Nel mese di ottobre, a 40 anni dall’accaduto, la stampa e i social, con profusione di articoli e memorie, hanno ricordato la lunga lotta delle lavoratrici e lavoratori della Fiat, quel duro braccio di ferro tra lavoratori e vertici aziendali della Fiat che ha segnato e condizionato profondamente le lotte sindacali dei decenni successivi.
La vertenza si chiuse con un accordo che segnò la sconfitta di quella lotta e i guasti duraturi si riflettono anche sull’attualità, tant’è che la stampa non ha ricordato i 35 giorni di occupazione della fabbrica, non ha dato spazio ai ricordi di quegli operai e operaie che vissero con apprensione, ma anche con grande speranza i giorni faticosi ed esaltanti dell’occupazione. Allora come adesso l’enfasi è stata posta sulla cosiddetta “marcia dei qurantamila” (gli organizzatori azzardarono 30mila, la questura 12mila, Lama, all’epoca Segretario generale della Cgil, ne accreditò 40mila). Nonostante oramai queste vicende appartengano alla storia è singolare come ancora oggi si fatichi da parte delle direzioni sindacali a fare autocritica e personaggi di rilievo come Tiziano Rinaldini, che in quella storia ebbe dei ruoli, afferma che allora la Fiom non comprese la portata storica della sconfitta, consapevolezza che fu acquisita solo dopo 15 anni. (Il Manifesto del 15/10/2020). E’ sconcertante leggere queste affermazioni quando le conseguenze di quell’accordo apparirono da subito a molti come la chiusura definitiva di un ciclo di lotte che aveva per molti anni dato centralità al lavoro e al protagonismo operaio.
All’epoca alcuni di noi giovani delegati senza aspettare il “senno di poi” stilarono un breve opuscolo dove con lucidità stigmatizzavamo la sconfitta e la svolta cogestiva del sindacato.
Di seguito ampi stralci di quel documento.
Il documento originale in http://www.comunismolibertario.it/Fiat.pdf
Stralcio del documento scritto e pubblicato all’epoca dei fatti che ancora dopo 40 anni bene esprime il nostro punto di vista su quella vicenda che ha segnato una negativa cesura nella lotta del movimento operaio italiano.
FIAT: UNA PALLA AL BALZO SULLA LINEA DELLA COGESTIONE
La conclusione della gestione della vertenza Fiat rappresenta un momento importante nella vita del sindacato e di tutto il movimento operaio.
Intorno ad essa si è sviluppato un ampio dibattito che a livello di burocrazia è servito esclusivamente a gettare sul piatto, senza mezze parole, tutti i temi cari ai riformisti.
Dalla produttività, all’assenteismo; dall’oggettività della crisi, al protagonismo cogestivo, in una girandola di autocritica da destra che ha messo sotto accusa la politica egualitaria, la difesa dei posti di lavoro e in alcuni settori il punto unico di contingenza. Ma ancor di più con il massimo della spudoratezza si è ribaltato di 180° il discorso della democrazia sindacale e a essere sotto accusa non sono più le Direzioni Nazionali o l’apparato burocratico, ma i quadri intermedi, i consigli di fabbrica e le assemblee. Tutto questo secondo una logica perversa che giudica giusta e consapevole la scelta dei lavoratori quando approva la linea confederale e all’opposto prevaricatrice e manovrata da elementi esterni e comunque dell’ultra sinistra quando esprime il dissenso. …..
Le settimane che hanno seguito la firma dell’accordo hanno visto lo sviluppo di un dibattito nel quale tutto il gruppo dirigente si è impegnato a colpevolizzare il movimento operaio e emerge sempre più esplicitamente, man mano che si approfondisce, tutta l’impostazione collaborazionista e cogestiva della politica sindacale. …..
il sindacato, in specifico nei confronti della vertenza Fiat, ha manifestato disponibilità sul blocco del turn-over, sui pre-pensionamenti, sugli auto licenziamenti e, come aveva già accettato nel contratto dei metalmeccanici, sulla mobilità.
Ciò naturalmente non ha significato una analoga disponibilità della casa torinese la quale, certa oramai di poter dettare i ritmi della vertenza ha fatto calare prima il maglio dei licenziamenti e poi ha offerto il salvataggio della cassa integrazione per i 23.000.
Alla sicurezza della manovra padronale corrispondeva una linea sindacale incerta e incapace di impostare una lotta difensiva chiara, che partisse dalla difesa rigida dei posto lavoro e delle condizioni di vita degli operai.
Non a caso la manifestazione dei 40.000 si è avuta in questa fase, quando cioè era chiaro che il sindacato aveva esaurito tutta la sua capacità contrattuale e più in generale in tutto il paese la classe operaia non era più in grado di far valere la sua forza.
QUALE LEZIONE ?
