e politica devono rientrare nel dibattito politico. Gli organi del potere stanno tentando in tutti i modi di bandire questa parola dal lessico comune, consapevoli del fatto che una discussione sull’imperialismo può da sola smuovere coscienze ed intelligenze, può da sola fare capire quella che è la posta in gioco nella vita dei proletari e delle classi meno abbienti.
La comparsa e lo sviluppo dei sistemi informatici ci spingono a guardare fenomeni nuovi, stupefacenti per l’impatto sociale che sviluppano, la rincorsa alla supremazia tecnologica, sia a fini industriali che militari è un tassello importante delle nuove guerre commerciali che coinvolgono le grandi potenze.
In meno di due decenni, la Cina è diventata il primo mercato delle telecomunicazioni al mondo, favorendo l’espansione delle industrie nazionali che figurano tra i leader mondiali. La guerra commerciale scatenata dagli Usa di Trump non ha finora risparmiato colpi. Anche l’arresto di Meng Wanzhou, avvenuto in Canada alla fine del 2018, CFO non che figlia del titolare del gruppo industriale Huawei, dimostra tutta l’attenzione e la lotta tra potenze per il controllo tecnologico, tanto indispensabile al sistema militare –digitale. Con l’arrivo da parte cinese delle nuove reti per scambio dati a 5g la lotta si farà ancor più dura. Quello che fino a pochi anni fa era pensato essere una semplice gioco digitale che ci connetteva al mondo si sta rivelando una macchina totalizzante. Ormai il controllo sociale avviene attraverso il loro uso, in un comparto industriale che possiede capacità espansiva illimitata per la sua azione sulle dinamiche psicologiche degli utilizzatori. Ma non è solamente dalla ricerca in questo campo che notiamo un forte coinvolgimento delle “presunte” vittime, cioè noi, alla partecipazione della costruzione di gabbie sensoriale dannose. Queste preludono ad un futuro di controllo totale da parte di Stati e di aziende che con il loro prodotto creano enormi ricchezze. Anche nel digitale i fenomeni di appropriazione e di estrazione del plusvalore sono evidenti, e sono il motore di questa corsa infinita al totalizzante. Ci dovremo interrogare su questi aspetti a breve, non possiamo delegare a specialisti una questione tanto importante che coinvolge miliardi di persone che subiscono una deriva che ha incredibili effetti devastanti sul quadro antropologico.
1“(L’attivo patrimoniale della Fed, era passato dai circa 880 miliardi di $ del 2008 ai 4500 miliardi di gennaio 2015, in corrispondenza degli interventi straordinari di politica monetaria messi in atto a partire da settembre 2008 dopo il default di Lehman Brothers ed il collasso del mercato interbancario globale, in un primo momento grazie ai prestiti di emergenza ed altre operazioni di erogazione di liquidità al settore finanziario, ma strutturalmente determinata dai 3 Quantitative Easing: acquisto massiccio non solo di titoli governativi ma anche di titoli strutturati “tossici” che impacchettavano mutui residenziali (i famigerati Mortgage Backed Securities, MBS).
Al termine del QE3 a fine 2014 la Fed aveva accumulato 1.736 miliardi di titoli tossici e 2.460 miliardi di titoli di Stato, che sono stati reinvestiti regolarmente lasciando l’ammontare totale in bilancio invariato fino ad ottobre 2017, quando è stato avviato un processo di normalizzazione (denominato poi Quantitative Tightening – QT). All’annuncio il QT è apparso un provvedimento minore: la Fed si limitava infatti a non reinvestire mese per mese una piccola parte dei titoli detenuti nel proprio bilancio che andavano in scadenza. Nel primo mese 6 miliardi di $ di titoli di Stato e 4 miliardi di MBS, quantità irrisorie. Lo stesso Powell, nel suo discorso di insediamento a novembre, dichiarava che il processo di convergenza verso un nuovo livello (il new normal) per l’attivo patrimoniale della Fed sarebbe durato circa 3-4 anni, con impatti trascurabili sulla liquidità complessiva del sistema finanziario)”
Mozione approvata al X Congresso di Alternativa LIbertaria/fdca,
Fano, 30 marzo 2019
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