L’Europa è trascinata a destra dalla smobilitazione del conflitto sociale che deve essere sostenuto e rilanciato
Il rapporto annuale ISTAT del maggio 2024 fotografa impietosamente la realtà sociale dell’Italia:
“Per effetto del forte rialzo dell’inflazione negli ultimi tre anni, le spese per consumo delle famiglie sono diminuite in termini reali ed è aumentata la distanza tra le famiglie più o meno abbienti… Questo aumento della sofferenza economica si è riflessa nel contemporaneo peggioramento degli indicatori di povertà assoluta…. Complessivamente, quindi, nonostante l’aumento del tasso di occupazione, il lavoro non è stato in grado di tutelare da situazioni di grave difficoltà economica, specialmente nel caso dei lavoratori dipendenti”.
Il capitale ha massimizzato i propri profitti e il sistema bancario continua a macinare numeri in crescita registrano utili per 6,3 miliardi (+25,6% nei primi tre mesi del 2023). Questo è un grave bilancio, rispetto al quale anche le politiche dei precedenti governi non possono certo dirsi estranee. Così come non lo sono state le storiche scelte del sindacalismo confederale oscillanti negli anni tra il contenimento delle richieste sindacali “per la ripresa produttiva”, la concertazione, le politiche dei redditi e le politiche contrattuali orientate alle compatibilità. Scelte che hanno progressivamente agevolato la ristrutturazione capitalistica a totale discapito del lavoro.
Si sta assistendo cioè a una gigantesca concentrazione della ricchezza sociale prodotta a tutto vantaggio dei monopoli industriali e finanziari, nella cornice di un’aggressione all’ambiente senza precedenti, nella quale fa più scandalo un secchio di vernice lavabile che le ricorrenti alluvioni e devastazioni ambientali. Al costante scadimento del potere di acquisto dei salari e al dilagare incontrollato del precariato; all’aumento dello sfruttamento e dell’intensificazione dei ritmi delle attività produttive, causa prima del drammatico incremento degli incidenti anche mortali sul lavoro; al peggioramento dei servizi pubblici essenziali quali sanità, istruzione, trasporti pubblici e previdenza; alla progressiva messa in discussione di storiche conquiste si aggiunge la recente richiesta che il Fondo monetario Internazionale ha rivolto all’Italia: procedere verso un ulteriore innalzamento dell’età effettiva di pensionamento, contemporaneamente “evitando costosi schemi di pensionamento anticipato” al fine di contenere la spesa pubblica.
Il recente intervento del Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, tutto interno a una visione neoliberale, pone poi la questione demografica e la necessità per il sistema industriale nazionale di “un flusso di immigrati superiore a quello ipotizzato dall’Istat”. Una contraddizione tra le attuali necessità del capitalismo italiano, ma anche di quello europeo, e le politiche barbare e razziste dei governi che si sono succeduti e che l’hanno rappresentato e che mette al centro della nostra azione politica la solidarietà di classe con i lavoratori provenienti da altri paesi.
Inoltre le difficoltà della ripresa economica, con l’Italia fanalino di coda dell’Europa, sono surrogate dai finanziamenti europei del Pnrr. Nello specifico della realtà del nostro paese, l’utilizzo di queste risorse si traduce in una massiccia aggressione all’ambiente con progetti impattanti sugli equilibri sociali ed ecologici e che, visti i prevedibili ritardi costruttivi che faranno interrompere i flussi finanziari europei, prevede di sostituirli con risorse nazionali che avranno costi nettamente superiori.
L’unità sindacale, che i gruppi dirigenti confederali hanno perseguito avversando con pervicacia un processo di unità di classe dal basso su obiettivi concreti e unificanti, non ha contrastato ulteriori divisioni sociali e l’indebolimento della medesima organizzazione sindacale. Attualmente la CISL tenta un rapporto privilegiato con l’attuale maggioranza di governo con una proposta di legge di iniziativa popolare, “Partecipazione al Lavoro” per la cogestione nei Consigli di Amministrazione delle imprese per la quale ha attivato una raccolta di firme. La CGIL sostiene che “il lavoro deve essere tutelato perché è un diritto costituzionale. Deve essere sicuro perché di lavoro si deve vivere e non morire. Deve essere dignitoso e perciò ben retribuito. Deve essere stabile perché la precarietà è una perdita di libertà”: ma, anziché rilanciare una grande vertenza unitaria su questi importanti obiettivi si limita all’enunciato, indicendo ben quattro referendum popolari che, in pratica, non si affiancano a una mobilitazione reale, unitaria e dal basso ma la surrogano con la raccolta delle firme delegando alle istituzioni e al parlamento la difesa degli interessi della nostra classe, per altro con la prospettiva di risultati tutt’altro che scontati. La UIL, più cauta perché più debole sceglie, invece, l’argomento meno compromettente dell’Intelligenza Artificiale affermando che, come sempre, “intendiamo governare e gestire il cambiamento e non subirlo”, un’affermazione questa che, nella fraseologia ma soprattutto negli intenti rimanda alla fine degli anni ’80 del novecento, quando la gestione di un ipotetico “nuovo modello di sviluppo” da cogestire unitariamente con il capitale e per il cui decollo si ritenne di contenere le richieste sindacali, condusse alla gravissima sconfitta della vertenza FIAT del settembre/ottobre del 1980, laddove il capitale che si stava ristrutturando e rafforzando, espresse gli intenti di aggressione agli interessi materiali delle classi subalterne in un processo che il riformismo sindacale e politico/parlamentare non aveva assolutamente compreso e di cui, pare, continui a non tener conto.
