L’educazione popolare ha delle origini plurali. Dal 1789, molte correnti hanno fatto dell’istruzione e della coscientizzazione del popolo un imperativo. Alcuni per affermare la repubblica di fronte all’oscurantismo; altri per attenuare la violenza del capitalismo; altri ancora infine per provocare la rivolta.
È durante il XVIII secolo, nell’epoca dei Lumi, che si fa risalire l’idea di una “educazione popolare”. In un contesto di lotta contro l’oscurantismo e l’influenza della Chiesa cattolica in Francia, si diffonde l’idea di una necessaria educazione di tutti, uomini e donne, e, all’occorrenza, del popolo, attraverso il popolo, per il popolo. Sono le premesse dell’idea di educazione di azione diretta. Nel 1792, in piena rivoluzione, Condorcet comunica all’Assemblea legislativa un Rapporto sull’istruzione pubblica nel quale si può leggere: “Finché vi saranno degli uomini che non obbediranno alla loro sola ragione, che riceveranno le loro opinioni da un’opinione estranea, invano tutte le catene saranno state spezzate, invano delle opinioni di dominio saranno utili verità. Il genere umano non per questo non rimarrebbe diviso in due classi: quella degli uomini che ragionano, e quella degli uomini che credono. Quella dei padroni e quella degli schiavi”. Se la rivoluzione francese non è approdata a un’emancipazione degli sfruttati, limitandosi a sostituire al potere dell’aristocrazia quello della borghesia capitalista, ha tuttavia permesso la preparazione di un gran numero di idee emancipatrici, tra cui quelle difese da Condorcet. Faranno la loro strada. Durante il XIX secolo, segnato in Francia dalle rivoluzioni del 1830, del 1848 e del 1871, nascono tre correnti che praticano, ognuna a modo loro, una forma di educazione popolare: una corrente laica repubblicana; una corrente cristiano sociale; una corrente operaia e rivoluzionaria.
Contro l’oscurantismo: la corrente laica repubblicana
Seguendo Condorcet, la corrente laica repubblicana ritiene che si respingere l’oscurantismo alimentato dalla Chiesa per fondare saldamente una repubblica. Si creano allora le grandi associazioni laiche che mirano a sviluppare l’istruzione pluridisciplinare degli adulti per creare le condizioni del progresso sociale. Così, l’indomani del 1830, viene fondata l’Associazione politecnica, di cui uno degli animatori è Auguste Comte, il filosofo del “positivismo”, quella visione quasi mistica di un’umanità che si eleva inesorabilmente grazie alla scienza. Le succede, nel 1848, l’Associazione filotecnica, tuttora esistente. Nel 1866, infine, la Lega dell’insegnamento è fondata da Jean Macé, giornalista repubblicano e autore di opere di volgarizzazione scientifica.
Nel 1868, quando il Secondo Impero si ammorbidisce, una legge autorizza le riunioni pubbliche, purché non trattino né di politica né di religione. Naturalmente, questa interdizione è presto aggirata, e si vedono moltiplicarsi gli spazi che permettono al popolo di istruirsi e anche di affrontare le questioni sociali. Queste riunioni pubbliche dell’Impero al tramonto sono dei veri luoghi di educazione popolare, determinanti nella formazione politica di chi, uomini e donne, diventeranno i Comunardi.
Nel 1871, la Comune di Parigi decreta alcune riforme, tra le quali l’insegnamento laico e gratuito, così come l’insegnamento professionale assicurato dai lavoratori stessi. Dieci anni dopo, il sinistro Jules Ferry creerà la scuola repubblicana per sottrarre i giovani all’influenza dei religiosi certo, ma anche per contenere le idee rivoluzionarie.
