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G8 venti anni dopo

G8 venti anni dopo
Luglio 20
18:53 2021

G8 venti anni dopo
La linea d’ombra, questo ha rappresentato il G8 di Genova 2001.

Con esso si sancisce apicalità e cesura tragica, almeno in Italia, dell’esperienza costituita dai movimenti di contestazione il possente vagito dei quali si era manifestato in Seattle, 2 anni prima. Dopo di ciò il drenaggio morale e la deriva politico-organizzativa ha preso forma stabile in primis nel nostro Paese, in seguito nel Continente ed infine a livello globale; quarta rivoluzione del linguaggio, perturbazione profonda e radicale dei rapporti di produzione, avvento dei social e conseguente trionfo dell’ Io…molteplici le cause, qui assolutamente inanalizzabili. L’adesione al senso urgente, simbolico e predittivo (!) della partecipazione collettiva è stata (forse) superiore ad ogni attesa; dall’associazionismo sindacale o dal volontariato di matrice cattolica e non solo all’area vasta dei Centri Sociali di diverso e plurimo arché e collocazione geopolitica, dal fronte articolato del “pacifismo estremo” a quello, più stantio, della sinistra radicale e/o di classe, dalle espressioni più “mature”, all’epoca, del “movimento migranti” alle soggettività politiche della sinistra rivoluzionaria di quasi tutta Europa…in breve, una pletora di gruppi, partiti, movimenti, formazioni organizzate ed individualità che nell’occasione risolvono di non astenersi di fronte alla prepotente postulazione negativa diretta ai “Grandi della Terra”. Il risultato: oceaniche moltitudini inondano la città superba (il suo Centro ed altre zone urbane) durante alcuni giorni. L’evento preparatorio più saliente si tiene a Firenze. È qui che si vivono e si consumano i momenti significativi e di rilievo che connotano il confronto e la “competizione” fra le innumerevoli soggettività politiche e d’altra natura che costituiscono l’asse di sviluppo organizzativo dell’appuntamento. Fra le curiosità e “bizzarrie” dell’assise in oggetto va certo menzionata la vocazione protagonistica di Attac France, i suoi improbabili apprezzamenti di scherno all’indirizzo di costruzione e pensiero chomskyano e, a quel che risulta, la congrua e meritata dose di fischi di censura ricevuta dai (pochi) compagni presenti nella circostanza.

Ma è la manifestazione di Napoli, sotto il ministro democristiano Bianco, che segna subito quella che sarebbe stata la cifra di Genova. Con buona pace di chi era convinto di poter cogestire le piazze, o di chi si fidava ancora dello Stato. Italiano, per dipiù.

E “noi”?

L’Anarchismo nazionale ha dato prova di senso dell’organizzazione, maturità politica e, soprattutto, spirito unitario. Presente in forze provenienti un po’ da tutta Italia e con pressoché tutte le sue espressioni, organizzate e meno, ha preliminarmente dato vita a due momenti, propedeutici alla migliore riuscita della suddetta presenza: uno al centro e l’altro al nord. Al secondo, tenutosi in Milano presso la sede della F.A.I. milanese, hanno partecipato i militanti dell’allora F.d.C.A. Sul tavolo, gli ineludibili temi di natura politica e logistico-organizzativa: percorso, punti d’appoggio, accoglienza, servizio d’ordine, insidie… La data prescelta è quella del giorno 20 ed il riferimento logistico e la “base” per la nostra area (riferimento “non casuale” che lo sarà anche per i compagni provenienti dall’estero) è individuato nel C.S.A. Pinelli, realtà a noi già nota per avervi ospitato, poco tempo prima, la Prima festa di Alternativa Libertaria. Nel ponente, precisamente a Sampierdarena, si determina il luogo deputato alla concentrazione delle forze. Da molte località, anche di provincia, la mobilitazione è così elevata da consentire l’organizzazione di pullman rosso-neri; ad attenderli, all’arrivo, presso le uscite autostradali, i viadotti, gli snodi di traffico attraversati…la visione di una metropoli inequivocamente militarizzata. La tensione è palpabile.

Il corteo è significativamente irrobustito da cospicue rappresentanze della galassia variegata del sindacalismo di base e, come si conviene, dall’area anarco-sindacalista. L’insieme, va rimarcato, consente di evincere l’intento deliberato di segnare una posizione che tutto fu fuorché elitista, confusionista o, peggio, autoghettizzante; del resto, i medesimi numeri stanno lì a testimoniarlo.

