Le nostre radici
Il contributo degli anarchici all’elaborazione della teoria dei Consigli si può compendiare in queste due essenziali aggiunte teoriche:
a) Solo nel corso di un periodo rivoluzionario i Consigli possono avere una efficienza rivoluzionaria, possono costituirsi in mezzi validi per la lotta di classe e non per la collaborazione di classe. In periodo controrivoluzionario i Consigli finiscono per essere fagocitati dall’organizzazione capitalistica, non sempre avversa ad una coogestione morale da parte dei lavoratori. Per ciò avanzare l’idea dei Consigli in un periodo controrivoluzionario significa lanciare degli inutili diversivi, e pregiudicare gravemente la formula stessa de Consigli di fabbrica, come parola d’ordine rivoluzionaria;
b)I Consigli risolvono a metà il problema dello Stato: espropriano lo Stato delle sue funzioni sociali, ma non ledono lo Stato nelle sue funzioni antisociali, riducono lo Stato ad un pleonasmo ma non eliminano questo pleonasmo, svuotano
l’apparato statale del suo contenuto ma non lo distruggono. Ma poiché non si può vincere lo Stato, ignorandolo, in
quanto esso può far sentire ad ogni momento la sua presenza mettendo in moto il suo meccanismo di coazione e di
sanzione, occorre distruggere anche questo meccanismo. I Consigli non possono compiere questa operazione e
perciò richiedono l’intervento di una forza politica organizzata, il movimento specifico della classe, che porti a
termine tale missione. Solo cosi si può evitare che il borghese, cacciato dalla porta nelle sue vesti d’impresario,
rientri dalla finestra travestito da poliziotto.
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In tal modo la questione sollevata nella polemica tra l’Ordine Nuovo ed il Soviet, ci sembra risolta. Gli
ordinovisti sottovalutavano il problema dello Stato nel senso del suo accantonamento ; i sovietisti lo
sopravvalutavano nel senso della sua occupazione ; gli anarchici lo centravano nel senso della sua liquidazione ,
realizzata in campo politico.
Le occasioni, i documenti, le sedi in cui gli anarchici ribadirono le tesi sui Consigli, in altro precedente
paragrafo enunciate, e completarono queste tesi con le «aggiunte» sopra riassunte, furono molteplici.
La prima occasione fu offerta dal Congresso nazionale del l’Unione Sindacale Italiana che si tenne a Parma nel
dicembre 1919. Già prima del Congresso, sull’organo dell’USI, Guerra di classe, avevano scritto in proposito
Borghi, Garinei, Giovannetti e, su L’Ordine Nuovo, p. t. (Togliatti) aveva dato atto dell’acume critico con cui su
quel foglio era stata esaminata la questione.
Al Congresso dell’USI, cui i Consigli di fabbrica avevano inviato la loro adesione ed anche un loro
rappresentante, l’operaio Matta di Torino, si discusse a lungo pro e contro i Consigli, non sempre però con
sufficiente conoscenza della materia (i Consigli venivano equiparati al sindacalismo industriale degli I.W.W.: ciò
che non corrispondeva a verità, anche se teoricamente il Gramsci riconosceva di aver mutuato delle idee dal
sindacalista nord americano De Leon) e con l’intenzione di far passare il movimento dei Consigli come un
implicito riconoscimento del sindacalismo rivoluzionario, mentre esso ne costituiva invece ed una critica ed un
superamento.
Alla fine del Congresso fu approvata questa importante risoluzione, nella quale sono condensate le osservazioni
positive del dibattito:
«II Congresso saluta ogni passo in avanti del proletariato e delle forze politiche verso la concezione pura del
socialismo negante ogni capacità demolitrice e ricostruttrice alla istituzione storica, tipica della democrazia
borghese, che è il Parlamento, cuore dello Stato;
Considera la concezione soviettista della ricostruzione sociale come antitetica dello Stato e dichiara che ogni
sovrapposizione alla autonoma e libera funzione dei soviet di tutta la classe produttrice, unita nell’azione
difensiva contro le minacce di ritorno reazionario e dalle necessità amministrative della futura gestione sociale,
va considerala dal proletariato come un attentato allo sviluppo della rivoluzione e alla attuazione della
uguaglianza nella libertà;
«Dichiara perciò tutta la sua simpatia ed incoraggiamento a quelle iniziative proletarie, come ‘ i Consigli di
fabbrica, che tendono a trasferire nella massa operaia tutte le facoltà di iniziativa rivoluzionaria e ricostruttiva
della vita sociale, mettendo però bene in guardia i lavoratori da ogni possibile deviazione per lo escamotaggio
riformista contro la natura rivoluzionaria di tali iniziative, contrariamente anche alle intenzioni avanguardiste
della parte migliore del proletariato;
«Invita questa parte del proletariato specialmente a considerare le necessità di preparazione delle forze di
attacco classista-rivoluzionario, senza di che non sarebbe mai possibile la assunzione della gestione sociale da
parte del proletariato»
(da Guerra di Classe, a. VI, n. 1, 1 genn. 1920).
