Alternativa Libertaria_FdCA

colombiaNel referendum tenutosi il 2 ottobre, in cui è stata messa ai voti l’approvazione dell’accordo definitivo per la fine del conflitto armato firmato tra il governo di Juan Manuel Santos e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – esercito popolare (FARC-EP) [1], ha vinto inaspettatamente e di stretta misura l’opzione del NO, il che provoca senza dubbio un forte terremoto politico.

Secondo il bollettino 53 del Registro Nazionale dello stato civile, con il 99,98% di voti scrutinati, si è imposto il “NO” con il 50.21% pari a 6.431.376 voti, con lo stretto margine dello 0,45% pari a 53.894 voti, rispetto al SI’ che ha avuto 49,78% con 6.377.482 voti. Secondo questa fonte, ci sono state 86.243 schede bianche e 170.946 schede nulle, con una bassa partecipazione pari a 13.064.973 votanti su 34.899.945 di elettori, il 37.43% del totale [2].
Alla luce di questo voto, come Grupo Libertario Vía Libre proponiamo, in coerenza con la nostra posizione collettiva di appoggio critico al processo di pace[3], alcuni elmenti che possano essere d’aiuto nell’analisi dell’attuale momento politico, sia per quanto riguarda le cause di ciò che è successo, sia sui possibili scenari futuri.

La sconfitta del SÍ

In primo luogo, è chiaro che questo risultato è una grave sconfitta politica per la eterogenea alleanza sociale che ha sostenuto l’opzione per Sì. Il secondo governo di Juan Manuel Santos, usurato e indebolito, con un gradimento sceso a circa il  30% in alcuni sondaggi [4], con una base politica debole e incapace di gestire il rallentamento dell’economia nazionale senza ricorrere alle politiche di aggiustamento, non ha avuto la forza politica di mobilitare lo stesso numero di elettori che aveva sancito la sua vittoria nel secondo turno delle elezioni presidenziali del 2014, quando un’alleanza pragmatica a suo favore riuscì a conseguire 7.836. 887 voti, cioè 1.459.405 di voti in più rispetto a quelli ottenuti dal SI al referendum [5].

Sebbene alcuni fattori circostanziali abbiano  impattato sul risultato, se si guarda alla velocità con cui è stato indetto il referendum con un solo mese di campagna elettorale, pari ad un quarto del tempo usuale,  cosa che non ha permesso la registrazione di nuovi elettori, o agli effetti climatici come l’uragano Matteo nella regione dei Caraibi, questi tuttavia non sono stati decisivi. Invece sono stati decisivi quei potentati politici rappresentanti delle élite politiche locali allineate con il governo centrale in regioni povere come la Costa Atlantica, dove ancora oggi i paramilitari sono forti, i quali non hanno messo in campo la loro grande forza clientelare come avevano fatto alle ultime elezioni presidenziali, al fine di segnare una posizione di forza all’interno della coalizione di governo e riorganizzare le loro proiezioni in vista delle elezioni presidenziali del 2018 [6].

D’altra parte, la sinistra politica istituzionale, indebolita dalle divisioni interne alle forze parlamentari del Polo Democratico e Alleanza Verde, la timidezza mostrata dal settore guidato dal senatore Jorge Enrique Robledo e dal MOIR [Movimiento Obrero Independiente y Revolucionario, ndt]  in questa campagna politica, la crescente integrazione del settore socialdemocratico di Clara Lopez, nuova ministra del lavoro, nel nuovo gabinetto di un governo impopolare e l’erosione del progetto progressista di Gustavo Petro – dopo la fine del periodo di 12 anni di governi di centro-sinistra a Bogotà-  non sono riusciti ad articolare un polo coerente con l’opzione SI, che fosse in grado di opporre il significato della posizione della sinistra a quella della coalizione del governo Santos.

Allo stesso tempo, è importante sottolineare che i movimenti sociali di tipo sindacale, contadino, di quartiere, studentesco, etnico, ambientale, di genere e per i diritti umani si sono schierati nella maggioranza assoluta per il SI’, facendo della difesa di questo processo un asse essenziale della loro azione nel corso dell’ultimo ciclo politico e, in molti casi mobilitandosi pienamente per una risposta favorevole nel referendum. In generale, si potrebbe sottolineare come tutte queste forze abbiano sovrastimato il loro impatto elettorale e non siano riuscite a generare una  mobilitazione popolare abbastanza ampia a sostegno della pace all’interno della maggioranza disorganizzata della popolazione. E ‘chiaro che il nuovo orientamento strategico di molti movimenti sociali e delle piattaforme politiche verso una mobilitazione quasi esclusiva attorno ai colloqui a L’Avana e per la costruzione della pace si è rivetato in ultima analisi controproducente, avendo lasciato su uno sfondo lontano le lotte e la possibilità di riunire i grandi strati sociali che oggi avvertono un disagio profondo  contro le politiche del governo, creando quasi una biforcazione tra la costruzione della pace da una parte  e  le lotte per vivere meglio e la critica al modello attuale dall’altra.


