Alternativa Libertaria_FdCA

E ora, Zimbabwe? Al di là del carismatico “buon” pastore.

Gli ultimi 4 mesi nello Zimbabwe possono essere sicuramente caratterizzati come un risveglio della classe lavoratrice, dato che migliaia di cittadini sono scesi in strada, rispondendo all’appello del pastore Evan Mawarire: “hatichatya” – noi non abbiamo paura. Il movimento #Thisflag è seguito subito dopo. Si tratta certamente di un momento storico per lo Zimbabwe; un periodo di crescenti sofferenze per il mondo del lavoro, mentre il paese entra (auspicabilmente) in un processo di rinascita per un nuovo e migliore Zimbabwe.

Ma prima di poter solo parlare di uno  Zimbabwe libero e di come realizzarlo, occorre dotarsi di una chiara e coerente analisi di classe del clima sociale e politico dello  Zimbabwe.

Capire chi stiamo combattendo. Lo Zimbabwe ha senza dubbio bisogno di liberarsi dell’uomo di 92 anni che ritiene che il palazzo del governo sia la sua tomba. Ma nello stesso istante, dobbiamo liberarlo anche dell’oppressivo sistema statale. Sostituire un feroce capitalista e manager di stato con un altro non costituirebbe in nessun modo un progresso.

Vedi anche:

Inside the Zimbabwean uprising

I fatti recenti

Dopo 36 anni di indipendenza, il popolo dello  Zimbabwe è tornato di nuovo a scandire canti di libertà per una vera e reale emancipazione. La classe lavoratrice dello Zimbabwe sta pagando per una crisi economica di cui non ha colpa, perchè dovuta più che altro ad una crisi strutturale del sistema capitalistico globale (in gran parte di Stato) in un diabolico connubio con la dittatura di Mugabe. Negli ultimi 4 mesi, il paese ha visto come protesta dopo protesta la gente comune è scesa in strada a migliaia, noncurante della mano repressiva dello Stato (nella forma della polizia militarizzata). Al centro del movimento di protesta c’è una grave crisi economica che risale al 2008, il picco di una severa siccità con conseguente crisi dei rifornimenti di acqua, elettricità e generi di prima necessità. Quest’anno, il paese si è trovato paralizzato da una crisi di liquidità, a causa della grave penuria di dollari USA in tutto il paese.

Gli ultimi 4 mesi possono essere sicuramente caratterizzati come un risveglio della classe lavoratrice, dato che migliaia di cittadini sono scesi in strada, rispondendo all’appello del pastore Evan Mawarire:”hatich atya” – noi non abbiamo paura. Il movimento #Thisflag è seguito subito dopo. Si tratta certamente di un momento storico per il paese; un periodo di crescenti sofferenze per il mondo dellavoro, mentre il paese entra (si spera) in un processo di rinascita per un nuovo e migliore Zimbabwe

Evan Mawarire, un pastore della chiesa battista, è nei fatti l’architetto del movimento ed ha scelto in tutta questa fase di restare “apolitico”.  Molti lo hanno descritto come il Martin Luther King Jr. dello Zimbabwe, che ha anche evitato di fare politica di partito mentre ha puntato sull’attivismo di base. Ha involontariamente dato inizio al movimento del Maggio 2016 con la pubblicazione di un video online in cui ha espresso la sua frustrazione per la crisi socio-economica e politica del paese. Il video conteneva un forte messaggio poetico che riflette le frustrazioni del paese e dei 16 milioni di cittadini dello Zimbabwe – e che in qualche modo assomigliava ai cahiers francesi [l’elenco di lamentele che riflettevano i pensieri della popolazione francese alla vigilia della rivoluzione francese]. Da allora, il movimento è cresciuto ed ha rotto il silenzio che circondava la status quo. Non a caso, lo Stato ha portato il Pastore Evan in tribunale, inizialmente per “incitamento alla violenza pubblica”. Poco prima dell’udienza, tuttavia, l’accusa ha aggiunto un’ulteriore e più grave capo di imputazione: “tentato rovesciamento del governo costituzionalmente eletto”. È stato riferito che ben più di duemila cittadini stavano al di fuori del tribunale in attesa dei risultati dell’audizione, pregando e cantando per il suo rilascio. E ‘stato trovato non colpevole, ma ha apertamente espresso il timore che la sua vita era in pericolo, e che era sotto continue minacce, con persone non identificate che si presentavano perfino a casa sua e negli uffici. Non molto tempo dopo, è partito per il Sudafrica per fare un paio di conferenze in diverse università mentre si preparava per ottenere asilo politico per sé e la sua famiglia negli Stati Uniti.