Le “parole d’ordine”, le consuete, forse troppo spiccatamente generiche, generaliste e persino…”idealiste” (!), ma un dato è certo e incontrovertibile: l’accentuazione del congiunto di valori comunisti, ossia il tema centrale, il tema per eccellenza, quello afferente la Giustizia Sociale e l’ideale egualitarista, ha trovato nel corteo delle migliori espressioni del Movimento Anarchico Italiano-organizzato la sua più aperta, generosa e genuina manifestazione e, soprattutto, dimostrato la fondatezza di tesi che di lì a pochi anni si sarebbe palesata, con drammatica attualità, auspice lo scandaloso e sconvolgente processo di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, pochissimi…processo incomprensibile, oscuro, offensivo, immorale ed inaudito non solo alla luce di letture etiche ma anche facendo ricorso alla polivalenza algoritmica offerta dalle comunità scientifiche più varie, quella di antropologi, demografi, matematici, logici…

Del tutto fuoriluogo, o quantomeno inopportuno, inoltrarsi nella cronaca. La produzione in materia è già ingente; in verità, poi, trattasi del prodotto di ricerca bibliotecaria più che d’ archivio; traducendo: più letteratura che documenti, più opinioni che fatti…ma questo non è essenziale.

Utile, nonostante tutto, invece, sottolineare come il corteo cd sindacale ha saputo caratterizzarsi, fra l’altro, anche per l’aprioristico rigetto dello schema di gioco-spettacolo incluso nella tradizionale formula provocazione-reazione pronosticata dai più. In effetti, la “controparte” (in divisa) ha invano atteso ore per assumere il pretesto legale (bastevole) per attacchi di genere alzo zero (alla Bava Beccaris, per capirci). Grazie all’azione puntuale, pronta e cosciente di militanti “più preparati”, tutto ha funzionato alla perfezione. Nonostante le “notizie” che man mano giungevano da altre aree del “tentacolare” assalto alla zona rossa, nonostante l’indole “sospettosa” e “diffidente” ostentata da alcuni settori della sinistra radicale, davanti alle performances di qualche decina di detti Black Bloc che, forse “confusi”, hanno optato per la nostra area anziché per altre più “affini”. Tattiche e tecniche che non tenevano, quando in buonafede, conto della realtà specifica di questo paese. Totalmente capzioso ora (varrebbe la pena di citare: è quel che ci proietta verso remote regioni e oscure perdite di tempo) il dibattito intorno a “natura” ed “identità” dei soggetti coinvolti , considerando che mai l’analisi della nozione di “violenza” ed il ricorso alla stessa si debba configurare in termini morali, moraleggianti o moralistici, bensì in quelli, assai più attendibili, di opportunità.

Sono seguiti altri “cortei”, fiumi, sciami…di ritorno alle aree di stazionamento dei bus o verso le rispettive “basi” (per noi il Pinelli). Durante uno di questi ci ha raggiunto la tragica notizia dell’uccisione di Carlo Giuliani; quella della mattanza alla Diaz l’avrebbe seguita, di lì a poco. Il resto è storia, più che cronaca.

Cosa rimane di quelle giornate, venti anni dopo?

Facile dire che avevamo ragione.

Che la violenza dello Stato ha la mano talmente lunga che ancora insegue Vincenzo per qualche vetrina, che un filo mai tagliato lega la Diaz a quanto succede oggi nelle carceri, e che chi pensava di potersi confrontare ad armi pari con lo Stato, sia sul piano della violenza sia su quello della cogestione della piazza aveva sbagliato clamorosamente I conti.

 Che avevamo ben individuato sia il nemico, l’accellerata capitalistica transnazionale, con il suo accrescere le disuguaglianze e limitare le libertà, prima fra tutte quella della circolazione delle persone, sia le possibili strategie di risposta, la paziente tessitura di tutte le opposizioni in un movimento plurimo, capace di pensare globalmente, come si diceva allora, e agire localmente.

E, dopo 20 anni di elaborazione del lutto, tante questioni di allora sono ancora la nostra agenda di lavoro, e si riparte dalla questione climatica, dalla cura dei territori, da istanze di solidarietà e di giustizia sociale. Ora come allora, e come ancora prima, perché veniamo da lontano, e c’è ancora tanto da fare. Non siamo mancati ieri, non mancheremo domani

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