«Dove andare, cosa fare con quel bisogno di assoluto, quel desiderio di combattere, quella sorda volontà di evadere malgrado tutto dalla città e dalla vita senza evasione possibile?
Ci occorreva una regola. Adempiere e darsi: essere. Capisco, alla luce di questa introspezione, il facile successo dei ciarlatani che offrono ai giovani le loro regole dozzinali: “Marciare al passo inquadrati e credere in Me”. In mancanza di meglio… È l’insufficienza degli altri che fa la forza dei Führer: in mancanza di una bandiera degna, ci si mette in marcia dietro le bandiere indegne; in mancanza di metallo puro, si vive di moneta falsa». (Victor Serge “Memorie di un rivoluzionario”).
Poche altre parole come queste proferite da Victor Serge all’inizio del 1940, esprimono contenuti di estrema attualità là dove l’imprevedibilità dei fenomeni si replica a livello quotidiano, in una realtà contraddittoria e a tratti fortemente regressiva per la nostra classe; una realtà allarmante, che deve comunque essere riconosciuta perché l’identificazione è il primo passo pratico per combattere e superare le ostilità.
L’attacco alla sede nazionale della CGIL del 9 ottobre u. s. rimanda indubbiamente agli albori del ventennio fascista, quando gli squadristi sferrarono un sanguinoso e generalizzato attacco alle organizzazioni politiche e di massa del movimento operaio e sindacale; un attacco maturato in conseguenza a un altro fenomeno meno appariscente ma non meno letale: l’uso delle folle, che il fascismo seppe praticare con destrezza.
A guidare l’assalto alla sede nazionale del sindacato italiano più rappresentativo non solo per il numero di adesioni ma per la sua storia ultra secolare, vi era un manipolo di squadristi che aveva pianificato l’azione certamente contando anche sulla passività delle cosiddette forze dell’ordine, solerti ed efficaci nell’intervenire contro i presidi operai davanti alle fabbriche e i movimenti di opposizione, ma assenti o distratte quando si tratta di intervenire per bloccare sul nascere l’insorgenza fascista. Ma dietro a questi noti esponenti del neofascismo vi era anche e soprattutto la folla nelle sue componenti più contraddittorie e esasperate.
Quindi, massima solidarietà alla CGIL e un plauso a quelle organizzazioni sindacali di base che hanno accantonato ogni polemica solidarizzando con la CGIL e, soprattutto, con le lavoratrici e i lavoratori che rappresenta ma, oltre la necessaria solidarietà, l’assalto rimanda alla necessità dell’analisi che tentiamo di esporre nei seguenti punti schematici, parziali e quindi certamente non esaustivi, consapevoli che quando queste pagine verranno date alle stampe necessiteranno di essere aggiornate per l’incalzare degli avvenimenti.
- La pandemia ha esasperato le contraddizioni di una crisi economica perdurante da oltre un decennio che ha accresciuto le disuguaglianze e l’ingiustizia sociale;
- il contenimento delle richieste sindacali, perseguito dai gruppi dirigenti confederali (CGIL – CISL – UIL) e dai vecchi partiti della sinistra storica (PCI, PSI) fin dagli anni ‘70 del ‘900, non ha prodotto le riforme all’epoca vaneggiate, ma ha agevolato quei processi di ristrutturazione che hanno caratterizzato la produzione di merci, di servizi e del mercato del lavoro, ridisegnando la struttura sociale del nostro paese in base alle esigenze di estrazione e accumulazione dei profitti a scapito delle condizioni di vita delle lavoratrici, dei lavoratori, di consistenti settori del ceto medio e, soprattutto, degli strati sociali più deboli della nostra classe in primo luogo le donne e la mano d’opera immigrata, distruggendo il welfare, dilatando la piaga del precariato e del super sfruttamento con la cancellazione di diritti collettivi fondamentali;
- tra le classi sociali oppresse crescono le proteste che spesso culminano nella rabbia e nella disperazione di chi non vede alternativa alla propria condizione di marginalità e di immiserimento; ne consegue la perdita di fiducia in ogni rappresentanza; in un simile contesto si sviluppa la crisi dell’organizzazione sindacale nella sua accezione più ampia, e anche i gruppi dirigenti confederali non riescono più a moderare efficacemente il conflitto sociale e perdono quel ruolo concertativo sul quale avevano costruito la loro efficienza, oltre a decine di migliaia di adesioni ogni anno, in un vero e proprio processo di desindacalizzazione. Ma la crisi coinvolge anche le organizzazioni sindacali di base che, non ostante gli sforzi intrapresi con rinnovato intento unitario, come lo sciopero generale dell’11 ottobre u. s., non riescono a intercettare la protesta che altrimenti si disperde;
