Da sempre utilizzato come forma di deterrenza contro crimine e dissenso, il carcere ha assunto negli anni una funzione esclusivamente punitiva. Lo stato nemmeno si vanta più di fornire la foglia di fico della rieducazione del reo, limitandosi a tagliare i fondi per le strutture, scrollare le spalle per le situazioni di degrado all’interno delle carceri e in ultima istanza si dimentica di coloro che vi sono detenuti, lasciando spazio ad un limbo di sospensione permanente del diritto del quale in pochi si scandalizzano.
I dati non lasciano scampo: a fine 2022 oltre 80 persone si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena; dal 2000 sono state 3500 le morti in cella, delle quali 1240 per suicidio. Nelle carceri ci si toglie la vita 16 volte più che fuori.
Il carcere non rieduca, il carcere uccide.
A questa drammatica situazione si associa quella delle 759 persone sottoposte al regime restrittivo del 41bis, una delle quali è l’anarchico Alfredo Cospito, che sta portando avanti uno sciopero della fame ad oltranza per l’abolizione di questa mostruosità giuridica.
Cospito rischia seriamente l’ergastolo ostativo con regime di sorveglianza speciale e divieto di comunicazione con l’esterno in quanto piazzò un ordigno a basso potenziale fuori da una scuola allievi carabinieri: l’accusa pesantissima è stata quella di strage contro la sicurezza dello stato, sebbene di strage non ci sia traccia in quanto l’ordigno si è limitato ad annerire un paio di muri. Ma lo stato sa come reprimere chi gli va contro.
Cospito, come gli altri detenuti sotto 41bis, è sostanzialmente in isolamento permanente, senza contatti con l’esterno, rinchiuso in un cubicolo per 22 ore al giorno, con due ore di contatto con altri 3 detenuti sotto 41bis, senza la possibilità di leggere, di studiare, di corrispondere con l’esterno, con i suoi compagni e le sue compagne, con la famiglia, con divieto di ascoltare musica o di vedere la tv, senza nemmeno poter tenere delle foto dei propri cari con sè. Una vera e propria condanna a morte diluita nel tempo, alla quale Cospito si oppone con l’unico mezzo rimasto a propria disposizione: il proprio corpo.
La durissima repressione alla quale è stato sottoposto squarcia il velo d’ipocrisia di uno stato debole, che si abbellisce definendosi democratico, equo, giusto mentre persegue le azioni dirette che lo mettono in discussione, perchè lo stato è spietato con chi lo mette in discussione.
Nella nostra società dominata dal capitale, dal profitto e dallo sfruttamento la funzione risultante e la finalità della giustizia non possono che essere di classe, tese cioè a difendere e perpetrare l’attuale regime capitalistico, anche quando si tratta di combattere le sue medesime contraddizioni da cui traggono origine, che con esso convivono e che, come la mafia e la criminalità organizzata (contro le quali è stato pensato il regime del 41bis), sono parte integrante dello stato e delle sue istituzioni.
Ma nessun crimine può essere combattuto con mezzi disumani, che peraltro, avendo legittimità giuridica, possono essere usati anche per combattere le lotte sociali così come è sempre accaduto.
Ulteriore prova ne sia la recente questione dei ragazzi di ultima generazione, ed in particolare di Simone, per il quale, dopo un’azione non violenta di disobbedienza civile, è stata richiesta la sorveglianza speciale. Una risposta tanto scomposta quanto esagerata, che testimonia ancora una volta come il re sia nudo, che chi espone il re al pubblico ludibrio, mettendolo davanti alle proprie colpe ed alle proprie mancanze, come nel caso della questione climatica, per la quale sono stati spesi fiumi di parole, siglati centinaia di accordi, organizzate decine di conferenze sul tema senza che una virgola sia cambiata, senza che mai si sia messo in discussione il sistema capitalista in sè. I giovani e le attiviste e gli attivisti per il clima stanno appunto ricordando a chi ci governa tutto questo ed anche in questo caso la risposta è arrivata a colpi di repressione.
Come comunisti anarchici rifiutiamo risolutamente la crudele logica borghese che “il fine giustifica i mezzi”, rivendicando invece la congruità mezzi/fini (i mezzi impiegati determinano la legittimità e perseguibilità del fine) quale patrimonio storico dell’anarchismo, per una società libera e eguale che veda bandito lo sfruttamento degli esseri viventi e della natura che ci circonda.
CONTRO TUTTE LE GALERE
CONTRO LA REPRESSIONE POLIZIESCA E GIUDIZIARIA DELLE LOTTE SOCIALI