Alternativa Libertaria_FdCA


Sono passati due anni da quando il 24 febbraio del 2022 le forze armate della Federazione Russa agredirono l’Ucraina, dando luogo a una drammatica escalation del conflitto già in atto dal 2014. Oltre a quelli già in atto, anche altri sanguinosi conflitti si sarebbero poi susseguiti imperversando in tutto il pianeta: in Africa, in Medio Oriente e nel mar della Cina le principali potenze si scontrano per il controllo del mercato mondiale riaccendendo conflitti latenti, e la guerra si ripresenta anche nel cuore dell’Europa imperialista.

Tutti gli stati si riarmano: l’aumento delle spese militari non è una caratteristica solo delle principali potenze imperialistiche (Stati Uniti, Unione europea, Russia e Cina), ma anche di quelle di area come la Turchia, e la corsa al riarmo riguarda anche le nazioni che uscirono battute dalla seconda guerra mondiale: Germania e Giappone investono cospicue risorse nella corsa al riarmo. Negli USA “il bilancio militare di Biden per il 2024 batte tutti i record, raggiungendo almeno 1500 miliardi di dollari di spese per il Pentagono, CIA, sicurezza interna, programmi di armi nucleari non del Pentagono, vendite di armi all’estero non sovvenzionate, altre spese legate al settore militare e pagamento degli interessi sui debiti pregressi legati alla guerra”.(1)

In tutto il mondo la guerra non è quindi solo sangue, distruzione, fame e tragedia per la nostra classe ma, soprattutto, è creazione e accumulo di nuovi profitti per il capitale, i cui interessi sono ormai saldamente insediati nelle istituzioni statali dei vari paesi. Sul piano internazionale l’inizio del 2024 riconferma uno scenario allarmante per il futuro: la competizione imperialistica per il controllo del mercato mondiale ha impresso un drammatico incremento dei conflitti e della loro intensità; in molte parti del mondo continuano a mietere successi elettorali le destre radicali; l’aumento medio della temperatura del nostro pianeta nel 2023 ha registrato un incremento molto vicino a quel limite di 1,5° C oltre cui il riscaldamento globale dispiegherà i suoi peggiori effetti.

Dopo il brutale e sanguinoso attacco di Hamas del 7 di ottobre 2023 alle forze militari di Israele e alla sua popolazione civile, la rappresaglia scatenata dallo stato di Israele nei confronti della popolazione di Gaza ha ormai superato le 25.000 vittime, registrando una drammatica escalation che non sembra trovare al momento sbocchi positivi e che ha completamente oscurato gli altri teatri di guerra: in particolare sembra passare in secondo piano il conflitto inter-imperialista per interposta persona tra Russia e Ucraina, una guerra che continua a mietere vittime e a distruggere e inquinare pesantemente quei territori.

Il massacro di Gaza si sta realizzando nel più assoluto silenzio dei media europei, con l’evidente complicità dell’UE, degli USA e della NATO. Gli attacchi di Hamas hanno per anni oscillato tra la reazione impotente di fronte alla spietata repressione israeliana e il tentativo di mantenersi come i difensori del popolo palestinese; la sanguinosa rappresaglia israeliana contro la popolazione civile difficilmente porterà alla scomparsa di Hamas e comunque dovranno essere i palestinesi a decidere della loro rappresentanza politica. Israele ha provveduto e messo in atto la soluzione finale per Gaza: ancora una volta nella storia serve la divisa istituzionale per coprire questi orribili crimini.

E se ora il governo israeliano invita a considerare Hamas il nuovo Isis caricando di falsità la propria propaganda militarista e guerrafondaia, come dimenticare che Hamas è stato originariamente sostenuto dallo stato israeliano per indebolire la più laica Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)? Sono ormai migliaia le vittime civili di questa guerra le cui conseguenze sono sempre più atroci e l’invasione su larga scala di Gaza ha generato ondate di profughi che nessun governo arabo, al di fuori delle sempre più vuote dichiarazioni di solidarietà, è disposto ad accogliere. Hamas è una forza politico-militare reazionaria, fautrice di una visione integralista e antisemita, finanziata da potenze regionali che hanno altri obiettivi rispetto a quelli dell’autodeterminazione del popolo palestinese, così come Netanyahu è oggi espressione delle spinte nazionalistiche più estreme. Entrambi stanno sguazzando nel sangue delle vittime di questi mesi.

Insieme alla guerra tra Russia e Ucraina, al conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh e alle crescenti tensioni tra Cina, Taiwan e Stati Uniti nel Pacifico, l’eventuale allargamento del conflitto Israele-Palestina, ad esempio in Libano con Hezbollah, costituisce l’ennesimo tassello di una instabilità mondiale che minaccia tutti noi. Ciò che emerge univocamente è il ruolo totalmente subalterno dell’Unione Europea ai dettami che arrivano dall’altra parte dell’Atlantico, nonché la sua incapacità di sviluppare una propria politica estera e militare e di configurarsi in tal modo compiutamente come autonoma potenza imperialista a livello mondiale.

Ma il mondo in guerra fa molto bene ai produttori di armi: le spese militari sono in grande crescita su tutto il pianeta; già lo scorso anno in Europa è stato raggiunto il valore più alto in termini di spesa militare, e le previsioni per l’anno in chiusura non sono da meno. La Russia ha previsto per il triennio 2024-2026 un preoccupante aumento del 70% delle

spese militari rispetto al 2023, che andranno a costituire il 29% delle spese totali. Anche in Cina la spesa militare continua la sua parabola ascendente, con un incremento che per il 2023 è stato di circa il 7%, più dei recenti valori di crescita del PIL che si attesta ormai sul 5%. Contestualmente al rimpinguarsi degli arsenali militari si assiste anche, e non certo casualmente, alla polarizzazione degli schieramenti, con i paesi del Sud del pianeta che si compattano dietro le insegne dei BRICS, ponendosi come soggetto alternativo e autonomo al blocco occidentale.

