Le elezioni per il rinnovo del parlamento dell’Unione europea (UE) tenutesi dal 6 al 9 giugno scorso, hanno confermato un’avanzata della destra anche nelle sue componenti più estreme, una tendenza questa che a livello continentale è stata solo parzialmente contrastata dai risultati delle elezioni legislative francesi tenutesi il 30 giugno us e da quelli delle elezioni politiche svoltesi in Inghilterra nel luglio successivo laddove, rispettivamente, l’ascesa dello schieramento reazionario del francese Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen, già vincitore alle elezioni europee, è stata arrestata dalla vittoria del Nouveau Front Populaire (NFP) costituito da un’alleanza di partiti politici di sinistra, e i conservatori inglesi sono stati sconfitti dai laburisti.
Le sopradette vittorie alle elezioni politiche in Francia e in Inghilterra sono state salutate in Italia con un’enfasi irritante che ha celato una consapevole volontà di de-contestualizzazione, considerando che sono state assunte acriticamente quale premessa per la ricostruzione di una sinistra unita, al fine di contrastare l’egemonia della destra anche nelle sue configurazioni nazionalfasciste e per una concreta ipotesi di governo delle sinistre.
Naturalmente non poteva mancare il riferimento alla situazione negli USA, ma questa omissione è stata risolta da Walter Veltroni il quale ha autorevolmente affermato: “Harris deve unire radicali e moderati dem. Battere Trump significa salvare la democrazia”. (La Stampa del 25/07/24).
Tutte queste esternazioni che si sono susseguite, alternando superficialità, ingenuità ed arroganza, hanno comunque chiarito il vero intendimento strategico della sinistra parlamentare, anche in considerazione che l’intera sinistra italiana nelle sue componenti politiche e sindacali, dalle più moderate e di massa a quelle più radicali e di minoranza, lamentano tutte l’assenza di una o più sponde politiche parlamentari in grado di traghettare le istanze sociali nelle istituzioni dello stato, delegando loro la difesa degli interessi della nostra classe che diviene così espropriata da ogni possibilità di controllo.
Oltre le migliori intenzioni proprie di chi in passato si è addentrato in questi percorsi politici e istituzionali, vi è la concreta realtà dei rapporti di forza tra capitale e lavoro che, in assenza di conflitto sociale generalizzato, tira nel senso del capitale specialmente nelle istituzioni, laddove si svolge un’inevitabile mediazione al ribasso e a totale sfavore degli interessi delle classi subalterne.
La storia del conflitto sociale dimostra invece che le maggiori vittorie non si sono ottenute “in parlamento” come una certe retorica riformistica ormai generalizzata replica stancamente, ma con le mobilitazioni organizzate e ben preparate da un diffuso tessuto militante politico e sindacale, capace di generalizzare gli obiettivi imponendo al padronato e alle istituzioni una redistribuzione più equa della ricchezza sociale prodotta che non vada a alimentare i profitti e le rendite ma gli interessi materiali della nostra classe per un sua liberazione sia pure parziale dal bisogno: ma il tessuto militante è ormai usurato e questo costituisce un aspetto sul quale è necessario e urgente avviare una riflessione.
D’altronde c’è poco da stare allegri perché in Francia il “collante antifascista” costituito dall’esigenza di arginare l’ascesa al governo del RN di M. Le Pen e che ha consentito la vittoria del NFP, si è rapidamente indebolito con il riemergere di antiche polemiche tra le diverse componenti politiche, aggravate da inevitabili conflitti per la conquista della leadership, che hanno consentito a Macron di attuare quel “dividi et impera” per separare le componenti del NFP più legate al moderatismo del Partito Socialista (PS) da la France Insoumise (FI) di Jean-Luc Mélenchon, divaricando ancor più un dissenso che riguarda anche i conflitti in corso quali la guerra in Ucraina, che vede i socialisti contrari a inviare truppe sui campi di battaglia ma favorevoli a continuare a inviare armi al governo di Kiev, mentre Malenchon ha assunto una posizione più possibilista che contempla anche una certa opposizione alla NATO.
In Inghilterra la sconfitta dei conservatori ha consentito il trionfo dei laburisti, un partito a sua volta moderato e bellicista, storicamente orientato verso il neoliberismo. Infatti i precedenti governi laburisti presieduti da Tony Blair (1997-2007) si distinsero nel condurre a compimento il piano di grande ristrutturazione industriale e tutte le privatizzazioni delle aziende pubbliche già predisposte dai precedenti governi conservatori di M. Thatcher (1979-1990), che immiserirono le classi subalterne e indebolirono i sindacati, fornendo l’aperto sostegno ai conflitti imperialistici in Kosovo (1999) e Iraq (2003). Oggi in Inghilterra i laburisti si apprestano a governare in base a un replicato neoliberismo, ma in una situazione di crisi che vede una caduta del PIL, unitamente all’esposizione della GB nella dispendiosa guerra in Ucraina: la storia quindi si ripete.
