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Tutti pazzi per Giorgia?

Tutti pazzi per Giorgia?
Agosto 24
23:08 2023

Quasi un anno di governo, e contro le previsioni dei più la tenuta di questo governo sta resistendo, e ha anzi guadagnato se non consensi, credibilità a livello internazionale.

Una ferrea fedeltà atlantista fa passare in secondo piano le varie gaffe di governo, l’improvvisazione economica con cui è stato finora gestito il PNRR, ma, soprattutto, la costruzione e il rafforzamento di una ultra destra europea, razzista e misogina, finora limitata all’ex-area di Visegrad (paesi, non bisogna dimenticare, in prima linea nella guerra contro la Russia con un ruolo di rilievo all’interno del riarmo europeo a guida NATO), che rischia di trovare, in questa Europa in frantumi, una piena legittimità a livello europeo.

Attribuire a questo governo e alla sua premier la categoria del fascismo classico può sembrare semplicistico e non corretto a livello storiografico (soprattutto quando a gridare all’antifascismo sono quei soggetti politici che hanno perseguito politiche analoghe di neoliberismo e privatizzazione, nonché di allineamento ai dettami NATO a guida USA), ma è evidente la continuità ideologica sbandierata, e praticata in ogni occasione utile. Anche perché la deriva autoritaria di questo paese ha subito una preoccupante accelerazione.

La concentrazione del potere politico nelle mani dell’esecutivo, il ridimensionamento di quello giudiziario, l’occupazione, al di là dello spoil system, dei gangli di potere amministrativo, la desertificazione in RAI e il controllo dei mezzi di informazione, la disinvolta nell’uso dei decreti per risolvere piccole beghe quotidiane con norme personalistiche, persino la gestione di emergenze come l’alluvione in Emilia Romagna di-segnano il governo di un solo uomo, pardon di una sola donna, che si dimostra per nulla disposta a perdere tempo con una normale dialettica democratica, in cui peraltro non brillano interlocutori in grado di farsi valere.

E finora tutte le operazioni di governo, a quasi un anno dal suo insediamento, si sono dimostrate a favore di una parte di blocco sociale che sostiene Giorgia Meloni, che non solo viene foraggiato attraverso il meccanismo fiscale ma, alleggerendo tutte le procedure autorizzatorie, favorisce l’utilizzazione di capitali e investimenti in odore di mafia. Non è una novità, se non per la durezza e determinazione con cui viene perseguita l’applicazione di questa ottica neoliberale, peraltro da tempo vigente in tutta Europa.

L’andazzo si è visto già dal primo decreto, quello sui Rave, che una volta convertito in legge ha visto inserito anche un alleggerimento dei reati contro la pubblica amministrazione (concussione e peculato) che vengono cancellati dalla lista di quelli che precludevano la concessione dei benefici penitenziari in assenza di collaborazione con la giustizia. Poi è arrivato il decreto Cutro, che, in nome di una delle più gravi stragi nel Mediterraneo (di cui ormai è certa la matrice politica e l’ordine di non intervenire), ha ulteriormente giocato al ribasso sulla politica migratoria: al grido di “puniamo gli scafisti”, e mentre si continuano a foraggiare le mafie statali dei paesi che come Libia e Tunisia giocano il ruolo di sceriffi del mare, l’ennesima stretta sui diritti umani delle persone migranti, con la riduzione dei presupposti per il riconoscimento della protezione speciale e degli strumenti di integrazione, dai corsi di lingua alla tutela legale, l’eliminazione della convertibilità dei permessi di soggiorno per calamità o motivi di salute in permessi di lavoro e il rafforzamento degli strumenti legati al rimpatrio forzato, tra le pratiche più inumane.

Altro affondo importante quello sui diritti civili, con la guerra alle famiglie arcobaleno e l’evidente malafede di indicare la procreazione per altri reato universale, ma di fatto perseguibile solo per le coppie omosessuali, mentre alla maggioranza dei fruitori di questa pratica, coppie classicamente etero, in assenza di evidenze questa norma non verrà mai applicata.