È necessario quindi sgomberare totalmente il campo da tutte quelle deviazioni che vorrebbero i BRICS paladini dell’antimperialismo, ricordando che si tratta di un progetto dai chiari connotati imperialisti. In questa situazione di difficoltà stenta comunque a emergere un’opposizione di massa e radicale all’offensiva della borghesia, mentre si manifesta una crescente ondata di reazione che si consolida nell’affermazione delle formazioni di destra ed estrema destra che stanno risalendo alla ribalta della politica di molti paesi europei e americani: in Brasile con Bolsonaro, in Argentina con Milei, negli Stati Uniti con Trump (che rischia la rielezione!) e in Europa con il governo di Orban, i successi dell’Afd in Germania, Le Pen in Francia e Vox in Spagna, oltre ai nostrani Fratelli d’Italia e Lega. Al di là dei loro successi elettorali e del loro consolidarsi come forze politiche di primo piano, ciò che costituisce grande fonte di preoccupazione è che questi schieramenti coinvolgono ovunque parti consistenti delle classi oppresse. La ricetta adottata da costoro non brilla certo in originalità: individuare un nemico esterno a cui attribuire la responsabilità delle sventure della nazione.

E’ una scelta che si dimostra estremamente efficace anche perché può contare sulla quasi totale subalternità delle sinistre riformiste, nelle loro componenti politiche e sindacali, alle politiche di compatibilità imposte dal capitale. A tal proposito giova ricordare che i brandelli di ciò che rimane della sinistra si sono allineati alle politiche militari imposte dalla Nato senza nessun segno di contrarietà. Ma c’è molto altro: si tratta della definizione di un nuovo paradigma ideologico in cui c’è posto per il razzismo; per la stigmatizzazione di chi vive condizioni di povertà causate dalle stesse politiche di distruzione dei diritti del lavoro e delle misure di protezione sociale; per l’insorgere di processi di militarizzazione nella società; per il riemergere del patriarcato e dell’omofobia, della violenza sulle donne anche nelle sue configurazioni omicide; per teorie negazioniste sul clima; per gli attacchi anche violenti alle minoranze sessuali, il tutto condito da un linguaggio aggressivo e diretto, da una presenza pervasiva sui social e dalla promozione di uno stile di vita “occidentale” nella peggiore accezione del termine, che non può assolutamente esser messo in discussione.

Tutto ciò per mascherare la sostanza di queste politiche, cioè un attacco senza precedenti alle conquiste che la classe lavoratrice ha duramente acquisito nei decenni. In un quadro di arretramento del lavoro in molte parti del pianeta, si registra il fallimento preannunciato della Cop28. In quel di Dubai, nel cuore delle petro-monarchie arabe, si è sancito che è importante agire contro i cambiamenti climatici e limitare l’innalzamento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, ma la sostanza è purtroppo ben diversa: si farà un po’ come pare a ciascuno, eventualmente facendo ricorso anche ai cosiddetti “combustibili di transizione” (leggasi gas naturale). Inoltre si metterà qualche spicciolo per finanziare gli interventi di mitigazione, adattamento e il fondo di riparazione per danni e perdite, pur riconoscendo che per questo tipo di interventi ci sarebbe bisogno di alcune migliaia di miliardi di dollari.

Il capitalismo non si fa scrupoli ad aumentare la distruzione del pianeta, al di là della propaganda “green”. Il variegato movimento, disceso nelle piazze di buona parte del mondo contro le guerre del capitale e che vede la presenza e la partecipazione anche dell’opposizione antisionista israeliana al governo di Netanyahu, richiede fermamente l’immediata sospensione dei bombardamenti e dei crimini di guerra attualmente in corso e la fine dell’embargo a Gaza; il rispetto delle risoluzioni internazionali e una soluzione politica per la Palestina. Facciamo nostro quanto sostenuto dalle compagne e dai compagni israeliani, che per quasi venti anni hanno combattuto il Muro in Cisgiordania costruendo comitati popolari con gli abitanti dei villaggi palestinesi e sostenuto i Refusnik, contrari all’occupazione militare. Perché la soluzione al conflitto può essere, in ultima analisi, solo una società comune, senza classi e senza Stato, in cui le diverse estrazioni religiose, atee e etniche possano coesistere pacificamente.

Siamo consapevoli che se la priorità è la fine delle ostilità in tutte le aree di guerra per la salvaguardia delle popolazioni civili, l’unica soluzione politica reale di lungo termine consiste nel rafforzamento della lotta sociale unitaria e internazionalista contro il capitalismo e le sue guerre, che porti al superamento della logica nazionalista, fondamentalista e statalista. La via per raggiungere questo obiettivo può essere solo attraverso la lotta di classe al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori che si uniscono da entrambe le parti per migliorare le loro condizioni di vita e superare così i risentimenti di lunga data. A noi, militanti comunisti anarchici, attivisti libertari e di classe spetta dare il nostro contributo, oggi come ieri, a chi sostiene la possibilità di una società di liberi ed uguali, di una pace giusta, di una convivenza oltre i confini, oltre le religioni e le nazionalità.