Quelli che si stanno svolgendo in Inghilterra e Francia, così come d’altronde nell’UE e negli USA, sono scenari complessi, contraddittori e non rassicuranti, che si aprono a prospettive inedite e che devono essere analizzati nell’ambito dello scontro tra le potenze per il controllo del mercato mondiale che vede coinvolto il debole e diviso imperialismo dell’UE.
L’UE punta sulla rinnovata elezione della Von der Leyen, da parte di un composito e contraddittorio schieramento che comprende il PPE, i Socialisti Europei (ai quali aderisce il nostro PD), i Verdi e anche settori delle componenti più di sinistra.
Il governo italiano si è presentato diviso a questa scadenza, dove FI ha portato il proprio sostegno a favore della elezione della Von der Leyen, mentre la Lega e FdI lo hanno negato, confermando così una indiscutibile prova di debolezza, che sarà comunque destinata a pesare alquanto sui futuri assetti dell’UE, che si annunciano sfavorevoli al governo Meloni.
Ma il nuovo parlamento europeo non ha perso tempo e ha varato, come primo provvedimento, l’aumento delle forniture di armi all’Ucraina (fino a oggi la fornitura di armi dell’UE all’Ucraina ha raggiunto il tetto di 88 miliardi) e la rimozione di ogni limitazione al loro utilizzo anche in territorio russo (495 voti favorevoli; 137 contrari, 47 astenuti).
Il provvedimento comprende anche la richiesta agli stati membri di accelerare e rilanciare la capacità produttiva delle industrie militari, destinando almeno lo 0,25% del PIL agli aiuti militari all’Ucraina, il tutto senza alcun riferimento all’eventualità di azioni diplomatiche per la pace. Con questo solerte provvedimento l’UE ha inteso testimoniare la sua totale subalternità all’imperialismo USA, alla NATO e alle politiche di riarmo, ponendo in essere un consapevole e cospicuo aiuto all’industria bellica europea, pagato al prezzo del contenimento della spesa pubblica e quindi a totale carico delle lavoratrici, dei lavoratori e delle classi subalterne dell’Unione.
Per la cronaca, FdI e PD hanno votato i nuovi aiuti europei al governo di Kiev, sia pure con diverse motivazioni, qualche annunciato travaglio e qualche defezione. Le elezioni politiche che si sono svolte nell’UE hanno inoltre visto una modesta affluenza al voto (in media il 51,05%, unica eccezione la Germania con il 64,74%), che, invece, è stata parzialmente arrestata nelle elezioni legislative svoltesi in Inghilterra (60,01%) e Francia (66,63%).
In Italia, invece, il fenomeno astensionista si è manifestato con un tendenziale incremento, raggiungendo un’affluenza alle urne al di sotto della media UE e pari al 48,31%.
Il fenomeno dell’astensionismo, se da una parte non deve essere demonizzato come il padre di tutte le sciagure, non deve nemmeno essere assunto come un dato omogeneo, capace cioè di esprimere una tendenza generalizzata alla ribellione. L’astensionismo è un fenomeno articolato, complesso e soprattutto contraddittorio, che deve essere analizzato nell’ambito della crisi della democrazia borghese e delle sue istituzioni, così come si sta manifestando nella competizione imperialista:
I centri decisionali si spostano ben oltre i singoli stati, ne minano l’autorità e la stessa capacità decisionale, concentrandosi in ambiti incontrollabili dove primeggiano i rapporti di forza tra le potenze. Per cui continuare a ritenere il parlamentarismo quale strategia perseguibile per controllare i processi capitalistici in corso è francamente illusorio. L’astensionismo è un fenomeno sociale che comprende anche qualificate minoranze di classe che devono comunque essere intercettate dall’intervento politico dell’Organizzazione rivoluzionaria.
Anche in ambito comunista anarchico internazionale abbiamo assistito allo sforzo proprio dell’Union Communiste Libertaire (UCL), la nostra Organizzazione politica sorella francese, la quale, anziché trincerarsi dietro un astensionismo ideologico e di principio, ha espresso, sia pure criticamente, una posizione di sostegno al NFP, posizione motivata dalla necessità tattica di non isolarsi da un contesto di massa capace di arginare la reazione e aprire nuovi spazi all’intervento di classe, senza alcuna illusione elettoralistica e parlamentare.