Contro la miseria: la corrente cristiano-sociale
Il cristianesimo sociale è un movimento interclassista che riunisce figli di notabili e di giovani operai e contadini, e che si struttura intorno alla lotta contro la miseria e la povertà. Ha molto spesso, soprattutto nella sua versione protestante, raggiunto la corrente laica nella visione dell’educazione. Nella sua versione cattolica, è rappresentato soprattutto dalla rivista Le Sillon, fondata nel 1894 da Marc Sangnier. Durante il primo decennio del XX secolo, Le Sillon diventa l’organo di un vasto movimento che assume una piega eterodossa di fronte alla dottrina della Chiesa, sino ad essere condannata da papa Pio X per “modernismo”. Una volta disciplinato, esso si autodissolve nel 1910. Avrà tuttavia una posterità indiretta. La Jeunesse ouvrière chrétienne (JOC), (Gioventù operaia cristiana), fondata nel 1925, svolge un ruolo importante di coscientizzazione sociale della gioventù, soprattutto nelle zone rurali. Conosce la sua età dell’oro negli anni 60, prima di entrare in declino. Esiste sempre, su basi piuttosto progressiste.
Contro il capitale: la corrente operaia e rivoluzionaria
Il movimento operaio francese trova la sua origine nelle società amicali, mutue e cooperative create negli anni 1810-1820, per aggirare il divieto dei sindacati con la legge Le Chapelier del 1791. Dopo che la repressione della Comune gli ha spezzato le reni, il movimento operaio riprende veramente slancio negli anni 80 del XIX secolo e diventa una “forza” che conta. I rivoluzionari diffidano della scuola borghese edificata da Jules Ferry con le leggi del 1881-1882, e cercano di preservare una cultura e dei valori peculiari alla classe operaia. Negli anni 90 del XIX secolo, le borse del lavoro, create dalle municipalità per regolare il mercato del lavoro, sono sovvertite dai sindacalisti rivoluzionari che cercano di trasformarle in basi di una contro società proletaria, dotandole di servizi di mutuo appoggio, di biblioteche, di corsi serali in cui si studia l’economia, la filosofia, la storia. L’educazione è allora concepita come un preludio alla rivoluzione: “Ciò che manca all’operaio, è la scienza della sua infelicità”, scrive l’anarchico Fernand Pelloutier, eletto segretario della Fédération des bourses du travail nel 1895.
L’istituzionalizzazione e la tutela dello Stato
Negli anni 1920-1930, l’“educazione popolare” diventa a poco a poco un settore di attività a parte intera. Dal 1940 al 1944, il regime di Vichy vuole modellare la gioventù nell’ideologia della Rivoluzione nazionale da qui il suo motto “lavoro, famiglia, patria”. Tre dispositivi saranno creati a questo scopo: i cantieri della gioventù, le scuole di quadri o scuole dei capi, e le case dei giovani (chantiers de jeunesse, écoles de cadres o écoles de chefs, e maisons des jeunes).
L’ordinanza del 3 ottobre 1943 crea l’accordo “Gioventù e educazione popolare” (Jeunesse et éducation populaire). Le associazioni che l’ottengono si pongono di fatto sotto la tutela dello Stato, e possono ottenere delle sovvenzioni. È l’inizio di una istituzionalizzazione che sarà soppressa dopo la Liberazione. Sotto il regime di Vichy, delle associazioni di educazione popolare sono state d’altronde formate nella clandestinità – i Francas e Peuple et Culture, sin dal 1943 – e, alla Liberazione, questi giovani resistenti peroreranno per lo sviluppo di un’educazione politica di massa concepita come una pedagogia della democrazia, in modo da prevenire le tentazioni totalitarie.
Quest’ambizione, tuttavia, non ebbe lunga durata. Infatti, se una Direzione dell’educazione degli adulti e dell’educazione popolare (Direction de l’éducation des adultes et de l’éducation populaire) viene creata all’interno del governo provvisorio del 1944, essa viene diluita nel 1948 in una Direzione generale della gioventù e degli sport (Direction générale de la jeunesse et des Sports), dall’ambizione politica più ristretta.
