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Franco uno di noi

Quest’anno, 2021, Franco Serantini avrebbe compiuto settanta anni.

I suoi capelli neri oggi sarebbero segnati dallo scorrere del tempo e avrebbero lasciato spazio al colore della luce, il bianco.

La sua vita, probabilmente, sarebbe stata come quella di tanti altri compagni.

Un lavoro, l’attività politica e sindacale, mantenendo fede al suo ideale anarchico. Avrebbe incrociato passioni e amori, ed oggi la sua maturità poteva essere attorniata da affetti consolidati nel tempo.

Ma questo mondo, perché ogni uomo e donna costruisce intorno a se un mondo intero, Franco non ha avuto la fortuna di poterlo continuare a costruire.

Il bianco della luce e della vita per lui è stato solo il pallore della morte.

Era il maggio dell’anno 1972 e a governare c’era Giulio Andreotti con un governo monocolore DC (democrazia cristiana) votato dal partito liberale e dalla SVP (il partito autonomista del sud Tirolo). Governo che non ottenne la fiducia del parlamento. Ministro dell’Interno Mariano Rumor.

Dal 26 giugno dello stesso anno al governo troviamo ancora Giulio Andreotti e Rumor all’interno, con un esecutivo centrista che vedeva la fiducia del PSDI (rinato dopo l’esperienza del PSU) e del PLI che ritorna al governo dopo 15 anni.

Presidente della repubblica Giovanni Leone, il presidente con il più basso consenso parlamentare ed eletto con il voto determinante dei neo-fascisti del Movimento Sociale Italiano. Settennato durante il quale prese forma e si consolidò quella stagione di “solidarietà nazionale” che vide il PCI prima astenersi e poi sostenere un governo monocolore Dc, grazie al quale il governo Andreotti poté approvare alcuni provvedimenti impopolari per cercare di mettere in ordine i conti pubblici.

Personaggi, tutti, che hanno gestito per decenni le vicende più torbide della società italiana, tra intrallazzi economici e mene eversive; depositari di verità scomode che si sono portati dietro nel loro viaggio verso “l’inferno”.

A spezzare la vita di Franco un manipolo di solerti servitori dello Stato scatenati in una caccia al sovversivo sul Lungarno di Pisa.

La colpa di Franco e di tutti quei giovani manifestanti era stata quella di opporsi al comizio del neo-fascista Niccolai, cosa che il questore, già distintosi nella gestione della repressione nella Jugoslavia occupata durante il regime fascista, non poteva permettere.

Franco, quando cadde sotto i colpi omicidi dei manganelli, era solo e all’avanzare dei reparti della celere non scappa, non poteva immaginare che dentro quelle divise si celassero i suoi assassini, lui non costituiva alcun pericolo, ma agli occhi delle forze del disordine era un pericoloso sovversivo e ciò bastò per poterlo massacrare. Dopo il pestaggio, il carcere.

Medici, infermieri, carcerieri, nessuno si prese cura di quel giovane che moriva: “era un pericoloso sovversivo”.

Franco così moriva quel 7 maggio del 1972. Non aveva ancora compiuto 21 anni.

Nessuno fu punito per quell’omicidio.

Ed oggi la sua storia è cancellata dai media pubblici e privati e la politica e le istituzioni solerti a rievocare gli anni di piombo non ne rievocano la memoria né chiedono giustizia. Il potere non si processa.

La storia di Franco è la storia di una Italia che non ha mai fatto i conti con il fascismo.

La retorica dell’antifascismo istituzionale in realtà è la storia di una Italia che non solo perdonò al fascismo le sue nefandezze, ma che permise e favorì l’infeudamento delle cariche statali nevralgiche, quali prefetture, questure, tribunali, carceri da parte di ex gerarchi fascisti, lasciati al loro posto e che puntualmente ritroviamo negli episodi di repressione a partire dal dopo guerra. Personaggi che hanno plasmato queste istituzioni in continuità con il ventennio connotandole di un ruolo autoritario repressivo e spesso per molti versi apertamente golpista ed eversivo.

Franco vive nei nostri ricordi e per le giovani generazioni che non hanno vissuto quegli anni la sua storia che viene scientemente lasciata nell’oblio testimonia drammaticamente il volto criminale dello Stato quando è chiamato a difendere i privilegi del potere economico e politico.

Sicuramente Franco avrebbe fatto volentieri a meno di questo fardello e rimanere un anonimo compagno, ed oggi ci piace pensare che sia ancora qui con noi a difendere il suo sogno di Anarchia e non essere uno dei tanti nomi vittime della violenza dello stato.

A rompere il muro dell’omertà di Stato sulla morte di Franco il libro: Il sovversivo. Vita e morte dell’anarchico Serantini di Corrado Stajano Ed. Enaudi

Franco Serantini

Franco Serantini (Cagliari, 16 luglio 1951 – Pisa, 7 maggio 1972), anarchico morto il 7 maggio dopo un violento pestaggio poliziesco avvenuto il 5 Maggio durante una manifestazione antifascista contro il comizio del neo-fascista Giuseppe Niccolai.

Franco Serantini venne abbandonato in brefotrofio fino all’età di due anni quando viene adottato da una coppia senza figli.

Dopo la morte della madre adottiva è dato in affidamento ai nonni materni, con i quali vive, a Campobello di Licata in Sicilia, fino al compimento dei nove anni quando è trasferito di nuovo in un istituto d’assistenza a Cagliari.

Nel 1968 è inviato all’Istituto per l’osservazione dei minori di Firenze e da qui – pur senza la minima ragione di ordine penale – destinato al Riformatorio di Pisa “Pietro Thouar” in regime di semilibertà.

A Pisa, dopo la licenza media alla scuola statale Fibonacci, frequenta la scuola di contabilità aziendale.

Franco nonostante le avversità della sua infanzia e della sua gioventù affronta la vita in modo solidale, tanto che è un volontario dell’Avis.

Con lo studio e la conoscenza di nuovi amici incomincia a guardare il mondo con occhi diversi e ad avvicinarsi all’ambiente politico della sinistra, frequentando la sede della Federazione giovanile comunista , passando da Lotta Continua fino ad approdare, nell’autunno del 1971, al gruppo anarchico “Giuseppe Pinelli” di Pisa.

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