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Recovery Fund in salsa lombarda

Recovery Fund in salsa lombarda

A fine novembre 2020, il consiglio regionale lombardo ha emanato una risoluzione – la 40/2020 – avente come oggetto la “Risoluzione concernente il Recovery Fund: proposte per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR” e ovviamente riguardante gli investimenti della quota spettante alla regione del Recovery Fund europeo, pari a 35 miliardi di Euro.

Scorrendo i capitoli di spesa, salta subito all’occhio come al potenziamento della sanità sono state riservate le briciole, così come al potenziamento del trasporto pubblico locale, ovverosia i due principali punti di criticità rilevati durante la pandemia, rimarranno con il cerino in mano ancora una volta. Nella risoluzione la salute occupa l’ultimo posto del documento e, dietro a dichiarazioni di rafforzamento di un servizio sanitario universalistico, si parla principalmente di interventi sulla digitalizzazione e sul miglioramento tecnologico, mentre non vengono nemmeno menzionati i necessari rafforzamenti della medicina territoriale, del piano USCA per la continuità assistenziale, né tantomeno di un potenziamento del personale, che soprattutto in quest’ultimo anno è stato sottoposto ad una mole di lavoro inaccettabile, sebbene imprevista. Si parla di riforme indispensabili al buon funzionamento del SSR, ma intanto rimane vergognosamente in vigore la legge regionale voluta da Maroni che di fatto equipara la sanità pubblica e quella privata, dirottando la maggior parte dei fondi disponibili verso la sanità privata equiparata.

Voci recenti danno per certi investimenti voluti dal ministero dell’economia e che vedrebbero destinati alla sanità nazionale 18 miliardi di euro per opere di ammodernamento dei servizi ed edilizia sanitaria. Ovviamente, essendo la sanità materia appannaggio delle regioni, in Lombardia rimarrebbe in vigore la legge regionale di cui sopra, che drenerebbe gran parte degli investimenti verso strutture private; mentre siamo pronti a scommettere che non vi saranno opere di ristrutturazione e di recupero per ciò che concerne l’edilizia sanitaria, ma la creazione di nuovi poli ospedalieri ai quali poi mancherebbero i presidi di medici ed infermieri, come già ampiamente dimostrato dal progetto dell’ospedale allestito da Fontana, Gallera e Bertolaso nei padiglioni ex Expo.

Per ciò che concerne il trasporto, vengono privilegiate come sempre le grandi opere stradali e ferroviarie, soprattutto quelle inerenti le tratte che interesseranno le olimpiadi invernali del 2026, vero e proprio eventificio che già sta devastando il paesaggio montano e che da qui ai prossimi cinque anni dirotterà una quantità enorme di denaro pubblico. Molto spazio verrà dato anche per potenziare i servizi ferroviari per collegare i nuovi luoghi della gentrificazione e i mega centri commerciali (leggasi Rho ed Arese), mentre il trasporto locale che muove la maggior parte degli studenti e dei pendolari è rimasto nuovamente con il cerino in mano e, a livello metropolitano, i fondi verranno usati soprattutto per il completamento della linea 4 della metropolitana. Niente andrà a potenziare i mezzi di superficie, né i collegamenti interregionali, da sempre veri e propri carri bestiame negli orari di punta. Invece di queste azioni, viene ipotizzata una nebulosa “domanda pubblica intelligente”, il cui fine ultimo è una nobile gratuità dei mezzi pubblici per neutralizzare le disparità sociali, ma i cui mezzi per arrivarci non è dato conoscere.

Il documento poi ha una parte corposa dedicata alla Green Economy, pomposamente intitolata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, entro la quale si evince che la transizione ecologica è considerata quasi esclusivamente dal lato economico e profittevole e quasi mai da quello di tutela e salvaguardia del bene comune e della salute pubblica. Basti pensare che la parte del gigante la farà l’economia circolare, ovverosia la volontà di chiudere virtuosamente il ciclo dei rifiuti e della fertilizzazione del suolo tramite digestato naturale (scarto della produzione del biogas), che di fatto porterà ad una sorta di oligopolio di grosse società che gestiranno tutte le varie fasi dei cicli di lavorazione, ottimizzando le spese e danneggiando la già scarsa biodiversità dell’ecosistema lombardo.

