Immancabile, come sempre si apre lo scenario parlamentare e referendario.
Il referendum costituzionale del 20-21 settembre, nella stessa giornata si terranno anche elezioni amministrative e regionali, sta mettendo in luce per l’ennesima volta il reale stato della politica parlamentare in Italia.
Un referendum confermativo, senza quorum da raggiungere, che sarà probabilmente oscurato dai risultati delle regionali e delle amministrative.
Nella riforma approvata dal parlamento in ottobre 2019 sia il M5S che ne è stato il promotore, quanto quasi tutti i parlamentari degli altri partiti si sono detti favorevoli al taglio dei parlamentari sia per il Senato che per la Camera dei deputati, salvo poi dissociarsi e riposizionarsi al referendum su fronti contrapposti e nebulosi. E’ l’esempio della Lega di Salvini e del partito di Giorgia Meloni, che si sono espressi per tagliare il numero dei rappresentanti, ma ad oggi non si sono impegnati a sostenere il Si al referendum. Oppure del PD, partito che sempre più coincide con la propria classe dirigente, oltre a qualche vassallo qua e la per l’Italia, che si sta schierando a malincuore per il SI sacrificando ciò che rimane della sua base elettorale, propensa a difendere la Costituzione così com’è, per quel che vale.
Se il quadro politico è tanto desolante, la rappresentanza parlamentare oggi è rappresentanza diretta del potere economico e industriale, raramente come oggi nessun parlamentare rappresenta e persegue gli interessi reali delle classi subalterne: il centro della società d’altronde è l’impresa, cioè il mercato e il capitale, ed è in questo senso che viene ripensata la composizione parlamentare.
Riuscire a vedere (e vendere) come se fosse una questione di risparmio il taglio di un terzo del numero dei parlamentari, e una rivincita verso una classe politica corrotta e incapace, è operazione evidentemente meno che di facciata, simile all’abolizione delle provincie di alcuni anni fa. Riforma in cui ovviamente le provincie non vennero abolite, e oggi vengono amministrate da partiti e uomini della politica, senza elezioni, semplicemente per nomina diretta della classe politica ed economica.
La democrazia parlamentare è sempre più svuotata e, con i rapporti di forza tra le classi da tempo favorevoli al capitale, procede lo smantellamento con gli interessi di tutte le conquiste che le lavoratrici e i lavoratori avevano ottenuto con lotte durissime. Così nello scontro imperialistico per il controllo dei mercati le istituzioni democratiche borghesi sono di fatto esautorate, e contano sempre meno, e sono inevitabilmente adeguate ai tempi e ai modi dell’economia capitalistica. Considerando che le classi subalterne sono state sconfitte anche con l’ausilio delle ambiziosissime e fallimentari strategie del riformismo politico e sindacale che non hanno regolato e controllato il capitalismo, ma lo hanno rafforzato.
Non sarà quindi, come sempre, l’esito di questo referendum a modificare gli assetti di questo paese: entrambi gli schieramenti, tra demagogia e nostalgia costituzionale eludono, perché avversano o sottovalutano, la considerazione secondo la quale la democrazia è il prodotto del rapporto tra le classi sociali e non viceversa.
Serve invece fare la propria parte in questo mondo, giorno per giorno, contro la dittatura delle oligarchie finanziarie e industriali, contro il razzismo e la classe politica fascista che lo propaganda, contro il militarismo e la società patriarcale e sessista, per una battaglia ecologista ed anticapitalista, costruendo reti di opposizione sociale nelle piazze e non battagliando sui social.
Proprio perché siamo in una fase internazionale che svelerà presto le proprie risultanti dei rapporti di forza tra le classi e gli obiettivi del capitale, che sono quelli di riprendere il controllo della società, e sarà in quella mischia che dovremo batterci per la libertà e per la giustizia sociale, nel modificare i rapporti sociali imposti dallo Stato e dal capitalismo, a favore della nostra classe.
Alternativa Libertaria, settembre 2020