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IL MILITARISMO COME SALVEZZA DEL CAPITALE, IL 4 NOVEMBRE CONTRO TUTTI GLI ESERCITI

Il militarismo, inteso, oltre che come strumento di morte e di asservimento, come aggregato di produzione di consumo e di controllo sociale, è oggi sicuramente il pilastro più importante a sostegno dell’economia del debito.

Contrariamente al passato non si limita a  essere al servizio del proprio imperialismo, il suo ruolo storico, ma ha indossato da un po’ di tempo le vesti di salvatore dell’economia, che in questo caso si lega al potere dello Stato e alle macroaree economiche che ne definiscono i contorni egemonici e o di sudditanza nel panorama mondiale.

Le recenti vicende dell’Afghanistan, con il ritiro delle truppe di occupazione della Nato hanno mostrato ancora una volta la commistione inestricabile tra finanza e militare, venti anni di occupazione sono costati circa 2300 miliardi di dollari, questa massa di danaro non ha solo accresciuto utili e potere del sistema militare industriale, ma ha consentito di creare un consenso ( e anche ottimi guadagni) ad una serie di attori che nelle guerre non compaiono mai in prima persona e il più delle volte non indossano nessuna uniforme.

Si va dai contractors addetti alla sicurezza( mercenari) gestiti da società quotate in borsa, a diverse ONG finanziate allo scopo di ottenere il consenso necessario e la collaborazione di una parte, seppur piccola, della popolazione del paese, alla ricostruzione di minime ma costose strutture per il mantenimento e la sicurezza delle truppe occupanti, con ingenti somme versate all’industria privata per la costruzione e il mantenimento di ospedali, scuole, strade aeroporti, un volano insomma per l’economia del debito pubblico.( soldi ai privati e debito pubblico pagato dai lavoratori).

Oltre 50.000 militari d parte italiana hanno partecipato all’occupazione dell’Afghanistan.  Ad oggi sembra che nessuno di loro abbia trovato il modo di ripensare quell’esperienza in modo critico ( a parte alcuni dei feriti nelle azioni militari), anzi, abbiamo riportato a casa migliaia di soldati orgogliosi della loro esperienza, persone alle quali sono state aperte le strade per impiegarsi nei loro nuovi lavori, le forze dell’ordine, o per continuare la loro carriera militare.

Il militarismo plasma i propri addetti e li rende fedeli servitori, autentici infiltrati nella società, è sempre più difficile dividere il ruolo dei militari da quella che un tempo si definiva vita civile. Questo accade solamente quando, nei teatri di guerra, i civili restano tali e dove sovente sono le vittime del militarismo e della guerra. Questo segna anche irrimediabilmente il ruolo del militare di professione, non più guerriero fedele alla patria come da retorica nazionalista di un tempo, ma semplice impiegato con l’umile ruolo di gestire raffinate tecnologie che uccidono a distanza, siano essi aerei o droni. Il militare non ha più bisogno di vedere la morte in faccia, la provoca quasi banalmente, con un semplice pulsante, e non ode boati o grida, sfugge al terrore che provoca.

Queste sono solo alcune considerazioni sull’Afghanistan, che si potrebbero estendere a tutti gli altri scenari di guerra, per lo più dimenticati. Se moltiplichiamo e valutiamo il numero di persone coinvolte nei vari scenari di guerra e di occupazione militare troviamo alcuni milioni di militanti militaristi che ricoprono ruoli strategici nelle società, non solo occidentali. Questo per dire che il militarismo ci è penetrato nelle ossa, e modella la società in maniera meno retorica ma altrettanto concreta che nel passato. E influenza anche le dinamiche  interne, nelle economie e nelle società cosiddette in pace,  dove la militarizzazione della società ha raggiunto livelli preoccupanti. E’ evidente non solo nelle politiche di repressione e nelle legislazioni sempre più restrittive rivolte a contenere eventuali soggetti pericolosi, ma si è estesa con il controllo sociale dei dispositivi digitali, e in questo caso non manca il sostegno della stampa delle radio e delle televisioni, tutte unite e controllate a difendere, non solo l’immagine, ma il ruolo stesso del militarismo in tutte le sue forme.

Lo abbiamo visto nel linguaggio adottato durante la pandemia, sia dai vertici politici che dai media.

“Siamo in guerra” è stata la frase più ricorrente nelle retoriche ufficiali e nel linguaggio mediatico.

Tutto questo avviene in una riorganizzazione internazionale del ruolo della Nato, che sempre più prefigura sulle linee di comando un ruolo essenziale dei paesi di lingua inglese, e nello stesso tempo si spinge affinché l’Europa possa assumere un ruolo sussidiario nelle operazioni e nel controllo di alcune aeree del pianeta ( dal mediterraneo all’Africa) ancora incerto è il ruolo che potrà assumere al confine orientale contro la Russia.

Gli americani stanno spostando il loro centro di azione nel pacifico, in chiave naturalmente anticinese, e nel frattempo hanno dimostrato di non saper gestire la politica del caos, che fino ad ora sembrava a tutti così congeniale al loro ruolo imperialista.

Probabilmente questa politica delle armi ostentate e usate non ha il successo della penetrazione economica cinese, che senza esportare eserciti ha saputo esportare capitali e importare materie prime.

Saremo di fronte quindi a nuovi equilibri internazionali, dove le guerre non saranno bandite purtroppo, e in questo frangente sosterremo tutte le iniziati antimilitariste, avendo presente che il sistema finanziario è il sistema militare.

Chiedere quindi l’abolizione della Nato e delle alleanze militari è certamente un nostro compito, così come è un nostro compito pensare ad una Europa smilitarizzata, contro  quasi tutti i governi europei  che invocano maggiori investimenti per la difesa, in una politica di riarmo del vecchio continente in vista di un ritrovato ruolo autonomo nelle dispute geopolitiche. Per questo ci dobbiamo opporre alla spesa mondiale per armamenti che  ha raggiunto quasi i duemila miliardi di dollari, ingrassando il privilegio e la corruzione, a scapito dei ceti popolari e dei lavoratori, condannati a pagarne gli altissimi costi sociali.

Non dimentichiamo che l’imperialismo è un sistema di relazioni del capitalismo, lo si critica solamente se lo assumiamo come schema di lettura generale, altrimenti corriamo il rischio di cadere in dispute nazionali che non ci permettono di vedere con chiarezza questa fase tanto drammatica.

Il riarmo e la ristrutturazione della Nato, con nuovi compiti si ripercuote sull’Europa in termini di nuovi ingaggi nelle aree dell’Africa e si sposta rapidamente nel l’Oceano Pacifico, dove sembra profilarsi e materializzarsi lo scontro tra superpotenze.

Noi come comunisti e come anarchici combatteremo il militarismo in tutte le sue forme, chiediamo la riduzione delle spese militari e investimenti nei programmi sociali, rifiutiamo la logica delle guerre e quella dell’imperialismo, sappiamo che il nostro nemico è in casa nostra, si chiama capitalismo.