La deriva verso l’animazione socio-culturale
Nel 1959, quando viene creato il ministero della cultura sotto la guida del romanziere gaullista André Malraux, l’educazione popolare rimane all’interno della Gioventù e degli sport: il nuovo ministero non ha per missione, l’emancipazione del popolo, ma la creazione artistica e l’accesso alle “opere capitali dell’umanità”. Così, ad esempio, la pratica del teatro amatoriale dipende dal ministero della Gioventù, mentre il teatro di “creazione” passa al ministero della Cultura. L’idea di pedagogia della democrazia è abbandonata dalle istituzioni. Si trasforma in animazione socio-culturale, connessa al tempo libero.
È durante questo periodo che il settore dell’educazione popolare entra in un circolo vizioso. Innanzitutto, i suoi militanti uomini e donne, ottengono un riconoscimento dallo Stato, il che comporta la creazione di diritti e l’allocazione di mezzi. Ma tutto ciò provoca l’istituzionalizzazione e la spoliticizzazione delle azioni effettuate. Lo spirito militante sparisce, la professionalità guadagna terreno; si deve essere diplomati per poter essere animatore o animatrice; i dirigenti o le dirigenti di strutture si allontanano socialmente dai primi interessati che essi considerano oramai come “loro pubblico”.
I sostenitori di una corrente militante tentano di resistere. Lo slancio sovversivo e autogestionario di Maggio 68 li aiutò. Il 25 maggio 1968, i direttori e direttrici dei MJC pubblicano la “Dichiarazione di Villeurbanne”, che sancisce: “Ogni sforzo culturale non potrà non apparire che vano finché non si riproporrà chiaramente di essere un’attività di politicizzazione: e cioè di inventare incessantemente, all’intenzione di questo non-pubblico, delle occasioni di politicizzarsi, di scegliersi liberamente, d’altra parte il senso d’impotenza e di assurdità che in esso non cessa di suscitare un sistema sociale in cui gli uomini non sono mai in grado di inventare insieme la loro umanità”.
Un piccolo ritorno di fiamma
Dopo il riflusso delle lotte negli anni 80, gli anni 90, aprono l’era della tecnicizzazione. Sino ad allora, un animatore o un’animatrice facevano di tutto, essendo lo scopo quello di creare del collettivo e del politico. Da quel momento, essi sono specializzati su di un’attività. Ciò significa che il mezzo – lo sport, la pratica artistica, ecc. – diventano un fine in sé. Il politico è ancora un po’ più dimenticato.
Nel novembre 1998, il ministero della Gioventù e degli Sport organizza degli “Incontri per il futuro dell’educazione popolare” (Rencontres pour l’avenir de l’éducation populaire) con i protagonisti e le protagoniste del settore. Vengono creati dei gruppi di lavoro. Se tutto ciò resta senza effetto sulle politiche di Stato, una manciata di militanti e di militante scoprono di avere delle convinzioni comuni. Da questi incontri nasceranno molti progetti innovatori, tra cui la scop Le Pavé nel 2007.
Le Pavé e altre hanno veramente rimesso l’educazione popolare all’ordine del giorno. Il termine ha anche tendenza a diventare una parola-chiave, a far scivolare imperativamente nel suo dossier domanda di sovvenzioni. Resuscitata, e presto asettizzata? Quel che è certo, è che una parola non basta a cambiare delle pratiche associative prigioniere del loro modello economico e del funzionamento a breve termine e depoliticizzato dei finanziamenti, in rapporto a progetti.
E oggi? Se l’educazione popolare esiste, e se non ha mai cessato di esistere, è nelle sue molteplici forme, e non nella sua confisca da parte delle associazioni che la rivendicano con un’etichetta ministeriale “Jeunesse et Éducation populaire”. Essa esiste ovunque si conduca un’azione a favore della coscientizzazione, dell’emancipazione, dello sviluppo della potenza d’agire e della trasformazione sociale: nei sindacati, nelle strutture educative che adottano delle pedagogie alternative, nelle imprese che funzionano in autogestione, nel lavoro sociale, ecc. Ed è quanto questo dossier si impegna a voler dimostrare.
Adeline (AL Paris nord est)
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