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Pandemia e Mutualismo

Sono ormai nove mesi che le vite quotidiane di ognuno di noi sono scandite dai numeri di decessi, di ospedalizzati e di positivi causati dal Covid-19. Mesi terribili durante i quali sono emerse delle falle inaccettabili nella gestione dell’emergenza.

Stato e regioni si sono continuamente rimpallate colpe e responsabilità e hanno preferito risolvere la questione dei contagi imponendo una sorta di lockdown graduale a seconda della gravità delle diverse situazioni territoriali – le famose zone rosse, arancioni e gialle, dettate anche e soprattutto dal volere confindustriale di evitare serrate generalizzate.

Nei fatti è stata colpita e penalizzata soltanto la socialità delle persone, lasciando loro la libertà di contagiarsi nei posti di lavoro e in itinere sui mezzi pubblici, come i numeri dei decessi stanno a testimoniare quotidianamente.

L’ipotesi di mettere in discussione il modello sanitario vigente, che ha la sua massima espressione in quello lombardo, basato essenzialmente sui finanziamenti pubblici alla sanità privata convenzionata e allo smantellamento della medicina di prossimità, della medicina di base e dei consultori, non è nemmeno stata presa in considerazione. Medici ed infermieri hanno iniziato a mobilitarsi e a denunciare carenze di organico importanti, che soprattutto in periodo di pandemia causano gravi disservizi, sia perché la mole di lavoro aumenta e il personale rischia direttamente il contagio e la conseguente quarantena, sia perché lo stesso personale viene dirottato sulle strutture Covid, come il famoso ospedale lombardo ricavato negli ex padiglioni expo, aumentando ulteriormente la pressione sui presidi locali.

In questa seconda ondata la sanità pubblica si trova ancora nella situazione di non riuscire a curare tutti, dirottando sui privati chiunque possa permetterselo (ricordiamo ad esempio che il San Raffaele ha richiesto parcelle di 90 euro anche soltanto per un consulto telefonico) e abbandonando a loro stessi tutti i meno abbienti.  Un disastro gestionale, dove tutto il nostro supporto va a quei medici e quegli operatori sanitari che sono entrati in stato di agitazione e che denunciano situazioni insostenibili rischiando anche il posto di lavoro.

Questo clima di incertezza della cura si accompagna all’insicurezza economica, aggravata dal peso del rischio costante di isolamento, di deprivazione di autonomia e di conseguenza peggiora tutte le condizioni di disagio.

Se sono stati numerosi gli interventi a pioggia per ampi settori di popolazione, spesso senza criteri di reddito, tante e tanti sono rimasti fuori dall’attenzione collettiva, pagando spesso i prezzi più alti.  Poco o nulla emerge di quanto succede nelle carceri, nei CPT, nei campi e nelle baraccopoli, ai profughi bloccati in mezzo al mare o che cercano di atraversare monti e confini. A fianco delle realtà che da sempre si occupano di povertà, il variegato mondo del terzo settore, si stanno affiancando nuove forme di autorganizzazione, a diverso livello di conflittualità, e delle reti di mutuo appoggio, basate soprattutto sul soccorso alimentare a persone in difficoltà perché hanno perso il lavoro o perché costrette da sole in quarantena. Queste reti sorte spesso a partire da gruppi già organizzati sui vari territori, si stanno replicando in tutta la Penisola, dove grazie a militanti di centri sociali, case del popolo, circoli arci, brigate volontarie di solidarietà già attive e partiti politici si è riusciti a creare reti di supporto che andassero ad affiancare le strutture istituzionali

Tutto questo ha permesso di portare un aiuto concreto e fattivo a un grande quantitativo di nuclei familiari, altrimenti abbandonati a loro stessi.

 

Un supporto che cerca di interessare anche la questione sanitaria: dove ce n’è stata la possibilità e la capacità, si sono attivati o potenziati ambulatori popolari che suppliscono la carenza dei piani di medicina domiciliare USCA, che ad esempio in Lombardia, la regione più colpita sia nella prima che nella seconda ondata, ha visto attivate circa 55 unità sulle 200 considerate come numero minimo per sgravare le attività di pronto soccorso. Un aiuto decisivo in tal senso proviene dalle tanto vituperate ONG, come  Emergency e MSF, che hanno messo a disposizione strutture, personale e saperi per affrontare meglio la pandemia.

Se il primo impulso nell’improvviso sviluppo di questo piano solidaristico è sicuramente stato un modo di ribellarsi all’impotenza sociale, in assenza di altri sbocchi di carattere conflittuale, e la consapevolezza di doversi mantenere aperti spazi di agibilità e di movimento di fronte a una situazione di militarizzazione del territorio e di  non vanno sottovalutate due importanti ricadute. La prima ha a che fare con una utilissima tendenza alla ricomposizione di classe, sia nel senso di un riavvicinarsi al piano della materialità dei bisogni su una base paritaria e autorganizzata, sia nel senso della condivisione di un piano progettuale e logistico tra realtà magari contigue territorialmente ma iperframmentate e normalmente non comunicanti. Tavoli di lavoro comune, a partire dal basso, hanno la potenzialità di ricostruire canali di azione comune, anche alzando gli obiettivi in una fase che si possa aprire più conflittuale. Sono già in corso forme di aggregazione in reti a respiro nazionale dentro la quale vengono scambiate informazioni che possono tornare utili a chiunque, non strutture verticistiche che ricadano poi sui vari territori, ma supporto reciproco in modo che ognuno sappia affrontare le emergenze al meglio delle proprie capacità.

Il secondo aspetto interessante è il tentativo di introdurre meccanismi di partecipazione e protagonismo che riempiano di contenuti attuali il concetto di mutualismo, che parte dalla solidarietà ma ad essa non si può fermare per non ricadere in una pura sussidiarietà funzionale al mantenimento dello status quo.

Ancora una volta diverse esperienze non anarchiche riscoprono proprie pratiche nate e cresciute all’interno dell’ambito libertario: non è la prima volta che all’interno del movimento si assumano pratiche anarchiche quali il mutuo appoggio senza fare professione di anarchismo.

Data la natura variegata ed interclassista delle varie realtà coinvolte nei progetti mutualisti, nei quali ognuno porta il proprio vissuto, compito dei militanti e delle militanti comunisti anarchici, presenti nelle strutture di base e coinvoltii nelle pratiche mutualistiche, è quello di anche quello di denunciare la natura classista che sta dietro alla gestione statale dell’emergenza, nella quale i più poveri e i più svantaggiati pagheranno conseguenze ben più salate rispetto alla ricca borghesia. Perché se è vero che il virus non guarda in faccia nessuno, è altrettanto vero che le possibilità di una cura e di una vita  degna è un privilegio di classe che è necessario scardinare.