È comunque da rilevare anche una nostra posizione più critica, la quale individua nel NFP francese un’esperienza contraddittoria che potrebbe anche replicare l’illusione elettorale causando nuovi e letali disorientamenti, così come è avvenuto anche in Italia, in Spagna e in Grecia. Nel nostro paese il governo appare diviso sulla guerra. La premier non ha ancora commentato la nuova offensiva ucraina su Kursk, mentre la Lega si dichiara risolutamente contraria all’utilizzo delle armi italiane in territorio russo: e mentre il debito pubblico si attesta, rispetto al mese di maggio, a 2919 miliardi di euro, stabilendo un allarmante record, il governo si appresta a varare provvedimenti per l’incremento delle spese militari nel rispetto del limite del 2% del PIL che, evidentemente, non è ancora stato superato, il tutto in ossequio alle volontà USA, NATO e dell’industria bellica.
In questo contesto di guerra e di offensiva padronale e governativa alle condizioni delle classi subalterne, l’opposizione sociale si manifesta in ambiti che rimangono isolati, non riuscendo a generalizzarsi a contesti più ampi. Ciò perché l’organizzazione sindacale è ormai indebolita nelle realtà lavorative e con essa il tessuto militante e anche politico di riferimento, e questo non consente una diffusa realtà vertenziale di azienda, di territorio e di contrattazione nazionale.
La logica capitalista del profitto e della sua concentrazione non è quindi efficacemente contrastata dal conflitto e dilaga in tutta la società a scapito della nostra classe, minandone la qualità della vita, i diritti conquistati, la salute e la sicurezza nei territori e nei posti di lavoro, favorendo miseria e emarginazione.
Anche lo stato dei movimenti sociali di opposizione risente dei medesimi limiti e le lotte per la difesa dell’ambiente, le mobilitazioni per la pace che hanno visto in prima fila i movimenti studenteschi, così come le lotte delle donne per la difesa delle loro conquiste e, in generale, le lotte diffuse per il diritto all’abitare, ai servizi pubblici di prima necessità, quali sanità e istruzione e per la tutela degli strati sociali più deboli non riescono a trovare quell’unità necessaria per contrastare l’attacco padronale e governativo in corso.
In questa situazione la CGIL, il maggiore sindacato italiano, conduce una “opposizione referendaria” alla quale non si affianca il conflitto sociale ma che, nei fatti, si sostituisce ad esso. Viene quindi meno l’azione sindacale vertenziale e contrattuale, capace di unire intere categorie del lavoro, del precariato e del non lavoro con le realtà sociali dei movimenti di opposizione, che è invece delegata ad una azione tutta proiettata sul piano politico e istituzionale, quello referendario appunto, che non consente la sedimentazione di un ampio tessuto militante capace di agire efficacemente in una prospettiva unitaria nelle situazioni di crisi e di attacco governativo e padronale, per altro non scongiurando una nuova sconfitta elettorale.
Tutto ciò avviene in una situazione di recrudescenza dello squadrismo neofascista apertamente protetto dalle istituzioni e di repressione governativa rispetto alla libertà di stampa e a quella di manifestare, inasprendo le pene già previste dal codice penale nei confronti di ogni dissenso anche verbale.
Ciò che comunque emerge in tutta chiarezza dalla fase che stiamo drammaticamente vivendo sono i diffusi conflitti armati che nel mondo hanno ormai raggiunto il numero di 56, il più alto dal 1945, in una “escalation” che sempre più avvicina il rischio di una terza guerra mondiale.
È questa la cornice nella quale si assiste a un generalizzato attacco all’ambiente che si verifica non solo sui purtroppo diffusi campi di battaglia, ma in tutto il pianeta la cui difesa e manutenzione dei territori è del tutto disattesa da questo governo come dai precedenti, colpevolmente omettendo le conseguenze della gestione capitalista dei territori che, privilegiando il profitto (assenza di manutenzione, incremento delle grandi opere infrastrutturali), ha certamente contribuito ad accelerare i devastanti processi propri del cambiamento climatico.
Pace, questione sociale e di classe e questione ambientale sono obiettivi che non possono procedere disgiunti, ma devono sedimentare quei processi unitari profondi che solo l’azione militante consapevole e organizzata delle compagne e dei compagni presenti nei movimenti sindacali e nei movimenti di massa è in grado di svolgere per il superamento del capitalismo, per un mondo di pace, di libertà, di uguaglianza e di difesa dell’ambiente in tutte le sue implicazioni.
Questi sono gli obiettivi della nostra azione politica e organizzativa.