Emerge allora la drammatica situazione della nostra classe che, sempre più oppressa dal bisogno materiale, ha interamente pagato, e sta ancora pagando, i costi della ristrutturazione capitalistica. L’ordine mondiale sta esplodendo, producendo conflitti generalizzati che inaspriscono ulteriormente lo scontro tra le maggiori potenze imperialistiche per il controllo del mercato mondiale. Le crisi si moltiplicano senza alcuna mediazione e con esse le guerre diffuse, sempre più atroci: dall’Ucraina alla Palestina e al Medio Oriente, così come in Africa e in Asia: oggi nel mondo si combatte in circa 60 paesi, in uno scenario che vede i proletari massacrarsi a vicenda per interessi non propri.
La “pacifica” Europa si riarma come gli altri stati per meglio perseguire i propri interessi di potenza: aumentano le spese e le commesse militari a esclusivo vantaggio dei grandi gruppi multinazionali e si torna a discutere di difesa europea, di riarmo nucleare e di coscrizione obbligatoria. L’economia di guerra distribuisce profitti solo a pochi ed ha un ricaduta negativa sulla economia generale di una società, come ben analizzato nel lavoro di Chiara Bonaiuti Ires, Sbilanciamoci Green Peace, La Pace a mano armata.
Il recente accordo tra Rete Ferroviaria Italiana e Leonardo, stipulato per migliorare le capacità dell’infrastruttura italiana su rotaia, gestita appunto da RFI, in funzione delle esigenze militari, è invece la dimostrazione plastica di come i grandi “players” economici, attivi a tutto campo anche nel settore della sicurezza digitale, avvolgono nelle loro spire sempre più ampi settori della vita civile.
L’opposizione ai piani del capitale è complessivamente debole e divisa e le lotte sindacali e quelle dei movimenti sociali, che pure si manifestano a livello nazionale e internazionale, non riescono a unificarsi e a generalizzarsi a contesti più ampi. Dalle Americhe all’Europa la destra nelle sue configurazioni più reazionarie si consolida proprio in seguito alla crisi della democrazia borghese, e se oggi non si può parlare di dittatura fascista se ne riconoscono comunque le numerose caratteristiche autoritarie emergenti: dalla repressione di ogni dissenso sociale all’intolleranza verso i processi di emancipazione delle donne, delle minoranze sessuali e verso gli strati più deboli e meno tutelati della popolazione e, in generale, alle conquiste sociali che al prezzo di dure lotte hanno difeso e elevato le condizioni di vita della nostra classe.
I processi di ristrutturazione si sono generalizzati: dall’industria e dalla finanza sono ormai dilagati nel territorio e in particolare nel terziario e nei servizi pubblici essenziali, con giganteschi e progressivi processi di privatizzazione e precarizzazione del lavoro; cresce, non solo in Italia, la corruzione divenuta ormai parte integrante dei PIL dei vari paesi. Oltre al danno sociale alla nostra classe di appartenenza subiamo anche una deriva psicologica che non trova ancora armi adatte a combattere una battaglia culturale e di opposizione politica e sociale alle logiche del dominio del capitale.
Le recenti elezioni politiche in Europa si sono svolte in un contesto che ha visto l’imperialismo europeo impegnato a salvare le scelte neoliberiste strenuamente perseguite e declinate nella sua forma democratico borghese che, demagogicamente enunciata come progressiva, unitaria, pacifica e “green” è rapidamente entrata in crisi con l’esigenza di salvaguardare i profitti unitamente agli interessi del capitale finanziario che, con la guerra in Ucraina, in Palestina e in altri 60 paesi sta mostrando la propria essenza autoritaria e militarista.
Ben si comprende, allora, come sia del tutto ininfluente la rinnovata composizione del parlamento europeo, perché il suo ruolo risulterà comunque subalterno ai rapporti di forza interni al conflitto imperialistico nel quale l’Europa svolge un ruolo subalterno agli USA e alla NATO. Ma se queste tendenze generali devono essere prese in considerazione, non deve essere sottovalutato il dato politico emergente dalle recenti elezioni: vale a dire l’allarmante rafforzarsi dell’influenza di formazioni di chiara derivazione fascista in numerosi paesi europei, un fenomeno che riguarda anche l’Italia con il governo Meloni.