Vi sono poi molte contraddizioni evidenti, come la creazione di piste ciclabili e la disincentivazione del traffico veicolare privato che cozzano con lo sblocco dei cantieri previsto dal piano Lombardia del maggio 2020 e a causa del quale molti sindaci e diverse consorterie sono già andate in regione a battere cassa per poter cementificare e far ripartire l’economia locale tramite l’edilizia (si veda come esempio la costruzione dell’autostrada Cremona-Mantova, che diverrà l’ennesima cattedrale nel deserto); o ancora, la volontà di creare dei veri e propri boschi urbani quando solo pochissimi anni fa palazzo Lombardia (sede della regione) è stato costruito radendo al suolo il bosco di Gioia ; oppure il bosco denominato “La Goccia”, nel nord di Milano, già al centro delle mire di società immobiliari che già stanno gestendo la gentrificazione degli ex scali ferroviari milanesi, con il beneplacito dell’amministrazione Sala.

Detto anche di una larghissima fetta di denaro che andrà investita in innovazione digitale e quindi reti 5G regionali e completa digitalizzazione della P.A. per snellire la burocrazia (promessa questa che torna ad ogni tornata elettorale o ad ogni elargizione di denaro da parte dell’Europa), rimane da dire della scuola, anch’essa interessata dalla “rivoluzione digitale” e che vedrebbe portate avanti delle questioni già ampiamente trattate dalla riforma Gelmini in avanti, ovverosia una domanda didattica al passo coi tempi e che vede materie riguardanti innovazione e digitalizzazione a prendere spazi dedicati a studi più umanistici e formativi e il proseguimento della partnership tra scuola e aziende, arrivando a paventare anche “l’insediamento di uffici di lavoro presso i plessi e i comprensori scolastici” (paragrafo 1.4.2) il che segnerebbe la fine della funzione storica della scuola come di un istituto atto a formare la persona adulta, divenendo solo uno strumento di reclutamento di personale da parte delle aziende, che potranno disporre di lavoratori a costo zero e sostituibili anno dopo anno.

Perfino le politiche di pari opportunità vengono svilite e ridotte a mera questione economica; ad esempio l’inclusione sempre più ampia delle donne nel mondo del lavoro ( o meglio, dell’imprenditoria femminile) contribuirebbe in maniera determinante alla crescita economica (paragrafo 1.5.1) e oltretutto ammanterebbe il mondo imprenditoriale di una patina progressista che in realtà è una foglia di fico che copre uno sfruttamento del plusvalore sempre maggiore.

Come si vede la risoluzione è ammantata di buoni propositi, ma alla fine è un mero sdoganamento del neoliberismo più sfrenato e dello sfruttamento delle risorse umane e ambientali. Sarebbe però ingeneroso intestare tutto ciò solo alla Lega. Anzi, la delibera è passata con 69 voti favorevoli su 69 consiglieri presenti in aula ed è anzi il PD ad intestarsi la vittoria, dapprima essendosi battuto per il recovery fund e poi per avere appoggiato appieno tutte le richieste arrivate dall’Unione Europea in sede di erogazione del maxi prestito.

Giova infatti ricordare che da un po’ di tempo l’UE è vista come una forza progressista che si oppone ai vari populismi nazionalisti e a volte anche alla grosse multinazionali statunitensi e asiatiche, ma rimane invece uno strumento della borghesia estremamente funzionale al capitalismo. Se a volte può sembrare che sviluppi forme economiche vicine al welfare, in realtà non lo fa per principi di equità e di giustizia sociale, ma per cercare di garantire una politica dei consumi estremamente importante per il grande capitale finanziario. Basti pensare appunto che il recovery fund è stato voluto per ovviare ai danni che la pandemia sta causando, ma i suggerimenti sui capitoli di spesa che l’Unione stessa ha fornito riguardano solo uno sblocco economico, senza nessuna ricaduta sulle questioni sociali e sanitarie.

Ancora una volta quindi il “modello lombardo” è lo specchio fedele del volere del capitale, facilmente esportabile in ogni altro territorio e subdolamente ammantato di ecologismo, mutualismo e femminismo per renderlo più facilmente difendibile. Ovviamente i movimenti si sono già espressi e non si faranno certamente raggirare da questa patina progressista, ma il grande magma di persone che, lontane dalla militanza, auspicano però un mondo con eguali diritti per tutti, potrebbero farsi traviare da questa narrazione tossica che in ultima analisi non mette in discussioni le radici delle disuguaglianze civili ed in più colpisce forte i diritti sociali. E’ in questo magma che bisognerà muoversi per disvelare la vera natura degli interventi economici come il recovery fund e le politiche locali e nazionali che andranno a decidere come e quando bisogna spendere questi soldi.