E ora?

Prima di poter solo parlare di uno  Zimbabwe libero e di come realizzarlo, occorre prima dotarsi di una chiara e coerente analisi di classe del clima sociale e politico dello  Zimbabwe.  E per far ciò occorre dipingere la più vivida delle immagini, quella di un sistema di classe strettamente integrato con uno stato predatore. Non è un segreto che a partire dal primo giorno di indipendenza, lo Stato si è preoccupato di estrarre ricchezza dai suoi cittadini appartenenti alla classe operaia. Attraverso lo sfruttamento violento, attraverso la corruzione che non conosce limiti, il paese e la sua gente sono stati trasformati in prede senza protezione per un potere ed un governo affamati di ricchezza.

L’ex-marxista ed ora nazionalista governo dello Zanu-PF ha implementato nel periodo 1991- 1995 programmi di aggiustamento strutturale dello Zimbabwe subito dopo aver raggiunto l’indipendenza. Armati di neoliberismo, hanno dato luogo rapidamente alla decadenza del paese, mettendolo in ginocchio durante la crisi del 2008. Da allora, il nostro popolo si è ridotto allo stato di abitanti – residenti stranieri nelle proprie case. Con l’erosione delle norme e dei valori sociali, con la mancanza di uno scopo, tutto il paese si trova ora in uno stato di anomia, un paese senza regole paralizzato da instabilità, che deve provvedere a se stesso contro l’alleanza tra lo stato predatore e la sua coorte di proprietari capitalisti.

Questa  elite al governo – un’alleanza di dirigenti statali e capitalisti – ha mandato la classe operaia al macello in massa. Il colpo più recente alla classe operaia, poi diventato legge, è stato la sentenza della Corte Suprema del 16 luglio 2015 che ha dato ai datori di lavoro il diritto di risolvere i contratti dei lavoratori, senza dover offrire pacchetti di indennità. In meno di tre settimane da quella sentenza, un numero impressionante di 20-25000 lavoratori sono stati licenziati, e questo numero è cresciuto di migliaia da allora.

E’ allora nostro compito più prudente quello di armarci di una concettualizzazione olistica dello stato e della classe. L’approccio anarchico spiega come lo Stato stesso è un fertilizzante del sistema di classe, creando e dando spazio al dominio da parte di una minoranza.

Avere coscienza di ciò è già metà della battaglia. Capire chi stiamo combattendo è essenziale. Lo Zimbabwe senza dubbio ha bisogno di liberarsi di un uomo di 92 anni, un vecchio che pensa che il palazzo del governo è  il suo cimitero. Ma nello stesso istante, dobbiamo liberarci del tutto dal sistema di oppressione del governo. Scambiare un manager di stato e feroce dirigente capitalista con un altro non costituirebbe affatto un progresso.

La classe dirigente dello Stato ha bisogno di accumulare capitali per essere in grado di mantenere in armi i suoi militari e far crescere il proprio potere coercitivo (cosa recentemente oggetto di una interessante e bollente contestazione dato che lo Stato si trovò non in grado di pagare i militari.) Il nostro sistema attuale – del capitalismo e dello stato – consente questo matrimonio diabolico di denaro e potere, consentendo che siano concentrati nelle mani di pochi. Come ci mostra l’anarchismo, lo Stato è un apparato altamente centralizzato del potere, che monopolizza le forze di coercizione e di amministrazione. Il tentativo di utilizzare questa macchina di potere per i nostri fini, consegnandola ad un’altra piccola élite in grado di operare, significa – in ultima analisi- ricreare un altro feroce Zimbabwe capitalista. In altre parole, la critica va al di là di Mugabe o Zanu-PF. La critica denuncia tutte le strutture intrinsecamente oppressive che esistono nella società, alimentate per quello che sono, dalla reale natura dello Stato stesso.