La lezione che il sindacato sembra trarre da questa vicenda è quella di non aver saputo spostare il terreno dello scontro dalla linea difensiva della “rigidità” dei posti di lavoro ad un terreno sul quale svolgere un ruolo propositivo e di governo della crisi dell’auto……
Ma quali sono le riflessioni che si fanno nel sindacato e nella sinistra:
– sviluppare un punto di vista autonomo e di classe sulla crisi presunta e reale?;
– sviluppare una politica salariale e sociale capace di difendere i salari più deboli ed i settori sociali meno protetti? (anziani, disoccupati );
– far radicare una analisi che sviluppi l’antagonismo di classe?
Niente di tutto questo.
Di fronte ad un padronato sicuro sui metodi da adattare per scaricare tutti i costi della ristrutturazione sui lavoratori, di fronte alla putrefazione dell’apparato statale che mostra sempre più di essere apparato di violenza e delinquenza organizzata, il sindacato non ha altro di meglio che proporre il licenziamento degli assenteisti (Benvenuto) e di assumere l’accordo Fiat come un livello avanzato su cui “scontrarsi” anche nelle altre imprese. (Ottaviano Del Turco R.S. n.41 – 1980).
Oppure al massimo dello sforzo “elaborativo” consumare il dibattito sul ruolo che deve giocare il sindacato nella accumulazione e utilizzo del capitale……
SCONFITTA DI UNA VERTENZA O SCONFITTA DI UNA STRATEGIA?
…….Un primo elemento che ci pare doveroso evidenziare riguarda la portata dell’accordo raggiunto.
Noi non possiamo concordare con quanti hanno visto in questo epilogo della vertenza Fiat un tradimento o una svendita improvvisa.
Giudicare i fatti, gli eventi storici, le lotte operaie solo attraverso lo specchio della cronaca non ci aiuta fare delle buone analisi e non ci permette di comprendere la natura dello scontro di classe e la natura e il ruolo che svolge il sindacato e i partiti riformisti.
Il tradimento e la svendita l’ha visto chi si è limitato a constatare la durezza della lotta, la mobilitazione e la vastità delle forze messe in campo e nel fare questo si è dimenticato tutta una politica sindacale che vien da lontano.
La politica dei due tempi del ’75, gli accordi con il Governo e la Confindustria durante il periodo dell’unità nazionale, la sterilizzazione di alcune voci del paniere della contingenza, ecc..; e più di recente la linea dell’Eur, con la disponibilità ad una politica salariale moderata, all’apertura sulla mobilità con la proposta di creazione delle agenzie del lavoro (altro espediente per frantumare la classe), all’affinamento della teoria della classe che si fa strumento di Governo; infine alla stessa vertenza Fiat, che come abbiamo visto all’inizio ha mostrato un sindacato disponibile ad accettare l’oggettività della crisi del settore, così come gli veniva prospettato, ed accettare il ridimensionamento della base produttiva.
Non di tradimento si è trattato, ma la logica conclusione di una lotta che ha alle spalle un sindacato con una precisa politica e che proprio in relazione a questa politica è incapace di esprimere un gruppo dirigente in grado di organizzare lotte di lungo respiro che poggino sulle esigenze dei lavoratori.
L’altro elemento che questa vertenza ha circostanziato con maggiore chiarezza è la subordinazione piena del sindacato alle scelte del capitale.
Il dibattito sulla programmazione da dopo Fiat ha subito una brusca virata, facendo piazza pulita di tutti gli aspetti utopistici legati a tale elaborazione, (velleità di finalizzare a scopi sociali la produzione) e sempre più trova spazio una concezione pragmatica che si pone soprattutto l’obiettivo di ridare competitività all’economia nazionale, attraverso una sana gestione manageriale dell’impresa…….
UNA LINEA DI CLASSE PER UN SINDACATO DI CLASSE
Oggi bisogna avere piena coscienza di essere in una fase difensiva ed è a partire da questa constatazione che occorre elaborare una strategia capace di difendere i livelli di vita delle masse e che allo stesso tempo permetta l’acquisizione di strumenti di analisi propri, capaci di contrastare l’avversario di classe sul terreno della comprensione della realtà e dell’analisi economica.
Una strategia che deve passare attraverso una riduzione generale dell’orario di lavoro, a partire dallo straordinario, come risposta immediata e praticabile alla disoccupazione e all’esigenza di stare il meno possibile in fabbrica, (altro che part-time!!); forti aumenti salariali uguali per tutti, come risposta minima all’inflazione e ai cresciuti bisogni e importante momento politico per il rilancio dell’egualitarismo in antitesi alla professionalità che mira a riproporre all’interno della classe una logica gerarchica e una scala di valori del lavoro; scala che vede al primo posto il “sapere” e la “professionalità” e all’ultimo il lavoro manuale e la fatica fisica……..
Una strategia che intorno alla parola d’ordine della salute dei lavoratori sappia affermare momenti concreti di potere capaci di aggredire, a partire dal reparto e dalla singolo officina, i problemi che si pongono; unica garanzia questa che permette la crescita dell’autonomia di classe a fronte di elaborazioni produttivistiche che mirano al cambiamento della fabbrica avendo come referente la produzione e non la “qualità della vita”.
O.C.L. Livorno dicembre 1980