In seguito furono ancor meglio individuati i pericoli di deviazione insiti nei Consigli di fabbrica. Nei seguenti
termini:
a) Che i C.d.f. potessero degenerare in semplici commissioni interne per il buon funzionamento dell’of icina,
per l’incremento borghese della produzione, per dirimere le vertenze interne etc;
b) Che si potesse invertire la logica del processo rivoluzionario, e credere che l’anticipazione delle forme
della futura gestione sociale basti a far cadere il regime odierno;
c) Che si dimenticasse che la fabbrica è del padrone per ché vi è lo Stato — il gendarme — che la difende;
d) Che si cadesse nell’errore di credere che la questione di forma risolverà la questione della sostanza del
valore ideale di un determinato movimento.
Più ampia la discussione in seno all’Unione Anarchica Italiana che si prepara a tenere il suo Congresso
nazionale a Bologna dal 1 al 4 luglio 1920.
Già nella prima metà di giugno i compagni Ferrero e Garino hanno presentato la mozione già difesa al
Congresso camerale di Torino, al Convegno anarchico piemontese. Il Convegno anarchico piemontese l’approva e
delega il compagno Garino a sostenerla in sede di Congresso nazionale (cfr. U. N., 18 giugno 1920). Il 1 luglio
appare su Umanità Nova una lunga ed esauriente relazione del compagno Garino, nella quale si espongono i
principi informatori del movimento e dell’azione dei Consigli (vedi appendice). Nei gruppi successivi
intervengono pro e centro altri compagni. Al Congresso il compagno Garino, sulla base della relazione già
pubblicata, illustra la mozione approvata al Convegno anarchico piemontese. Dopo notevoli interventi di Borghi,
Sassi, Velia, Marzocchi, Fabbri, è approvata una risoluzione che, a parte l’ingenuità di certe espressioni, riprende i
motivi essenziali della mozione di Torino.
Eccone il testo:
«Il Congresso, tenendo conto che i Consigli di fabbrica e di reparto hanno la loro principale importanza in
quanto si prevede prossima la rivoluzione, e potranno essere organi tecnici della espropriazione e della
necessaria continuazione immediata della produzione, ma che, continuando a esistere la società attuale,
subirebbero l’influenza moderatrice e accomodante di questa;
«Ritiene i Consigli di fabbrica organi atti ad inquadrare, in vista della rivoluzione, tutti i produttori del
braccio e del cervello, sul luogo stesso del lavoro, ed ai fini dei principi comunisti-anarchici: organi
assolutamente antistatali e possibili nuclei della futura gestione della produzione industriale ed agricola;
«Li ritiene inoltre idonei a sviluppare nell’operaio salariato la coscienza del produttore, ed utili ai fini della
rivoluzione, favorendo la trasformazione del malcontento delle classi operaie e contadine in una chiara volontà di
espropriazione;
«Invita quindi i compagni ad appoggiare la formazione dei Consigli di fabbrica ed a partecipare attivamente
al loro sviluppo per mantenerli, sia nella loro struttura organica, sia nel loro funzionamento, su queste direttive,
combattendo ogni tendenza di deviazione collaborazionista, ed in modo che alla loro formazione partecipino tutti i
lavoratori di ciascuna fabbrica (organizzati o no)».
Inoltre, al Congresso di Bologna fu votata una seconda mozione sui Soviet che ripete identici concetti sulla
impossibilità storica e politica di esperimenti libertari in fase di risacca controrivoluzionaria.
Un altro importante documento che risente largamente del contributo degli anarchici è il manifesto lanciato
sull’Ordine Nuovo del 27 marzo 1920 (cfr. riproduzione integrale in appendice) agli operai ed ai contadini d’Italia
per un congresso nazionale dei Consigli e sottoscritto dalla redazione del giornale, dal C. E. della sezione socialista
di Torino, dal Comitato di studio dei Consigli di fabbrica torinesi e dal gruppo libertario torinese.
Ma il congresso non si tenne. Altri avvenimenti urgevano.