La resistibile ascesa di Matteo Salvini
L’attuale crisi di governo non è certo il frutto o la conseguenza di un forte movimento operaio e giovanile o di uno sviluppo reticolare di battaglie territoriali e sociali, ma tragicamente la conseguenza di puri calcoli elettoralistici da parte della Lega di Salvini e di tutti gli attuali contraenti di ipotetici governi istituzionali, di scopo, di transizione, di legislatura e chi più ne ha più ne metta.
Matteo Salvini ha cercato e cerca di sfruttare al massimo la sua capacità di crescere nei consensi popolari (come effettivamente sembra dai recenti sondaggi elettorali), forse arrivati al massimo consentito, anticipando i nuovi e preoccupanti scenari di crisi economica che si stanno profilando all’orizzonte.
La repentina trasformazione del Movimento 5 Stelle da “apriscatola” del Parlamento a forza moderata e rispettosa delle istituzioni, che avendo a cuore le sorti della nazione prima ancora del Movimento stesso cerca una soluzione parlamentare alla crisi di governo, nasconde la certezza del suo dimezzamento nei voti e nella rappresentanza parlamentare nel caso di nuove elezioni politiche. Cosi come l’altrettanta repentina scelta del PD di Renzi di trovare un accordo a tutti i costi con il Movimento 5 Stelle, dopo essere stato, solo poco più di un anno fa, il maggior artefice dell’abbraccio tra il Movimento e la Lega stessa, è determinata dalla necessità di acquisire maggior tempo per una eventuale scissione e la creazione di un suo partito politico e la certezza di una mancata conferma dei suoi “scherani “ parlamentari che verrebbero scelti inevitabilmente dalla nuova segreteria di Zingaretti in caso di elezioni anticipate.
In una precedente nota del giugno dell’anno scorso, da poco formato il governo giallo verde, nel tentativo di spiegare le reali motivazioni di una ipotesi del governo sovranista e della rinascita di dinamiche tipicamente nazionaliste, affermavamo:
“Per svolgere un efficace ruolo sui mercati internazionali l’Europa dovrebbe agire con logica di potenza, affermando la necessaria unità economica, politica e istituzionale, ma non è ancora in grado di farlo e continuano a primeggiare i rapporti di potenza tra stati imperialistici continentali, dove le economie più robuste, in primis quella della Germania, impongono il loro ordine e il loro indirizzo al resto dell’Europa. E’ questo ritardo che spiega la crisi dell’unione e il ripiegamento sulla difesa degli interessi nazionali, di cui il governo Lega e Movimento 5 Stelle, per altro in buona compagnia in molti altri stati europei, si fanno rappresentanti. Il rinato nazionalismo, il sovranismo, la stessa richiesta di uscita dall’euro, rappresentano i nuovi paradigmi dei diversi governi nazionali in una folle e pretestuosa lotta di concorrenza di tutti contro tutti.” (1)
L’accresciuta competizione capitalistica, di cui i recenti dazi americani sui prodotti cinesi e le inevitabili contro mosse del gigante asiatico sono la rappresentazione più vistosa ed immediata, vede oggi nello scacchiere europeo la stessa Germania in grosse difficoltà economiche, legate principalmente alla riduzione delle sue esportazioni, e tutta l’Europa in ritardo nel definire una propria e concreta dimensione unitaria.
E’ questa consapevolezza e soprattutto questa esigenza che si palesa in settori importanti della borghesia italiana e della stessa Presidenza della Repubblica, che si stanno coagulando all’indomani della formalizzazione della crisi, intorno al progetto di formare un nuovo governo che faccia riferimento all’asse fra Partito Democratico e Movimento 5Stelle.
Si va dalla Confindustria di Boccia,(2), passando per Romano Prodi, (3) fino alle gerarchie ecclesiastiche (4) per planare nelle segreterie delle maggiori organizzazioni sindacali.
Il governo giallo verde è stato uno dei governi peggiori della storia repubblicana, responsabile dello sdoganamento prima e radicamento poi di una cultura e di pratiche fortemente xenofobe e razziste, della condanna di prassi e valori solidaristici, con la chiusura dei porti ai migranti, protagonista di misure gravemente antidemocratiche, quali i due decreti sicurezza, di rilancio di valori culture e provvedimenti misogini, all’inconsistenza di reali misure economiche e sociali contro il flagello della disoccupazione e la precarietà delle nuove generazioni, nonostante la temeraria affermazione del vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio di avere finalmente “sconfitto la povertà”.
It’s the economy, stupid *
Ciò nonostante è una pericolosa illusione pensare che un governo Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, sostenuto anche dalla restante pattuglia parlamentare della sinistra di Liberi e Uguali e di altre piccole formazioni, possa fare qualcosa di buono per le classi lavoratrici di questo paese. (5)
Basta ricordare tutte le misure antisociali promosse dai governi a guida Partito Democratico, a partire dal Jobs Act e dalla eliminazione dell’articolo 18, cosi come il più recente Decreto Minniti, ma soprattutto l’adesione convinta delle diverse compagini governative di centro sinistra, fin dal primo governo Prodi, al paradigma liberista vissuto come un dogma e una prospettiva inderogabile ed immodificabile con tutto il suo carico di aumento delle diseguaglianze economiche e sociali, l’aumento geometrico della disoccupazione ed in particolare di quella giovanile, la forte riduzione dei diritti e del welfare state a partire dal diritto alla salute dei lavoratori fino allo svilimento delle nuove generazioni e delle donne costrette in ambiti di precarietà a vita senza alcuna garanzia per la vecchiaia.
