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Ci lasciamo alle spalle un anno drammatico

Pandemia e crisi economica hanno scosso violentemente il sistema. I dati sono noti, morti, sofferenze che investono larghe fasce di popolazione e una situazione economica che richiama alla memoria i peggiori anni del dopo guerra. Eppure c’è chi parla di virtuosa risposta italiana alla pandemia, e chi a fronte del Recovery Plan disegna una Europa che ha riscoperto il valore sociale della solidarietà.

La memoria è corta e il gran parlare che si è fatto nei primi mesi dell’epidemia, dei tagli alla sanità pubblica operati con zelo bipartisan dai governi di centro destra e di centro sinistra, sono spariti dal dibattito politico. L’aziendalizzazione della sanità pubblica, la ridefinizione degli ospedali secondo fasce di specializzazione, la riduzione dei posti letto, l’assenza di una efficace medicina di prevenzione, hanno trovato nelle forze politiche che alternativamente hanno governato in Italia negli ultimi decenni, gestori burocratici che nel migliore dei casi hanno privilegiato il “profitto” aziendale, quando non hanno operato direttamente al potenziamento della sanità privata o peggio alimentato il malaffare. Una autocritica che non sentiamo e che là dove viene evidenziata si limita ad essere evocata. Emblematico lo stesso atteggiamento delle grandi organizzazioni sindacali che da un lato hanno condiviso la riorganizzazione degli ospedali in base alla intensità di cura e dall’altro si sono limitati a petulare ai governi succedutesi in questi anni una riorganizzazione della sanità territoriale. Come saggiamente suggerisce l’arguzia popolare, tra il dire e il fare…..

Se si fa una scelta di campo, ovvero se la difesa delle condizioni di vita delle lavoratrici, dei lavoratori e dei ceti impoveriti dalla crisi economica è l’obiettivo dell’agire politico e sociale, non basta elencare i problemi, né basta scaricare le responsabilità sui sovranisti, sull’Europa, sul capitale, etc….; occorre rispondere organizzando le forze disponibili e agire con determinazione e intransigenza mettendo in campo iniziative e lotte unitarie e incisive.

Significa per esempio uscire dall’ambiguità di chi sostiene la centralità della sanità pubblica e contemporaneamente sostiene l’utilizzo del privato sociale in questo settore, o di chi, come ad esempio le organizzazioni sindacali confederali, non solo non contrasta il diffondersi della sanità integrativa, ma attraverso la contrattazione sindacale ne fa un asse dei rinnovi contrattuali (welfare aziendale).

Analogamente sulla risposta che l’Europa sta dando sul terreno delle risorse economiche da mettere in campo per rispondere alla crisi economica che il blocco della produzione ha determinato, si assiste ad un florilegio di entusiasmi che tendono ad accreditare un’Europa solidaristica che archivia il rigorismo monetario degli ultimi decenni. La realtà ha ben altri contorni: la pandemia è probabile che abbia accelerato alcuni processi già in atto che investono la ridefinizione delle sfere di controllo dei mercati e in sostanza acuiscono lo scontro interimperialista in cui l’Europa cerca di giocare la propria partita per inserirsi nel bipolarismo Usa – Cina.

In questa situazione complessa e drammatica si inserisce la crisi di governo.

Una ennesima occasione, per chi ancora a parole si posiziona nella sinistra o più genericamente nel campo progressista, per trovare alibi alle proprie inadeguatezze e alle proprie alchimie di mediazione politica.

Dopo decenni di anti-berlusconismo, non vorremmo davvero assistere ad un periodo di anti-renzismo. L’appello che forze politiche e sindacali hanno sottoscritto a sostegno del governo Conte precede e riecheggia quello che il Presidente del Consiglio ha sostenuto alla camera dei deputati e al senato nella comunicazione per la richiesta di fiducia. Un appello alle forze liberali, popolari e socialiste che stanno alla base della repubblica costituzionale, quelle stesse forze che hanno governato dal dopo guerra ad oggi; partiti e componenti ideali che hanno permesso la continuità della burocrazia fascista, la liberazione dei gerarchi e l’arresto dei partigiani, che hanno permesso decine di eccidi per mano della polizia di operai e contadini che lottavano per i loro diritti, che ha permesso lo stragismo degli anni 70 e 80 attraverso gli apparati dello stato e foraggiando la mano d’opera fascista, le stesse forze che sono responsabili della crescente divaricazione sociale che condanna alla povertà assoluta circa cinque milioni di persone di cui oltre un milione e centomila minori.

Il presidente Conte, nella sua prolusione al dibattito sulla fiducia, incorniciata dalla “migliore” retorica riformista ha evocato l’uguaglianza nella duplice veste formale e sostanziale, richiamando peraltro un concetto che è espressamente enunciato nell’articolo tre della Costituzione, ovvero un concetto che dovrebbe guidare da oltre settanta anni l’azione economica e sociale nel nostro paese.

Il problema sta proprio qui: l’uguaglianza sostanziale è un concetto che se  posto all’orizzonte dell’agire assume il ruolo feticcio, da utilizzare come carota davanti all’asino.

Difatti ad ulteriore conferma del vuoto programmatico che sta dietro queste enunciazioni c’è  l’assenza di qualsiasi provvedimento che provi a ridisegnare la redistribuzione della ricchezza in Italia, tant’è  che nell’ultima discussione sul bilancio annuale 2021 è stata accantonata anche la timida proposta di bandiera di patrimoniale fatta da LEU unitamente all’intera questione dell’evasione fiscale.

Nella attuale situazione politica e sociale è urgente ridefinire gli schieramenti.

Il liberismo, il cattolicesimo popolare e il socialismo, quando non sono stati i padrini di avventure autoritarie, e lo sono stati ripetutamente, hanno espresso nella migliore delle ipotesi un umanitarismo fatto di sostegno caritatevole e alimentato l’illusione di un capitalismo capace di far coesistere profitto e politiche sociali, profitto e difesa dell’ambiente in un compromesso a tutto vantaggio per il capitale. La storia e la cronaca mostrano il fallimento di queste soluzioni. Questo  terreno, sia che si definisca di sinistra o che si definisca progressista, non è il nostro terreno né la nostra prospettiva.

Noi lavoriamo e lottiamo per una prospettiva di superamento del capitalismo e per la prospettiva di superamento dello Stato come apparato di gestione politica della società. Nell’immediato lottiamo per garantire migliori condizioni di vita alle lavoratrici e ai lavoratori, agitando parole d’ordine unitarie, chiare e non equivoche. Riteniamo che in questa fase sia necessario creare un vasto movimento, anche di carattere internazionale, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, rivendicare aumenti salariali significativi, organizzare e sindacalizzare le nuove ed emergenti figure lavorative, sia i nuovi “schiavi” della logistica e del delivery, sia le tante figure del lavoro intellettuale frammentato e artificiosamente assimilati alle libere professioni.
Con chi ha queste discriminanti siamo disponibili al confronto e all’azione comune.