La vittoria del NO

In secondo luogo, è anche evidente che il NO all’accordo è oggi il grande vincitore. La campagna per il No guidata da un’alleanza politica più coesa e strutturata intorno al centro democratico, è stata in grado di capitalizzare una parte di malcontento sociale verso il debole governo di Santos. Da un lato, ha promosso campagne di settore tra i sindacati tradizionalmente conservatori, come i camionisti, tra i settori sociali molto frammentati, come i venditori ambulanti o i contadini medi e settori sociali anche di tradizione sindacale, ma scontenti delle loro organizzazioni come il sindacato insegnanti Magisterio. D’altra parte, ha saputo impalmare  un’ondata di tradizionalismo conservatore guidato da gruppi religiosi che metteva in discussione alcune politiche timide, tardive e incoerenti sul rispetto della diversità sessuale sostenute dal governo Santos, soprattutto nelle manifestazioni omofobiche suscitate dai progetti di riforma del manuale di coesistenza nelle scuole promossi dal Ministero della Pubblica Istruzione.


E ‘importante aggiungere che le stesse caratteristiche della lunga guerra insorgente vissuta nel paese, che in alcune regioni e in certi periodi di tempo ha assunto gli aspetti di una guerra civile di bassa intensità, con una forte componente di degrado e di vittimizzazione dei civili, hanno reso possibile che il blocco egemonico poi frammentatosi tra santistas e uribistas, sia diventato la guida di ampi settori della popolazione che si caratterizzano per un odio profondo verso le FARC, saldando i valori tradizionali anti-socialisti dei settori borghesi e proprietari terrieri con il profondo conservatorismo di alcuni settori popolari.

E ‘anche importante notare che  l’uribismo ha dato una dimostrazione della sua capacità politica di costruire un senso comune maggioritario che ha sostituito la dicotomia “Guerra o Pace” con quella di “combutta o rinegoziazione”. In ultima analisi, il voto NO è stato un messaggio diretto al governo attuale e in favore delle forze tradizionali del paese (agricoltori, preti, proprietari terrieri) piuttosto che un messaggio forte alla soluzione negoziata del conflitto armato.


  L’enorme astensionismo

L’astensionismo del 62.57%, il più alto in 22 anni, ha superato la tradizionale media del paese, che dalla metà del periodo del Fronte Nazionale è molto alto, anche se ha avuto la tendenza a diminuire leggermente negli ultimi dieci anni, ma che ancora si aggira intorno a 50 % dell’elettorato. Questa rimane una delle più alte percentuali di astensione nel continente e dimostra che la metà della popolazione, sia nelle aree urbane che rurali, non partecipa al sistema politico che giudicano correttamente come lontano, corrotto e ignaro dei loro bisogni materiali.

Al di là di questa tendenza storica, i risultati attuali riflettono la debolezza dei meccanismi di partecipazione politica diretta stabiliti nella costituzione del 1991, che salvo alcune eccezioni in contesti in cui i movimenti sociali hanno un forte potere locale, non hanno avuto alcuna applicazione in un regime che persegue l’esclusione politica. Questo ci porta a dire che, nonostante i vasti sforzi di sensibilizzazione, gran parte della popolazione rimane incredula verso gli accordi raggiunti, che tale incredulità dipende  sia dalla incapacità degli attori attivi nel processo di interpellare la maggior parte della popolazione sia dalla capacità dell’uribismo di associare gli accordi con le discutibili politiche del governo, in un momento sempre più sfavorevole. Le critiche hanno preso di mira la politica fiscale e il modo in cui l’uribismo ne ha mediaticamente approfittato sembra l’esempio più chiaro.
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Polarizzazione e frammentazione territoriale

Anche se gran parte delle forze politiche hanno fatto in modo che la campagna elettorale non diventasse una disputa bipartitica, l’esito del voto ha mostrato che comunque la politica nazionale continua ad essere segnata dalla destra tradizionale rappresentata dai suoi due grandi poli. Da un lato, il Centro Democratico è stato in grado di mobilitare la sua base elettorale come dimostra il fatto che i collegi elettorali che hanno in maggiornza votato NO sono stati quelli che hanno catapultato la campagna di Zuluaga nelle ultime elezioni presidenziali: Casanare, Antioquia, Meta, Huila, Quindio, Risaralda e Caldas.