Un altro dato ad essere travisato e omesso è poi il fenomeno dell’astensionismo che non deve essere valutato in base a meri criteri formali ma nella sua reale dimensione sociale. In Europa la media dell’affluenza ai seggi è stata pari al 50,01%. Ciò significa che la capacità dei partiti politici di essere rappresentativi dei rispettivi strati sociali di riferimento si è ridotta. Il fenomeno è particolarmente rilevante in Italia dove si è recato alle urne il 49,69% delle aventi e degli aventi diritto. Ciò significa che “Fratelli d’Italia” ha potuto vincere le elezioni con il 28,8% dei voti: una percentuale che consegna alla Meloni un risultato elettorale certamente vincente ma che, se riferito alla bassa affluenza alle urne, evidenzia anche un indebolimento del partito che perde oltre 600.000 voti rispetto alle precedenti elezioni politiche.
Una lucida descrizione di questo fenomeno è fornita da Gianni Trovati nel suo articolo su “il Sole 24 ORE” dell’11 giugno us: “…una misura del rapporto sempre più complicato tra i partiti e la società italiana può essere offerta dalle percentuali di voti ottenuti in rapporto al totale degli italiani con diritto di voto. In questo calcolo FdI si attesta al 13,1%, seguita dal PD all’11%. Il M5S, con il 4,6%, è tallonato da Forza Italia al 4,4%, mentre la Lega segue al 4,1%. Alleanza Verdi Sinistra, l’unico trionfatore vero di questo turno elettorale non va comunque oltre il 3,1%, quasi doppiando Stati Uniti d’Europa all’1,7% mentre Azione arriva all’1,4%. Percentuali indigeste, tutte, a qualsiasi narrazione politica”.
Questo progressivo ridimensionamento dei bacini elettorali dovuto all’astensionismo percorre anche le altre formazioni politiche europee, che divengono sempre meno rappresentative sia pure con qualche circoscritta eccezione. D’altronde l’astensionismo è un fenomeno storico, socialmente e politicamente composito e contraddittorio che, per queste sue caratteristiche, non può essere assunto a interlocutore politico e quindi apologizzato. Non è questa la sede per affrontare il fenomeno dell’astensionismo, una riflessione questa che ci proponiamo comunque di svolgere, ma solo un’astratta concezione istituzionale, per altro travolta dalla crisi della democrazia borghese può assimilarlo, in toto, al qualunquismo additandolo come il vero nemico, annerendolo per meglio poterlo irridere. In altre e più chiare parole: la sinistra europea sposando il neoliberismo ha prodotto guasti che hanno progressivamente rafforzato il capitale indebolendo le classi subalterne, le loro mobilitazioni e le conquiste che da queste sono storicamente derivate e paga il prezzo non tanto elettorale ma soprattutto sociale della propria subalternità al modello capitalistico di sviluppo.
Ma le guerre continuano ben oltre le scadenze elettorali e, come già affermammo: “Siamo consapevoli che se la priorità è la fine delle ostilità in tutte le aree di guerra per la salvaguardia delle popolazioni civili, l’unica soluzione politica reale di lungo termine consiste nel rafforzamento della lotta sociale unitaria e internazionalista contro il capitalismo e le sue guerre, che porti al superamento della logica nazionalista, fondamentalista e statalista. La via per raggiungere questo obiettivo può essere solo attraverso la lotta di classe al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori che si uniscano da entrambe le parti dei conflitti per migliorare le loro condizioni di vita e superare così le divisioni di lunga data: per una società di liberi ed uguali, per una pace giusta che si concreti in una convivenza oltre ogni confine, oltre le religioni e le nazionalità”.
E’ necessario rilanciare il conflitto per tornare a vincere. L’unica ipotesi per spostare quote dal capitale al salario è l’azione sindacale diretta a costruire una grande piattaforma vertenziale, organizzando la lotta capillarmente e trasversalmente ai comparti produttivi su obiettivi chiari di unificazione delle vertenze diffuse con i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, sostenendo la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione e aumenti salariali consistenti che consentano la difesa del potere di acquisto dei salari medesimi e un reale recupero dell’inflazione.
In Italia come in Europa, le scadenze elettorali non garantiscono la difesa degli interessi delle classi subalterne che si perseguono rilanciando vertenze generali su obiettivi concreti e unitari, compiendo passi concreti per la costituzione di un forte sindacato europeo capace di collegare la lotta sindacale a quella dei movimenti di massa e per la difesa dell’ambiente.