ALCUNE RIFLESSIONI SULLA TRAGEDIA DI ŌTAUTAHI/ CHRISTCHURCH
Il 15 marzo scorso due moschee in Nuova Zelanda sono state attaccate da un suprematista bianco armato con quattro armi da fuoco. 50 persone sono state uccise, altre 50 ferite. L’assalitore ha mandato tutto l’attaccoin live streaming su internet ed il video è stato condiviso molto rapidamente. Ha anche scritto un manifesto di 78 pagine che ci ha permesso di intravedere quale fosse la sua mentalità e di capire i motivi del suo atto.
Da allora sono partite molte discussioni intorno al passato colonialista della Nuova Zelanda, sui suoi gruppi di estrema destra e sull’esistenza di una componente razzista all’interno della società neozelandese. Tutte discussioni importanti che è giusto affrontare, ma che non riescono davvero a spiegare cosa è successo in questo caso e perché. Questo è stato un evento internazionale che è successo in Nuova Zelanda, come sarebbe potuto succedere altrove.
Per capire veramente la natura del razzismo e del suprematismo bianco, e poi del sistema attuale nel quale viviamo, il capitalismo deve essere esaminato, per comprendere come ha usato e continui ad usare il razzismo a proprio vantaggio per controllare e dividere i lavoratori. Va fatta anche un’attenta analisi sui beneficiari dell’oppressione razziale. Etichettare semplicemente i recenti attacchi fascisti come qualcosa di inusuale o come l’atto di un individuo “malvagio” non è sufficiente.
Il capitalismo è strettamente intrecciato con il razzismo. L’idea stessa di razzismo è stata sviluppata e utilizzata per cercare di giustificare colonizzazione e schiavismo. Il suo uso come forma di discriminazione ed oppressione ha legittimato gli alti livelli di sfruttamento ed è stato un fattore importante nello sviluppo del capitalismo. La fine della schiavitù e degli imperi non ha sepolto il razzismo.
Il razzismo sopravvive come idea e come pratica poiché continua a servire a due funzioni chiave sotto il capitalismo. In primo luogo consente ai capitalisti di assicurarsi fonti di lavoro a basso costo, non organizzate e altamente sfruttabili, come ad esempio i migranti e le minoranze etniche. In secondo luogo, il razzismo permette alla classe dominante capitalista di dividere e governare la classe lavoratrice, viene utilizzato per favorire divisioni all’interno della classe – mostrando l’immigrato come il capro espiatorio che “ruba casa e lavoro”; e al di fuori della classe, rafforza l’immagine dello stato-nazione, fomentando un senso di superiorità dei lavoratori autoctoni rispetto a chi viene da altre nazioni, creando un apparente interesse comune tra lavoratore e capitalista appartenenti alla stessa etnia, quando in realtà di comune non c’è proprio niente.
Inutile dire che dobbiamo contrastare queste idee. Il razzismo non giova a nessun lavoratore. Un simile scenario non giova nemmeno ai lavoratori che non sono direttamente toccati dal razzismo, perché comunque divide la classe.
A causa del controllo capitalista sulle idee però, ci sono molti lavoratori che sostengono il razzismo. Il capitale non governa soltanto con la forza, ma promuove una visione del mondo capitalista. Attraverso il sistema educativo, i media e la letteratura alimenta la classe operaia con idee di superiorità nazionale e razziale. L’impatto di questo meccanismo di propaganda sulla vita quotidiana non può essere sottostimato.
Un altro fattore decisivo sono le condizioni materiale della classe operaia. La povertà lascia le persone aperte all’idea di poter essere orgogliose della propria superiorità rispetto ad altri il cui status economico-sociale è più basso. Viene creata competizione tra la classe operaia sui pochi posti di lavoro, sugli alloggi e sulle risorse ed è facile poi approfittare di qualunque privilegio si riesca a percepire come tale.
Con la crescente perdita di posti di lavoro a causa della tecnologia, una sempre maggiore precarizzazione del lavoro, la stagnazione e la diminuzione dei salari, molti lavoratori bianchi hanno perso delle sicurezze che una volta davano per scontate. La rinascita del suprematismo bianco rappresenta l’ansia di una discesa in condizioni dalle quali in precedenza il capitalismo e il razzismo non li avevano mai fatti precipitare.
Se, come affermiamo, è il capitalismo che genera continuamente le condizioni per l’oppressione razzista e per l’ideologia, ne consegue che la lotta contro il razzismo può essere condotta in modo coerente solo abbattendo il sistema capitalista. Il rovesciamento del capitalismo tuttavia prevede che il proletariato si unisca a livello internazionale, attraversando tutte le linee di colore e nazionalità.