L’emergere e il fiorire del movimento #Thisflag, e della sua fonte di ispirazione – il Pastore Evan Mawarire – è l’inizio di un nuovo capitolo di speranza in questa lunga storia di lotte; un passo importante e sacrosanto se iniziamo lentamente a modellarci noi stessi una via d’uscita. Il movimento #Thisflag è diventato il fattore che unisce all’interno la classe operaia dello Zimbabwe, che unisce gli interessi dei disoccupati di lunga durata con i laureati disoccupati e col resto della popolazione. Il movimento ha fatto molto di più che offrire semplicemente l’ispirazione: ha acceso una notevole quantità di speranza come combustibile per la lotta. Questo è il passo essenziale verso la riconfigurazione futura dello Zimbabwe di oggi: la costruzione di pilastri come il movimento #ThisFlag che si distinguono come strutture di contro-potere che possono essere utilizzate per contrastare e sostituire lo stato e il capitalismo.

Un appello!

Questo movimento potrebbe certamente rappresentare i semi incontaminati di una nuova società; una società fondata sulla solidarietà, l’uguaglianza, la democrazia di base, priva di ogni forma di oppressione. Il movimento rappresenta inconsciamente la consapevolezza anarchica che l’unico modo per rovesciare un regime assetato di sangue come quello che esiste nel paese oggi è attraverso la lotta dal basso. Da qui l’invito, quindi, ad una critica più consapevole, per lo sviluppo di questa coscienza già esistente di come lottare, piuttosto che costruire il movimento intorno a una sola persona.

Esorto i miei concittadini dello Zimbabwe, a evitare la “sindrome di Mosè”: si tratta di una trappola. Nessun movimento veramente di successo della classe operaia può essere costruito intorno a un individuo. Mosè stesso alla fine non è entrato nella terra promessa. Noi dello Zimbabwe, dobbiamo diventare i nostri sorveglianti, vigilando che l’attuale stato di predatori non venga semplicemente sostituito da un altro regime opportunistico, portando con sé le stesse forme di oppressione che stiamo combattendo. In secondo luogo, dobbiamo avere una chiara coscienza che, andando avanti, la direzione che il movimento ha assunto è quella  di agire collettivamente, e che solo collettivamente possiamo smantellare questo sistema. Il movimento #Thisflag deve perdere molto rapidamente la sua dipendenza dalla parola di un uomo, e iniziare insieme a ricostruire una sinistra credibile, con una politica di sinistra e di massa quale discorso,  movimento e alternativa per il popolo.

Avendo brevemente incontrato il ‘buon pastore’ durante la recente conferenza alla Rhodes University, è apparso chiaro che egli vede il suo ruolo come quello di semplice creatore della scintilla, ma che andando avanti sarebbe toccato al cittadino comune  andare oltre la retorica e sviluppare una coscienza politica più profonda. Questo tipo di consapevolezza dovrebbe includere una valutazione del fatto che lo stato dello Zimbabwe, come tutti gli stati, abusa – e sempre abuserà – dei mezzi di coercizione. Da nessuna parte ciò è più evidente che in Zimbabwe, dove la polizia militarizzata va in giro a bastonare qualsiasi cosa si muova o respiri (o, in particolare, lotti contro l’ingiustizia). Lo dimostra brutalmente anche le migliaia di manifestanti che sono detenuti nelle carceri senza un giusto processo. In combinazione con questo potere coercitivo, lo stato usurpa i mezzi di amministrazione (che abbiamo anche palesemente visto all’opera nella più recente sentenza della Corte Suprema). In prima linea, dobbiamo armarci non solo con la bandiera (magari, la bandiera nera dell’anarchia!), ma con una chiara comprensione di come funziona il sistema di classe in Zimbabwe, e una chiara comprensione che è solo attraverso movimenti di massa dal basso che si avrà anche la possibilità di creare un cambiamento efficace.

Questo è un appello per il movimento #Thisflag: perchè inceppi il sistema in modo continuo, senza sosta e completamente, e guidi se stesso, per se stesso, e di per sé come un movimento di tutte le persone oppresse nello Zimbabwe.
Leroy Maisiri – Zabalaza Anarchist Communist Front

(traduzione a cura di ALternativa Libertaria/fdca – Ufficio Relazioni Internazionali)

Link esterno: http://zabalaza.net
Tags

About Author

webmistress

webmistress

Related Articles