Segreteria Al/FdCA
La storia del movimento operaio, nel suo oramai ultracentenario sviluppo, non ha tracciato un uniforme cammino di progresso. A periodi di grandi slanci in avanti sono seguiti anni bui di arretramenti; dal “sol dell’avvenire” sogno e prospettiva utopica che sembrava oramai realtà dietro l’angolo, al baratro delle camere del lavoro devastate e incendiate fino alla interiorizzazione del razzismo come idea di sviluppo delle nazioni. Questa onda che sale e che scende se la esaminiamo con attenzione ci consegna una lettura della storia molto nitida. Il progresso è sempre legato a periodi in cui il movimento dei lavoratori, attraverso la lotta economica, nelle fabbriche, nelle miniere, nei campi negli uffici, riesce a strappare migliori condizioni di vita in termini di salario, di tempo di lavoro, di ritmi, di salubrità; cioè quando determina rapporti di forza favorevoli alla propria classe di appartenenza.
È in questi periodi che lo Stato, sollecitato anche dal mondo imprenditoriale, per contenere le sempre più pressanti richieste del mondo del lavoro, vara norme che nel recepire anche le istanze provenienti dalle lotte operaie le codifica ed in questo modo le cristallizza e ne determina un tetto. La legge, qualsiasi legge, anche quelle che segnano un progresso rispetto alla precedente situazione non possono essere assunte come volano del conflitto di classe. Le leggi tendono allo status quo e quindi per loro natura tendono a spengere il conflitto di classe.
Di converso quando le condizioni nei rapporti di forza si invertono e a dettare le condizioni sono i padroni, pubblici o privati che siano, vi è una fiorente azione legislativa che sotto il manto della razionalizzazione, della modernizzazione, del conformarsi alle politiche europee e a dettami del WTO, dello spread e delle borse, spazza vecchie conquiste, impone nuovi limiti, costruisce gabbie, forzando il corso della storia verso il passato. La storia di questi anni recenti e meno recenti testimonia questo processo. Dalla abolizione della scala mobile, allo smantellamento della legge 300/70 – Statuto dei Lavoratori- compreso quell’art. 18 che colpevolmente la sedicente sinistra istituzionale e la condiscendenza sostanziale delle confederazioni sindacali hanno cancellato. Accanto a questi che sono i fenomeni eclatanti dell’azione restauratrice, vi è stato tutto un processo di riscrittura delle norme del lavoro che nel lavoro pubblico si è sviluppato nel senso di ricondurre sotto l’egida della legge ciò che prima era demandato alla contrattazione e nel lavoro privato, vari accordi interconfederali hanno ormai sancito che “anche i contratti aziendali possono derogare in peius ai contratti nazionali, senza che ostiil disposto dell’art. 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori . (Cass. 15/9/2014 n. 19396, Pres. Roselli Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2015, 91) .
Il sindacalismo confederale in questi anni ha oscillato tra subalternità e acquiescenza rispetto alla azione delle controparti e anziché cercare un rapporto nuovo con i lavoratori e le lavoratrici che organizza e che dovrebbe rappresentare si chiuso in una gestione burocratica cercando la legittimazione delle controparti e non quella dei lavoratori. La democrazia interna ha capovolto la piramide, alla base vi è il vertice che discute e decide, a cascata i dirigenti intermedi, i delegati, gli iscritti vengono informati, nella migliore delle ipotesi, ma non possono decidere niente.
Di recente la “Conferenza di Organizzazione della CGIL” ha avuto queste caratteristiche.
Per contrastare questa deriva che ha sempre di più i connotati di una razionalizzazione reazionaria ed autoritaria, la strada maestra è quella di aprire senza fraintendimenti un ampio, articolato e lungo conflitto di classe che in ultima istanza imponga a governo, padroni, partiti politici di governo e d’opposizione, all’insieme delle organizzazioni che costituiscono la società civile, una nuova stagione che abbia come fulcro l’affermazione dell’uguaglianza sostanziale e non formale, cioè intesa come uguaglianza del punto di arrivo e non semplice concetto di pari opportunità al punto di partenza, che, dando sostanza e concretezza, ponga con determinazione la centralità dei diritti e dei bisogni dei lavoratori.
Be First to Comment