- le lotte in corso alla GKN e in altre situazioni dell’industria, della logistica e dei servizi, per quanto abbiano espresso elevati livelli di conflittualità e sperimentato forme di auto organizzazione superando il contrasto tra sigle, operano in un contesto estremamente ostile che non depone a loro favore, subiscono la pressione di rapporti di forza sfavorevoli tra capitale e lavoro e, nonostante le energie profuse e la solidarietà stimolata e raccolta, non riescono a generalizzarsi a livelli più ampi;
- i movimenti che per solo per esigenze identificative accettiamo di denominare “no vax” e “no green pass”, sono il prodotto di questa diffusa situazione di sconfitta alla quale, va detto, il fallimento delle politiche riformiste non può dirsi estraneo con tutte le conseguenze del caso anche sul piano della perdita di fiducia e di consapevolezza di classe da parte di consistenti strati operai e proletari che si volgono a destra. Tutti questi movimenti sono compositi e contraddittori da un punto di vista sociale e di classe; esprimono caratteristiche anche comportamentali che gli avvicina alla folla la quale, per le sue caratteristiche, non è necessariamente fascista né necessariamente proletaria, perché la folla è inevitabilmente interclassista e, in quanto tale, inevitabilmente esposta agli eventi, alle strumentalizzazioni e all’inevitabile infiltrazione fascista. Ma aver definito in toto fascista questo tipo di movimenti esprime l’allarmante tendenza alla liquidazione dei fenomeni sociali non allineati che, per altro, allontana dalla comprensione della realtà e prepara nuove catastrofi;
- l’attacco alla CGIL diretto da elementi indiscutibilmente fascisti nasce nei sopradetti contesti, ed è stato agevolato anche dalla lunga serie di azioni repressive da parte del padronato e degli apparati istituzionali dello stato, che in questi ultimi mesi, e a più riprese, si sono scagliati contro i presidi operai e le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, azioni repressive queste per lo più minimizzate e rimosse e che hanno raggiunto livelli di solidarietà non all’altezza della gravità dei fatti;
- la prova che la folla non è necessariamente fascista è data poi dall’esperienza dei lavoratori portuali che, in alcune importanti realtà, si sono dati un’organizzazione autonoma schierandosi contro il green pass con grande radicalità e determinazione. Queste realtà, come quelle dell’autotrasporto, sono radicate e rappresentative ed esprimono una condizione di disagio che va ben oltre i luoghi di lavoro, per calarsi nelle contraddizioni dei territori, riuscendo a contrastare se non a scongiurare del tutto, l’infiltrazione fascista;
- queste realtà, non ostante abbiano alle spalle esperienze sindacali e politiche prestigiose, si stanno aggregando su di un obiettivo nato tra le folle composite e contraddittorie. Dichiarano di lottare per tutte le lavoratrici e i lavoratori italiani in un sincero intento unitario che respinge i compromessi (il tampone gratuito per tutte e per tutti), fino all’abolizione integrale del green pass. La dichiarazione è corretta come l’obiettivo d’altronde, e il radicamento in alcune importanti realtà quali il porto di Trieste è la prova che è un obiettivo perseguibile. Ma la scelta di porre un obiettivo come l’abolizione del green pass, nato e perseguito in un contesto interclassista che lo rende fragile e non necessariamente unitario, al centro di una aggregazione sindacale e di classe in una fase di violento attacco padronale alle condizioni di vita delle classi subalterne, appare realmente credibile? Perché non legare l’opposizione al green pass a altri obiettivi unitari quali la difesa del lavoro, del salario e la riduzione dell’orario (di lavoro) a parità di paga valorizzando, rafforzando e estendendo le esperienze organizzative e le mobilitazioni della GKN e di altre iniziative unitarie di lotta? Sono domande che riteniamo legittime anche perché vi è il fondato pericolo di andare allo scontro con il governo del grande capitale circondati dalla folla e non dalla classe per altro con un obiettivo fragile e non necessariamente unitario se perseguito isolatamente, qual è quello dell’abolizione del green pass. Alcune risposte verranno dal precipitare degli avvenimenti, altre ancora dovranno essere fornite dall’analisi scientifica e attenta dei fatti determinati che con grande modestia stiamo elaborando ma, in ogni caso l’ammonimento di Victor Serge non perde di validità ma anzi, si accresce.