Al contrario, Unità Nazionale soffre la frammentazione nella sua base sociale e anche tra le forze della coalizione, come dimostra l’azione di partiti come Cambio Radical del Vice Presidente Vargas Lleras che sta preparando la sua candidatura per le elezioni presidenziali del 2018.

L’influenza del contesto internazionale

Nel mondo di oggi registriamo pure una serie di tendenze che influenzano la situazione politica in Colombia. Da un lato, in mezzo alla nuova ondata di attacchi terroristici contro obiettivi civili, principalmente guidati da fondamentalisti islamici provenienti da diverse regioni del mondo, tende a rafforzarsi -in un’agenda globale autoritaria e securitaria- un immaginario che associa le FARC al terrorismo, rendendo più oscura la distinzione tra atti di ribellione armata e atti di terrorismo nell’opinione di una popolazione spaventata.

Inoltre, è importante l’impatto del cambiamento conservatore e della cosiddetta fine del ciclo di governi progressisti in America Latina, espresso in fenomeni come il recente colpo di Stato parlamentare contro Dilma Rousseff in Brasile, la sconfitta politica di Evo Morales nel referendum in  Bolivia, le  vittorie elettorali parlamentari  della Coalizione di Unità Democratica in Venezuela, o nella presidenza di Mauricio Macri in Argentina e Pedro Pablo Kuczynski in Perù. Questo mutamento assume una forma particolarmente acuta in Colombia, dove la recente crisi di confine con il Venezuela e la grave crisi economica che si presenta al governo di Nicolas Maduro sono costantemente sfruttate dalla destra colombiana  attivamente alleata con l’opposizione borghese nel paese vicino e che ha fantasticato in più di un’occasione di fare una guerra aperta contro Chavez. Invocando lo spettro del “castro chavismo” incarnato dalle FARC, l’urubismo è stato in grado di utilizzare per sè il solido rifiuto politico già  costruito con attenzione  dalle istituzioni colombiane di tutti i colori, proponendolo come una delle maggiori minacce politiche.

Infine, è chiaro che questa seconda fase della crisi economica globale iniziata nel 2008, che ha portato al rallentamento della crescita degli Stati Uniti, alla stagnazione europea, alla recessione in Giappone e al rallentamento dell’economia cinese, con un conseguente calo del prezzo internazionale delle materie prime in generale e dei minerari ed energetici in particolare, ha fortemente colpito un’economia dipendente, come quella colombiana, che ha vissuto in due decenni processi di ritorno al settore primario e di liberalizzazione economica, che hanno rallentato e reso fragile  l’economia, senza nessun segno di miglioramento immediato, che ha portato il governo nazionale ad attuare politiche di aggiustamento che colpiscono soprattutto i lavoratori. Così annunci come gli aumenti delle tasse, sono stati  ben utilizzati dagli avversari dei colloqui con le FARC, dicendo che sarà l’intera società a sopportare i costi economici del post-accordo, creando una serie di miti e falsi rapporti tra i fattori che in uno scenario ostile aumentano la confusione all’interno della popolazione.


Scenari futuri

Indebolito da una nuova sconfitta politica, ma ancora al potere con il sostegno di una sezione del blocco dominante e senza prospettive immediate di dimissioni, è chiaro che il governo Santos ha la capacità giuridica per continuare il processo di pace in corso. La domanda è: come? Rinegoziando e cercando un accordo che non implica una controfirma, utilizzando un altro meccanismo di consultazione, una Assemblea Costituente, come alcuni suggeriscono? Tutte possibili risposte che saranno valutate alla luce dei rapporti di forza a livello nazionale.

A quanto pare il dissidente settore uribista, guidato dall’ex candidato a sindaco di Bogotà, Francisco Santos, fa riferimento alla necessità di un patto di riconciliazione nazionale per dare continuità all’accordo. In ultima analisi, si suggerisce di realizzare la vecchia aspirazione Santista per superare la divisione inter-borghese, per includere il Centro Democratico, e in generale  i promotori del NO, in un blocco politico a favore dell’accordo, che per il momento non può essere raggiunto senza mettere in discussione assunti fondamentali dell’accordo.