La vulgata rossobruna per anni ha provato a mettere in contrapposizione i diritti civili con i diritti sociali: chi ha sostenuto per anni che difendere i diritti civili fosse cedere rispetto ai diritti collettivi ha avuto subito da ricredersi: questo governo non sceglie, restringe spazi di libertà ovunque capita. E non ha problemi ad agitare l’arma della precettazione per scioperi indetti anche nel rispetto delle già strette maglie normative.

E intanto la guerra ai poveri, più che alla povertà, continua incessante: il salario minimo, argomento di discussione nei talk-show ma non in parlamento, viene rimandato pilatescamente al CNEL, e si arriva a fare cassa sostituendo il reddito di cittadinanza con la promessa di un assegno di inclusione che restringe sia i beneficiari sia quanto erogato. Di fronte alla crisi sociale ormai manifesta non basterà la moltiplicazione dei bonus, le misure tampone come il taglio temporaneo del cuneo fiscale, continuare ad evitare di affrontare seriamente l’enorme problema di compressione del potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici, contare sulla delegittimazione del sindacato. Anche perché l’attacco sociale è su scala internazionale, e su scala almeno europea deve essere costruita una risposta, che non può continuare a essere rituale.

E se la guerra rimane sullo sfondo di una informazione negata (si pensi al ruolo dell’Italia nel conflitto che si è aperto proprio ora in Niger) e ha fatto e continua a fare la sua parte di riorganizzazione funzionale degli scenari e degli accordi economici internazionali, ridisegnando gli scenari energetici in primis, la crisi ambientale ormai condiziona pesantemente le nostre vite, anche di fronte all’evidente fallimento degli accordi internazionali sul clima. La stagione di mobilitazione che si prepara, che si deve preparare, deve uscire dalle dinamiche di subalternità che ci hanno finora caratterizzato, e non può essere né nazionale né settoriale.

Deve tentare di connettere tutti i fronti di azione, da quello sindacale che muove i primi passi a livello europeo, a quello per la giustizia sociale, per il reddito ed il diritto all’abitare, a quello per la giustizia climatica e la libera circolazione delle persone, al combattere un fascismo strisciante che riscrive la storia e tenta di graduare i nostri diritti a seconda della nostra provenienza e delle nostre scelte di vita e di espressione, se donne e queer, all’opposizione a una guerra che fa cadere missili lontano da noi ma ha conseguenze pesantissime anche sul nostro presente.

Una mobilitazione che deve utilizzare la dimensione internazionale proposta, a partire dalla giornata del 13 ottobre, per allargare la base di partecipazione dei settori sindacalizzati, per fare acquisire visibilità a una opposizione sociale che vada al di là delle sigle, che unisca le rivendicazioni legate al reddito e all’orario di lavoro ai diritti sociali, climatici e civili. Occorre declinare solidarietà, costruire azione diretta, promuovere mutualismo, allargare forme di agibilità politica, senza fare gerarchie tra le lotte, ma riconoscendo-le parte di un quadro collettivo che disegna una possibile via di uscita al baratro che questo governo, e i prossimi, come i precedenti, ci stanno preparando.

Per fare questo non basta mobilitare le strutture o i quadri sindacali, ma occorre dal basso fare la propria parte, senza deleghe, organizzarsi sui territori, a partire dai posti di lavoro, dove siamo, ma anche dalle piazze davanti alle questure o alle prefetture, lavorare allo sviluppo di possibili spazi di lotta, e a livello orizzontale sulla federabilità e ricomposizione delle lotte. Utilizzando e facendo proprie tutte le istanze, le chiamate, le mobilitazioni indette, per fare nascere e rafforzare un vero movimento di opposizione, promuoverne lo sviluppo sia quantitativo, provando sempre ad allargare gli spazi di partecipazione e farle crescere in movimenti di massa, sia qualitativo, di analisi, memoria storica, capacità e prassi.

A questo daremo, come militanti libertari del comunismo anarchico, il nostro contributo.

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