E’ questa realtà di carattere economico e sociale che ha determinato una costante disaffezione ed il successivo allontanamento di buona parte delle masse lavoratrici e giovanili dalle organizzazioni di sinistra e dallo stesso sindacato confederale se è vero che oltre il 40% degli iscritti CGIL ha votato per il Movimento 5 Stelle e Lega (dato che probabilmente sarebbe ancora maggiore se scorporassimo i lavori attivi dai pensionati).
Il blocco sociale di quella che oggi viene chiamata destra populista è sostanzialmente formato oltre che dagli imprenditori della piccola e media industria del Nord, base sociale storica della Lega Nord, dal crescente esercito dei senza lavoro degli emarginati dalla crisi industriale, dai ceti medi in sofferenza per la stretta congiunta del fisco e della grande distribuzione concentrata.
Qualsiasi soluzione istituzionale, ivi compreso un ritorno alle urne nel caso in cui l’esperimento della nuova alleanza Partito Democratico e M5S dovesse fallire, porterebbe ad una affermazione della destra reazionaria, foriera di ulteriori danni per la classe lavoratrice.
Dobbiamo vincere una battaglia. Riaffermare che “la lotta paga”
Quello che occorre è un forte impegno per lo sviluppo di un movimento di massa contro tutte le politiche di austerità, ricostruire il protagonismo di lavoratrici e lavoratori e l’unità con i movimenti di lotta ecologista e femminista, sulla base di una piattaforma con pochi obiettivi chiari e coerenti con i bisogni e le rivendicazioni dei settori sfruttati e oppressi della società. Nessun tatticismo, in continuità con la logica del meno peggio, nessuna alchimia parlamentare e istituzionale potrà mai essere reale argine contro l’affermazione di valori e pratiche xenofobe e autoritarie. Non esistono scorciatoie: per sconfiggere le rinascenti destre populiste e nazionaliste occorre ricostruire la capacità di lotta degli sfruttati e degli oppressi in questa società.
Il vero ed unico argine ad una ipotetica emergenza democratica è la lotta di classe. Dobbiamo riaffermare un principio basilare nella ripresa del conflitto e nell’esatta individuazione dell’effettivo nemico da abbattere. Il nostro nemico, a noi più prossimo, è certamente la classe egemone che socialmente detiene i mezzi di produzione, e che politicamente condiziona ed impone l’attuale deriva, che addita come nemici i nuovi schiavi agricoli africani che lavorano nei campi di frutta o di pomodoro del meridione, gli slavi che sempre più lavorano nell’edilizia, le badanti ucraine o moldave che lavorano nel campo assistenziale e così via in una infinita casistica di presunti nemici.
I destini di tutti, in realtà, per le classi meno abbienti, per i giovani senza lavoro e senza futuro, per le donne discriminate sul lavoro e nella società, sono legati indissolubilmente alla condizione materiale che il sistema economico e produttivo capitalistico presuppone e replica.
I rivoluzionari, e nello specifico i comunisti libertari, in questa fase tragica dello scontro sociale in cui i valori della classe avversa sono egemoni nella società, devono svolgere una titanica operazione.
Infatti, oltre a stimolare un lavoro di necessaria resistenza ed opposizione alle dinamiche economiche e sociali, abbiamo il compito di formare nuovi quadri e indicare alle nuove generazioni la possibile strada da intraprendere. Siamo materialisti e sappiamo che le nuove generazioni, prima o poi si radicalizzeranno, ma la prospettiva che tali ceti e movimenti potranno prendere dipende anche da noi e da cosa saremo capaci di costruire oggi. Per questo è importante continuare a lavorare perché i nostri compagni e le nostre compagne siano sempre più protagonisti e portatori di prassi conflittuali ed autogestionarie, un punto di riferimento in tutti gli ambiti lavorativi, culturali, sociali, tra i giovani, tra le donne, nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nelle organizzazioni di resistenza, per portare in ogni dove il punto di vista dei comunisti anarchici.
Le nostre idee e le nostre pratiche, se risulteranno condivise, radicate, partecipate, permetteranno di acquisire una funzione di traino e di riferimento politico per sempre più larghi settori di lavoratori così come delle nuove generazioni. E’ un programma impegnativo e difficile, ma è quello che necessita e che intendiamo portare avanti.
Note:
(1) www.comunismolibertario.it – Il governo giallo verde e i compiti dei rivoluzionari. Giugno 2018.
(2) Il Sole 24 Ore del 21/8/2019. “Meeting di Rimini. Governo Boccia: non importa colore ma economia”
(3) Il Messaggero del 18/8/2019 “Romano Prodi propone una “coalizione Orsola” due congressi e un conclave per costruire un esecutivo”.
(4) Avvenire.it del 23/8/2019. “Dopo la crisi. E’ il momento di investire (idee per un’agenda socio economica)” di Leonardo Becchetti.
(5) Il Manifesto del 24/8/2019. “Si fa paura avere Salvini premier” di Norma Rangieri. Nello stesso numero leggere anche “Una diga per l’emergenza democratica” di Donatella Di Cesare.
* It’s the economy è lo slogan vittorioso che utilizzò Clinton nella campagna presidenziale contro George Bush nel 1992. Nel marzo del 1991 dopo la prima guerra del Golfo il consenso di George Bush era del 90%. L’anno successivo uno sconosciuto Bill Clinton utilizzò la recessione in atto per rovesciare completamente un verdetto quasi scontato, vincendo la corsa presidenziale agli Stati Uniti D’America.