Da parte degli attori diretti del confronto, vediamo che Santos nel suo discorso presidenziale ha ribadito la propria disponibilità perché il processo rimanga ancora in piedi, mantenendo il cessate il fuoco. Nel frattempo, le FARC hanno mostrato la volontà di proseguire il dialogo riaffermando il cessate il fuoco bilaterale e definitivo assunto con il governo  pochi mesi fa. Tuttavia, con l’affermazione dei settori più recalcitranti che oggi trionfanti chiedono la rinegoziazione degli accordi, i termini per la risoluzione del conflitto tra la più antica insorgenza dell’America Latina e lo stato colombiano cambieranno drasticamente. Il che rende più complessa la situazione attuale, in quanto apre la possibilità che le FARC siano costrette ad un’altra strategia, simile a quella di altri attori insorgenti come l’ELN [Esercito di Liberazione Nazionale, ndt] e la EPL [Ejército Popular de Liberación, ndt].


La nostra proposta

La sinistra e il movimento sociale sembrano sprofondare nella confusione e nell’apparente incapacità di indicare alternative reali  nel momento politico attuale. La sfida strategica rimane quella di  riconfigurare la mappa politica attuale che mette in primo piano il confronto tra una destra dura ed una destra moderata.

Come organizzazione libertaria riteniamo che dopo la sconfitta del SI’, sia necessario continuare a sostenere politicamente una soluzione negoziata del conflitto armato tra lo Stato e l’insurrezione. La nostra scommessa è quindi che, con il possibile patto nazionale tra le fazioni della borghesia costrette a riconciliarsi, diventa necessario raddoppiare gli sforzi per realizzare l’unità lotta della classe operaia e delle comunità in lotta.


Noi crediamo che occorra trasformare quell’immaginario collettivo che è stato imposto dalla guerra controinsurrezionale e che  oggi criminalizza le alternative rivoluzionarie, per restituire una grande forza ai movimenti popolari che dovrebbero essere i protagonisti negli scenari futuri di agitazione politica e sociale.

Ci rendiamo conto che ci sono difficoltà notevoli a tal fine, ma anche che è possibile superare alcuni di questi problemi accumulatisi attraverso l’alleanza di settori popolari in lotta, l’apertura ad altri settori e organizzazioni, con una innovazione programmatica nelle lotte. Noi continuiamo a credere urgente forgiare l’unità degli oppressi qui per creare un movimento popolare con capacità di trasformazione. Noi ci assumiamo l’impegno e la sfida di costruire un popolo forte, indipendente come classe e organizzato fin dalla sua fondazione.

Noi ci siamo e qui proseguiamo con la forte convinzione che solo la lotta e l’auto-organizzazione autonoma dal basso e a sinistra dei lavoratori e dei settori popolari sarà l’unico modo per costruire alternative per vivere meglio; per costruire quegli altri mondi possibili  verso una società più giusta e più libera.

¡Arriba las que luchan!

Grupo Libertario Vía Libre
Bogotá, Colombia. Octubre 2016
(traduzione a cura di ALternativa Libertaria/fdca – Ufficio Relazioni Internazionali)
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[1]Comisión negociadora Gobierno nacional-FARC EP. Acuerdo final para la terminación del conflicto y la construcción de una paz estable y duradera. En Mesadeconversaciones.com.co. 24/08/2016. Disponible en web. Link: https://www.mesadeconversaciones.com.co/sites/default/f…7.pdf Consultado 02/10/2016

[2]Registraduria nacional del Estado Civil. Boletín Nacional No 43. Preconteo Plebiscito 2 de octubre de 2016, República de Colombia. En plebiscitoregistraduria.gov.co. Disponible en web. Link: http://plebiscito.registraduria.gov.co/99PL/DPLZZZZZZZZ…1.htm Consultado 02/10/2016

[3] Ver por ejemplo. Vía Libre. Ante el acuerdo de cese al fuego bilateral y definitivo entre el gobierno colombiano y las FARC. 26 de junio de 2016. En Acción Libertaria. Disponible en web. Link: https://accionlibertariaoyl.wordpress.com/2016/06/26/vi…c-ep/ Consultado 02/10/2016 o Julián Lopéz. El plebiscito, la izquierda y los sectores libertarios. En Acción Libertaria. Disponible en web. Link: https://accionlibertariaoyl.wordpress.com/2016/08/22/el…ltado 02/10/2016

[4] Asociación Comunicación Política. Ranking de popularidad septiembre de 2016. En compolitica.com. Disponible en web. Link: http://compolitica.com/acop/tabla-de-popularidad/ Consultado 02/10/2016

[5]Wikipedia. Elecciones presidenciales de Colombia 2014. Disponible en web. Link: https://es.wikipedia.org/wiki/Elecciones_presidenciales…ltado 02/10/2016

[6] El Tiempo. La del plebiscito fue la mayor abstención en 22 años. En Especial multimedia. Sección Política. Eltiempo.com. 2 de octubre de 2016. Disponible en web. Link: http://www.eltiempo.com/politica/proceso-de-paz/abstenc…16874 Consultado 02/10/2016

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