Quindi la lotta contro il razzismo non deve essere rimandata a dopo la rivoluzione. Anzi, sosteniamo che solo una classe lavoratrice unita può sconfiggere il capitalismo e il razzismo e che una classe operaia unita può essere costruita solo sulla base dell’opposizione a tutte le forme di pregiudizio e con il sostegno di tutti i membri della classe. E’ nell’interesse di tutti i lavoratori sostenere la lotta contro il razzismo.
Vietare la vendita di fucili d’assalto, chiedere ai provider internet di bloccare l’accesso a determinati siti, chiedere allo spionaggio di monitorare i gruppi di destra non porrà fine al razzismo. Nemmeno rivolgersi ai politici servirà, dato che con alcune delle loro uscite hanno soltanto aiutato a gettare le fondamenta per l’attacco. Questo dovrà essere un lavoro della gente comune neozelandese.
L’antirazzismo dovrebbe essere una priorità per tutti gli anarchici. Questo è importante non soltanto perché ci opponiamo sempre a tutte le oppressioni, ma anche perché questo lavoro ricopre uno spazio essenziale per il compito vitale di unificare la classe lavoratrice, unità senza la quale né il razzismo né il capitalismo possono essere vinti. Il mondo che abbiamo bisogno di creare è privo di categorie razziali, di “whiteness” e di capitalismo. Un modo cruciale per lavorare alla costruzione di questo mondo è difendere gli emarginati qui ed ora. Le comunità devono agire in difesa delle persone di colore.
I pericoli di una politica identitaria bianca devono essere spiegati ai membri bianchi della comunità e nei posti di lavoro. Qualunque speranza di costruire un movimento antirazzista richiede che militanti radicali bianchi istruiscano altri bianchi sul fatto che far progredire altri gruppi significa che l’intera classe ne trarrà beneficio e che l’ascesa di un gruppo etnico non significa la caduta di un altro. Dobbiamo sfidare coloro che dicono “c’è troppa immigrazione” o “i musulmani sono diversi”. Dobbiamo fermare politici e commentatori che utilizzano le loro piattaforme per denigrare musulmani e migranti per i loro fini politici.
Senza questo tipo di azioni l’estrema destra continuerà a guadagnare consensi tra la classe operaia bianca, presentandosi come l’alternativa che i lavoratori stavano cercando, con risposte chiare rispetto al mondo che sta cambiando.
Dobbiamo combattere in pubblico qualunque organizzazione fascista, senza eccezioni. Quando i fascisti si sentono liberi di organizzarsi in pubblico il loro discorso si normalizza e i sostenitori possono acquistare forza e fiducia. Inoltre l’organizzazione fascista è una minaccia per le vite delle persone che loro usano come capri espiatori. Non bisogna lasciarsi influenzare dagli argomenti inerenti la libertà d’espressione, queste persone non sono interessate a dibattere, sono già convinte della correttezza delle proprie idee e sono in cerca solamente di potere.
Bisogna sempre ricordare che il razzismo non può essere combattuto solo dall’antirazzismo. La lotta contro il capitalismo e la lotta contro il razzismo sono due facce della stessa medaglia. Nessuna delle sue avrà successo da sola. La destra è stata abile a presentare una visione alternativa agli scontenti, noi dobbiamo fare lo stesso e dobbiamo farlo meglio; dopotutto la nostra visione di un futuro egualitario che comprenda tutti è più gratificante.
Un’altra cosa sulla quale riflettere è che il grido che si è levato dopo la sparatoria è stato “questo non è ciò che noi siamo”; è utile ricordare però che non esiste nessun “noi” che comprenda l’intera popolazione neozelandese. Questo paese, come qualsiasi altro, è una società divisa in classi, formata da classi opposte, con interessi di classe che confliggono e solo una di queste classi detiene il potere: quella capitalista. Questa è la classe che Jacinta Arden rappresenta e, in mezzo a tutta la glorificazione per il primo ministro, questo fatto va ricordato. Mentre possiamo cercare valori comuni che ci rappresentino come classe lavoratrice e la risposta della società neozelandese riunita ci ha scaldato il cuore, ribadiamo che non esistono valori condivisi tra noi e la classe dominante. Jacinta Arden, nonostante il modo in cui ha gestito la tragedia, come rappresentante della classe dirigente e delle loro istituzioni che hanno portato al suprematismo bianco che ha compiuto questo attacco, è parte del problema, non la soluzione.
edi Aotearoa Workers Solidarity Movement
Articolo apparso sul portale Anarkismo.net: https://www.anarkismo.net/article/31357
link originale: http://awsm.nz/2019/03/25/some-reflections-on-the-christchurch-tragedy/